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05 + Diario di viaggio

Il calore di un rifugio inaspettato

La casa della signora ci avvolge immediatamente in un’atmosfera calda e accogliente. Nonostante il nostro aspetto, stanco e infangato, lei sembra a suo agio, come se avesse già affrontato situazioni simili molte volte.

«Toglietevi i giubbotti e lasciate che mi prenda cura di voi» dice con un sorriso rassicurante. La sua voce calma, il modo in cui si muove nella cucina, tutto parla di una sicurezza che sembra contagiosa.

Una luce soffusa amplifica il senso di pace mentre ci concediamo una veloce doccia purificante e rigenerante. Quando torniamo in cucina, il calore della stufa e l’aroma del cibo ci avvolgono in un abbraccio familiare, facendoci dimenticare il peso delle ultime ore.

Mentre mangiamo, finalmente sento la tensione sciogliersi. La pioggia continua a cadere fuori, ma qui dentro c’è solo il suono delle posate sui piatti e il lieve crepitio di una stufa nell’angolo. È allora che noto le foto appese alla parete. Scatti in bianco e nero mostrano una coppia accanto ad aerei d’epoca, entrambi giovani, sorridenti e pieni di energia. Non riesco a trattenere la curiosità.

«Queste foto…» comincio, indicando la parete. «Siete voi, vero? Lei e suo marito?»

La signora si ferma un momento, il cucchiaio sospeso a metà. I suoi occhi si fanno immediatamente lucidi mentre un sorriso nostalgico le illumina il viso.

«Sì» risponde con un tono che mescola orgoglio e malinconia. «Io e Pietro, mio marito. Abbiamo condiviso una vita intera di voli e avventure.»

Si percepisce nella sua voce un’eco lontana di quei giorni, come se per un attimo fosse di nuovo lassù, tra le nuvole.

La vita non è solo quella che viviamo giorno per giorno ma anche quella che scegliamo di ricordare. E ogni ricordo, come ogni volo, ci accompagna, anche quando siamo fermi

la signora Marina che ci attende all’ingresso di casa. (foto leonardo.ai)

Un amore per il volo senza tempo

«Pietro era un pilota» continua la signora, posando il cucchiaio e sfiorando il bordo della tazza con le dita. «Era dieci anni più grande di me e aveva iniziato a volare negli anni Cinquanta, subito dopo la guerra. All’epoca Grosseto era già una base importante per l’aviazione italiana e lui prestò servizio lì per diversi anni. Volava sui caccia dell’Aeronautica Militare ma il suo sogno era sempre stato quello di esplorare il mondo, non di combattere.» Fa una breve pausa, come persa in un ricordo lontano. «Me lo diceva sempre, sai? Che il cielo era troppo vasto per sprecarlo in guerra.»

«Ha servito in missioni importanti?» chiedo incuriosito.

«Sì, ma non nella guerra mondiale» precisa. «Era troppo giovane. Ha invece partecipato a esercitazioni e missioni di pattugliamento durante la Guerra Fredda. Dopo il servizio militare decise di acquistare questo terreno. L’idea era di costruire un campo volo, un luogo dove la nostra passione potesse continuare senza limiti.»

Veronika interviene con interesse. «E voi volavate insieme?»

«Oh sì» risponde la signora illuminandosi in volto. «Ho imparato a volare grazie a lui. Non era comune per una donna all’epoca, ma Pietro insisteva che il cielo non aveva regole di genere. Abbiamo girato l’Italia e l’Europa a bordo di un piccolo Piper. Ogni volo era un’avventura: ci fermavamo in campi volo remoti, mangiavamo in osterie locali e dormivamo sotto le ali dell’aereo quando non c’erano altri posti disponibili.»

«Che storia stupenda» esclamo, immaginando quella vita di libertà. «E adesso il campo volo è ancora attivo?»

«Lo gestisce la persona con la quale avete parlato a telefono prima. Io non ne faccio più parte, almeno non ufficialmente» spiega. «Da quando Pietro non c’è più, è rimasto solo un luogo dove i vecchi amici vengono a trovarmi, magari per un atterraggio di passaggio. Io mi limito a mantenere in ordine il nostro piccolo hangar con ancora i ricordi di Pietro.»

«Dev’essere difficile continuare da sola» dice Veronika con empatia.

La signora annuisce, ma c’è una nota di malinconia nei suoi occhi. «Lo è. A volte, se chiudo gli occhi, mi sembra quasi di sentire ancora la sua voce nella radio che mi comunica che sta per atterrare. Magari mentre mescolavo la zuppa in cucina, aspettandolo per cena.»

La conversazione con la signora Marina, così scopriamo si chiami, prosegue per tutto il pomeriggio. Restiamo a tavola così a lungo che, quando finalmente ci alziamo per andare a riposare, il cielo è già buio. Fuori la pioggia ha quasi smesso e il silenzio, interrotto solo dal gocciolio sulle grondaie, porta con sé la speranza che il maltempo finisca del tutto durante la notte.

«Domani sarà una bella giornata, ne sono certa» dice l’anziana signora chiudendo le tende e accendendo una lampada che illumina la stanza con una luce calda.

Il pensiero di un cielo sereno e della possibilità di rimettersi in viaggio ci dà un senso di sollievo. Andiamo a dormire con una strana sensazione di pace, nonostante il ricordo ancora vivido del nostro atterraggio d’emergenza.

Il cielo non ha regole di genere, né confini. È un rifugio dove ogni passione può volare libera e ogni storia, anche la più silenziosa, può lasciare la sua traccia.

la cucina della signora Marina (foto leonardo.ai)

Un nuovo giorno sotto un cielo limpido

Quando ci svegliamo la mattina successiva, il tempo è completamente cambiato. La pioggia ha lasciato spazio a un cielo limpido e a un sole che illumina il terreno ancora umido. La casa della signora è silenziosa, interrotta solo dai rumori della natura che sembrano rinascere dopo il temporale.

Dopo una rapida colazione, Veronika rimane in casa con la signora Marina, mentre io e Skippy ci dirigiamo verso il campo volo per controllare il Cessna e dargli una sistemata della quale ha sicuramente bisogno. Mentre camminiamo nel fango ormai quasi asciutto, penso a quanto siamo stati fortunati ad aver trovato un rifugio come questo.

Una volta all’aereo, cominciamo il lavoro di pulizia e controllo.

«Ok, Skippy» dico con tono deciso. «Ora dobbiamo rimettere a nuovo questo Cessna.»

Lei sembra un piccolo manutentore: si posiziona accanto alla cassetta degli attrezzi, pronta a passarmi quello che mi serve. Ogni tanto mi guarda con occhi pieni di determinazione. Altre volte sgrana gli occhi quando le chiedo qualche attrezzo del quale non conosce il nome ma tutto sommato se la cava bene.

Finiti i controlli su motore e, soprattutto, sul carrello inizio a pulire il fango dalla carlinga, mentre Skippy si dedica al parabrezza, strofinandolo con una pezza e dando il meglio di sé.

«Non male» le dico, vedendo che il vetro sta tornando lucido.

Ma quando salgo per controllare l’interno, scopro che i sedili anteriori sono pieni di impronte sporche.

«Skippy!» esclamo con un tono finto indignato. «Hai lasciato le tue firme personali sui sedili!»

Lei mi guarda, inclina la testa, si osserva sotto le zampette, poi scivola giù con aria colpevole ma non troppo. Scoppiamo entrambi a ridere.

Skippy che lava il Cessna (foto Dall-E)

Una lezione di vita e un dono inaspettato

Intanto, in casa, Veronika e Marina conversano davanti a una tazza di tisana.

«Le situazioni di emergenza come quella di ieri sono difficili da dimenticare» dice Veronika, stringendo la tazza tra le mani, ancora leggermente tremanti al ricordo. «È stato tutto così… improvviso. Non mi aspettavo che qualcosa di simile potesse accadere. Non le nascondo che ho avuto paura.»

La signora annuisce con un sorriso comprensivo. «Sai, cara, il volo ha sempre avuto i suoi rischi. Pietro e io ne abbiamo vissute tante. Una volta, durante un volo, il motore si è fermato in piena tempesta. Siamo stati costretti ad atterrare in una radura senza sapere se ci saremmo riusciti. È stata una delle esperienze più spaventose della mia vita ma sai cosa mi ha insegnato? Che se non è la tua ora, tutto andrà bene.»

Veronika la guarda attentamente, colpita dalla sicurezza delle sue parole.

La signora continua: «Anche la morte di Pietro mi ha rafforzato questa mia convinzione. Se il nostro tempo è finito, è finito. Può succedere in cielo, mentre voliamo e facciamo cose che riteniamo pericolose, o anche sul divano di casa. Lui è morto così, sai? Seduto in poltrona mentre guardava il suo programma preferito, dopo aver rischiato la vita in tantissime attività pericolose. La verità è che non possiamo controllare tutto ma possiamo scegliere come vivere il tempo che ci è dato. E questo significa vivere serenamente, senza rimpianti e senza paura.»

Veronika rimane in silenzio per un momento, riflettendo su quelle parole.

«È un modo intenso di vedere le cose» ammette infine. «Ma ha senso. Aiuta a mettere tutto in prospettiva.»

La signora si alza e si dirige verso una credenza.

«Vieni, voglio mostrarti qualcosa.»

Apre una scatola di latta e inizia a tirar fuori delle fotografie.

«Questi siamo noi» dice, indicando le immagini.

Ci sono scatti, in bianco e nero, di una giovane coppia accanto a velivoli d’epoca e foto più recenti con aerei che Veronika non riconosce.

«Volavate su questi?» chiede, incuriosita.

«Sì» risponde Marina con un sorriso nostalgico. «Niente di tecnologico come il vostro Cessna. Non avevamo navigazione elettronica o tablet. Usavamo mappe di carta e in mezzo a una tempesta, credimi, diventavano quasi inutilizzabili. Dovevamo fidarci dei nostri occhi e del nostro istinto. Voi siete fortunati: la tecnologia vi offre strumenti incredibili ma il cielo rimane sempre lo stesso.»

Mentre sposta alcune foto, la signora trova un piccolo anello. Lo prende tra le dita con cura e lo guarda per un momento.

«Questo» dice, mostrandolo a Veronika «mi ha sempre aiutata nei momenti di stress. Pietro me l’aveva regalato il giorno del mio primo volo in solitaria. Mi diceva che tenerlo con me mi avrebbe dato forza e così è stato. Ora voglio che sia tu a tenerlo.»

Veronika scuote la testa, visibilmente emozionata.

«Non posso accettarlo, è troppo importante per lei.»

Ma la signora insiste, prendendo con dolcezza le mani di Veronika e poggiandole l’anello sul palmo.

«Voglio che abbia una nuova storia, con voi. È fatto per volare, non per restare chiuso in una scatola. Io ormai non posso più portarlo lontano. Voglio che lo faccia tu.»

Veronika la guarda, combattuta tra l’emozione e la riluttanza. Alla fine, sorride e annuisce.

«Grazie. Prometto che lo onorerò come merita.»

La vera ricchezza non sta nei luoghi, né nelle cose, ma nei legami che formiamo e nelle storie che condividiamo. Anche il tempo, che sembra inesorabile, diventa un compagno di viaggio quando impariamo a viverlo con serenità.

la scatola con le foto e i ricordi della signora Marina (foto leonardo.ai)

Tra aviatori ci si aiuta sempre

Io e Skippy torniamo verso casa, stanchi ma soddisfatti del lavoro. Quando entriamo, troviamo Veronika e la signora Marina sedute davanti alla stufa, ancora immerse nella loro conversazione.

«Tutto ok» annuncio, togliendomi le scarpe infangate sull’uscio. «Abbiamo controllato e pulito tutto. Il Cessna è pronto a ripartire.»

Veronika sorride, visibilmente sollevata. «Ottimo. Grazie a te e alla tua assistente speciale.» Poi mi mostra l’anello che tiene con cura tra le dita. «Guarda cosa mi ha regalato Marina.»

Osservo l’anello, semplice ma carico di storia. Mi giro verso la signora. «Non so davvero come ringraziarla per tutto quello che sta facendo per noi. Ci sta aiutando più di quanto immagini.»

Marina scuote la testa con un sorriso. «Tra aviatori ci si aiuta sempre. Anche se ormai non volo più, resto una di voi. E vedere giovani come voi continuare a scoprire il mondo mi dà speranza.»

Le sue parole mi toccano profondamente e, per un momento c’è solo silenzio interrotto dal lieve scoppiettio della legna nella stufa.

Cena e condivisione dei nostri piani

La cena di quella sera è semplice ma piena di calore. Marina ci serve una pasta fatta in casa e un piatto di verdure del suo orto. Mentre mangiamo, raccontiamo brevemente le nostre avventure fino a quel momento: il progetto Sky Wander, i luoghi che abbiamo sorvolato e le sfide che abbiamo affrontato per organizzare questa avventura.

Marina ascolta con attenzione e i suoi occhi brillano ogni volta che parliamo di volo.

«Il vostro progetto è straordinario» dice. «Vi ammiro per il coraggio e la determinazione che avete. E dopo Corsica e Sardegna, cosa avete in programma?»

Io e Veronika ci guardiamo per un momento.

«In realtà non lo sappiamo ancora» rispondo. «Abbiamo un’idea generale ma non abbiamo ancora deciso quale sarà la tappa successiva. Stiamo ancora valutando.»

Marina annuisce. «È questo il bello del volo. La libertà di scegliere dove andare e di lasciare che il cielo decida per voi.»

pasta fatta in casa (foto Dall-E)

Un riposo meritato

Dopo cena ci ritiriamo nelle nostre stanze. Prima di salire le scale, mi fermo un attimo sulla soglia della cucina. Marina sta sistemando i piatti, nonostante abbia insistito tanto per lavarli io. Il suo volto è rilassato e sereno, un’immagine che trasmette una profonda calma.

«Grazie ancora per tutto» le dico con sincerità.

Lei mi guarda e risponde con un sorriso caldo. «Buonanotte, esploratore. Anche io ringrazio voi per avermi portato alla memoria tanti ricordi bellissimi di me e Pietro. Siete letteralmente un dono del cielo. Sogni sereni.»

Senza pensarci, la stringo forte in un abbraccio, lasciando che le sue parole risuonino dentro di me. C’è una gratitudine reciproca che non ha bisogno di essere spiegata.

Una volta in camera, il silenzio della notte ci avvolge. Skippy è già accoccolata sul letto, il muso nascosto tra le zampe, il respiro lento e regolare. Io e Veronika ci sediamo sul bordo, senza parlare. È come se il peso di questa esperienza fosse ancora nell’aria, sospeso tra pensieri che faticano a trovare forma.

Sospiro profondamente, cercando di dare ordine a tutto ciò che ho dentro.

«È stato un momento intenso» dico infine, la voce più bassa del solito. «Ma tutto sommato siamo stati davvero fortunati.»

Veronika resta qualche istante in silenzio, poi annuisce.

«Sì… più che fortunati, direi che è stato significativo.» La sua voce è tranquilla ma carica di pensieri. «Marina non è stata solo un incontro. È stato come se sapesse esattamente cosa dirci, come se fosse lì apposta per farci vedere le cose da un’altra prospettiva.»

La guardo, riflettendo sulle sue parole.

«Ti capisco. Non era solo gentilezza, c’era qualcosa di più. Sembrava sapere esattamente cosa dirci, come se ci avesse dato un segnale.»

Veronika incrocia le gambe e si stringe nel maglione, abbassando lo sguardo.

«In questi giorni ho pensato tanto al motivo per cui facciamo tutto questo. Al volo, al viaggio, agli incontri. A volte mi sembra che il viaggio stesso sia solo una scusa… per trovare pezzi di qualcosa che ancora non abbiamo capito.»

Le sue parole risuonano perfettamente con il turbine di pensieri che ho dentro.

«Forse è proprio così. E forse Marina è stata uno di quei pezzi. Sai cosa mi colpisce di più? Il modo in cui ci ha parlato, senza mai farci sentire deboli, senza mai trattarci come se avessimo bisogno di aiuto… ma riuscendo comunque a farci sentire al sicuro.»

Un sorriso sfiora il viso di Veronika.

«Già… Ogni parola aveva il peso giusto, senza bisogno di essere straordinaria.»

Mi appoggio allo schienale del letto e osservo il soffitto.

«Sai cosa mi spaventa di più? Che fino a ieri non avrei nemmeno dato peso a un incontro così. E invece ora mi chiedo quante storie come la sua ho incrociato senza ascoltarle davvero. Quanti insegnamenti ho lasciato indietro, quante prospettive mi sono sfuggite.»

Veronika si sporge leggermente verso di me e mi prende la mano.

«Allora forse è vero che ogni cosa accade per un motivo. Forse era il momento giusto per incontrarla. Per capire.»

La guardo negli occhi, stringendole la mano con un calore nuovo, come se dentro di me si fosse fatto spazio qualcosa che prima non riuscivo a vedere.

«Forse sì. E forse ci saranno altri incontri così. Altri segnali. E noi dovremo solo essere abbastanza svegli per accorgercene.»

Lei sorride appena e, senza dire altro, mi si avvicina e si appoggia alla mia spalla. Il silenzio che segue non è vuoto, non è pesante. È uno di quei silenzi che riempiono, che dicono più di mille parole.

Spegniamo la luce, lasciandoci avvolgere dalla quiete. E per la prima volta dopo giorni, il sonno arriva senza sforzo, come un volo sereno che prende quota nella notte, portandoci lontano dai pensieri e più vicini al domani.

Nel volo, come nella vita, ogni passo è un atto di fiducia. La strada che percorriamo si svela solo quando accogliamo le sfide con il cuore aperto e l’animo pronto a ricevere. È nelle esperienze condivise che troviamo la forza per andare avanti.