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02 + Diario di Viaggio Pisa

Pisa di sera

Le strade di Pisa a quest’ora hanno un suono diverso. Il rumore delle biciclette che sfiorano i ciottoli, il passo lento di qualche turista rimasto incantato dalla città e il vento leggero che scivola tra i vicoli. Il brusio del giorno è ormai svanito, lasciando spazio a un silenzio che amplifica ogni dettaglio.

La nostra destinazione è Piazza dei Miracoli, che di notte non abbiamo mai visto. Pisa ci è familiare, ma senza la folla, immersa nella luce dorata dei lampioni, sembra rivelarci un segreto che durante il giorno resta nascosto.

Skippy, ancora mezza addormentata, si è sistemata sulle mie spalle, lasciandosi trasportare senza opporre resistenza. Le sue zampette penzolano, gli occhialoni leggermente storti sul muso. Ogni tanto sbadiglia piano, come se stesse ancora elaborando dove siamo e cosa stiamo facendo.

Poi, all’improvviso, la piazza si apre davanti a noi. La Torre Pendente, così iconica e insolita, sembra ancora più affascinante nel silenzio della sera. Accanto a lei, il Duomo di Pisa e il Battistero di San Giovanni brillano come gioielli antichi, la luce soffusa ne esalta ogni curva, ogni dettaglio.

“Non c’è paragone con il giorno” commenta Veronika mentre ci fermiamo a osservare il complesso. “Visto così sembra un altro mondo.”

Lascio che la calma del momento ci avvolga. Questa non è la solita Pisa che conosciamo. È un luogo sospeso nel tempo che si concede solo a chi arriva tardi o si sveglia presto.

Poi, all’improvviso, Skippy si rianima. Non perché abbia avuto un’illuminazione storica o architettonica, ma per un motivo molto più terreno. Il suo naso si muove veloce, fiuta l’aria con crescente interesse. Dopo un ultimo sbadiglio, solleva la testa e, con grande solennità, punta la Torre. Per un istante sembra osservarla con rispetto, quasi meditativa.

Ma poi accade l’inevitabile: le narici si dilatano, il muso vibra, e in un lampo si fionda giù dalle mie spalle con l’agilità di un ninja sonnolento. A terra, si blocca per un secondo come se stesse decifrando un codice segreto nell’aria, poi parte a passo deciso nella direzione del profumo che l’ha colpita, con l’andatura di chi ha appena trovato il vero senso della vita.

Veronika scoppia a ridere. “A quanto pare ha deciso dove andiamo adesso.”

“Non so se è più affascinata dalla Torre o da quello che stanno cucinando laggiù.”

Skippy si volta verso di noi con aria impaziente, poi riprende la marcia con la determinazione di un generale che guida le truppe. E, a dire il vero, nemmeno noi resistiamo all’idea di seguirla.

“Di notte Pisa svela la sua anima nascosta: meno frenesia, più magia. Un luogo che cambia volto e si concede solo a chi sa osservarlo nel silenzio.”

Piazza dei Miracoli in notturna (foto foto Flight Simulator 2024)

Un assaggio di Pisa

E a quanto pare, Skippy aveva ragione.

Ora anche noi sentiamo quel profumo avvolgente: forno caldo, farina tostata e una nota salmastra che si mescola all’aria fresca della sera. Seguiamo il nostro segugio improvvisato fino a un piccolo locale d’angolo, poco più di un banco con una vetrina illuminata e qualche sgabello all’esterno. Dietro il bancone, un uomo estrae una teglia fumante da un grande forno, mentre un cliente prende il suo pezzo servito su carta oleata.

“La cecina” legge Veronika su un’insegna scritta a mano mentre aspettiamo in fila. “Dobbiamo proprio provarla.”

Fortunatamente la fila è corta. C’è solo un cliente prima di noi.

Skippy si siede, paziente. Per tre secondi. Poi la coda batte un ritmo crescente sul pavimento. Un lieve tremolio le percorre le zampe mentre fissa la teglia fumante come se potesse teletrasportarla tra le sue fauci.

“Skippy, calma” mormoro.

Lei non mi degna di uno sguardo. Quando il cliente prende il suo pezzo, lo segue con lo sguardo così intensamente che per un attimo temo voglia placcarlo.

Finalmente arriva il nostro turno e prendiamo tre porzioni, sottili e fragranti, ancora calde tra le mani. Al primo morso la consistenza sorprende: morbida all’interno con un leggero strato croccante in superficie. Il sapore è semplice e intenso, un equilibrio perfetto tra il dolce della farina di ceci e il sale che ne esalta il gusto.

“Buona” commento mentre Skippy, con un pezzo tra le zampe, lo fissa come se fosse la scoperta del secolo. Poi lo annusa con aria solenne, lo lecca con cautela… e infine lo divora con la delicatezza di un tornado.

Il gestore ci osserva con un sorriso divertito. “Siete turisti, vero?”

Annuiamo e Veronika, incuriosita, gli chiede di raccontarci qualcosa su questo piatto.

“Ah, la cecina è roba antica signorina” dice appoggiandosi al bancone. “Dicono sia nata per caso, nel 1284. Una nave genovese si beccò una tempesta e i barili di farina di ceci si rovesciarono, finendo nell’acqua di mare. Per non buttarla via i marinai la fecero asciugare al sole… ed eccola qui.”

“Una leggenda che sa di mare e di viaggi, interessante” commenta Veronika, mordendone un altro pezzo.

Finito di mangiare ringraziamo e riprendiamo il cammino, lasciandoci alle spalle il piccolo locale e il suo profumo invitante. Pisa ci ha già sorpresi e domani ci aspetta un’altra prospettiva, quella dall’alto della Torre.

“A volte la storia più autentica di un luogo non si trova nei monumenti ma nei sapori tramandati nei secoli.”

Cecina Ripiena (foto Dall-E)

La sveglia e il siparietto con Skippy

La sveglia suona presto ma la stanza è ancora avvolta nella penombra. Io e Veronika siamo già in movimento: lei organizza lo zaino mentre io cerco di raccogliere i pensieri sparsi della mattina.

Skippy, invece, sembra avere un’altra opinione su come iniziare la giornata. È ancora sdraiata sul letto, spalmata come un tappetino con il musetto nascosto nella giacchetta da pilota. Si direbbe pronta a battere ogni record di non-reattività.

“Skippy, è ora di andare!” dico con il tono di chi vuole essere fermo ma gentile.

Niente. Neanche un’orecchia che si muove.

“Dai, non fare storie” aggiunge Veronika, scuotendola delicatamente. “Ti aspetta la Torre di Pisa!”

Un occhio si apre pigramente ma dura solo un secondo. Poi, con un lungo sospiro di protesta, si gira dall’altra parte infilando ancora più a fondo il musetto sotto la giacchetta.

Proviamo di tutto: un biscotto sotto il naso, il tintinnio delle chiavi e persino un conto alla rovescia. Ma niente: Skippy non collabora. Quando la solleviamo, si lascia andare mollemente come un sacco di farina, con uno sguardo che sembra dire ‘era proprio necessario?’

Alla fine Veronika le toglie la giacchetta dalla testa con delicatezza e la nostra piccola mascotte si arrende, lanciandoci uno sguardo offeso prima di infilarsi di malavoglia nel mio zaino.

“Almeno lei ha il vantaggio di vestirsi sempre allo stesso modo” ride Veronika mentre usciamo dalla stanza.

“Ogni viaggio inizia con una sveglia… e con qualcuno che non vuole alzarsi.”

Skippy dormigliona (foto Dall-E)

L’incontro con la Torre e Giorgio

Piazza dei Miracoli è avvolta nella calma del mattino quando incontriamo Giorgio, la nostra guida. È un uomo robusto, con occhiali tondi e un sorriso cordiale che ci mette subito a nostro agio.

“La Torre vi aspetta” dice con entusiasmo, indicando il campanile. “Ci hanno messo quasi due secoli a finirla. Le guerre, la mancanza di fondi e qualche pausa fortunata hanno rallentato i lavori… ma forse è grazie a questo che è ancora in piedi.”

Mentre ci avviciniamo all’ingresso Giorgio ci racconta un dettaglio che non conoscevamo.

“Sapete che le campane erano sette, una per ogni nota musicale? Nei giorni di festa il suono riempiva tutta la piazza.”

La salita alla Torre comincia. I gradini, consumati dal tempo, seguono una pendenza quasi surreale e ad ogni passo sembra di perdere leggermente l’equilibrio. Skippy, finora raggomitolata nello zaino, si sveglia all’improvviso, probabilmente infastidita dal movimento. Con aria contrariata infila fuori il musetto e ci lancia uno sguardo che dice tutto.

“Non sembra molto entusiasta” ride Veronika.

Giorgio sorride, fermandosi per una breve pausa. “Neanche noi pisani siamo certi di come faccia a stare in piedi” scherza. Poi aggiunge, con un tono più serio: “Si dice che Galileo abbia lasciato cadere due sfere da questa torre per dimostrare che la gravità agisce nello stesso modo su tutti i corpi.”

“Allora è successo davvero?” chiedo, incuriosito.

Giorgio si stringe nelle spalle con un sorriso enigmatico. “A volte le leggende raccontano più della realtà.”

L’ultimo gradino ci porta in cima e per un attimo tutto sembra fermarsi. Non c’è più la pendenza della salita né l’incertezza dell’inclinazione sotto i piedi. Solo il vento che accarezza il viso e la città che si svela a 360 gradi.

Pisa non si spalanca davanti a noi con imponenza ma si lascia scoprire un pezzo alla volta. I tetti delle case sembrano più bassi da qui, i vicoli più stretti, il ritmo della città più lento. L’Arno serpeggia tra i palazzi, non come un confine, ma come un filo che tiene tutto insieme.

Più in là le mura medievali che racchiudono il centro si distinguono ancora e fuori da esse la città cambia forma, si distende, fino a sbiadire nelle campagne circostanti. Non c’è un’unica prospettiva, tutto dipende da dove ci si affaccia, come se Pisa avesse mille volti diversi, ognuno nascosto dietro l’altro.

Skippy, ormai sveglia del tutto, si sporge dallo zaino. Il vento le scompiglia il pelo mentre rimane immobile a osservare il panorama, come se stesse cercando di memorizzare ogni dettaglio.

Giorgio si ferma accanto a noi e rompe il silenzio con una riflessione che ci sorprende.

“Sapete perché la Torre non cade? Perché si adatta. Si è inclinata, sì, ma non ha mai smesso di cercare un equilibrio con il terreno su cui poggia.” Poi continua riflessivo: “Non sempre resistere è la risposta. A volte, il segreto per restare in piedi è sapersi adattare.”

Veronika gli risponde fissando l’orizzonte. “Direi che è una bella lezione, anche per noi.”

È uno di quei momenti che rimangono impressi più delle immagini. Scesi dalla Torre, salutiamo Giorgio con una stretta di mano sincera e un grazie che va oltre la semplice visita. Questa mattina non abbiamo solo ammirato la vista. Abbiamo portato via una lezione che resterà con noi.

“Non sempre resistere è la soluzione. A volte, per restare in piedi, bisogna sapersi adattare.”

Giorgio la guida che ci ha accompagnato sulla torre. (foto leonardo.ai)

Foto di rito e risate in piazza

Lasciamo la Torre con il pensiero ancora sospeso tra le parole di Giorgio. Ma appena scendiamo in piazza, la realtà ci richiama subito all’ordine: il momento delle foto di rito è inevitabile.

“Ok, tocca a te” ride Veronika, posizionandomi con le mani tese verso la Torre. Mi muovo avanti e indietro, cercando di allinearmi perfettamente mentre lei aggiusta l’inquadratura con la serietà di un direttore d’orchestra. Dopo qualche tentativo finalmente lo scatto arriva: un’illusione perfetta che sembra raddrizzare secoli di pendenza.

Poi è il suo turno. Con la grazia che solo lei possiede sembra davvero mantenere la Torre in equilibrio con un tocco delicato e naturale. Le scatto una raffica di foto, catturando ogni istante mentre lei si diverte a cambiare posa.

E infine, arriva il turno di Skippy, l’inaspettata protagonista.

Ancora un po’ assonnata e con il musetto perplesso proviamo comunque a farle imitare la nostra posa. Naturalmente, lei ha altre idee: dopo qualche esitazione scivola in avanti con le zampette tese, finendo con un’espressione tra il confuso e il disperato come se davvero stesse cercando di afferrarsi alla Torre per non cadere.

“Questa è perfetta!” esclama Veronika, scoppiando a ridere così forte da attirare qualche sguardo curioso. “La Torre non cade ma Skippy sì!”

Guardiamo le foto: un piccolo capolavoro di comicità. Con gli occhialoni storti e quella posa goffa, Skippy sembra davvero l’incarnazione della mascotte perfetta: sempre fuori dagli schemi ma capace di rendere ogni momento unico.

“Le foto migliori non sono quelle perfette ma quelle che catturano l’anima del momento.”

Skippy che cade a Piazza dei Miracoli (foto Dall-E)

Una pausa nel verde

Dopo la visita alla Torre di Pisa abbiamo ancora un po’ di tempo prima di ripartire. Decidiamo di fermarci in un piccolo parco poco distante per riposare un po’.

Ci sediamo su una panchina lasciando che la città riprenda il suo ritmo intorno a noi. Le parole di Giorgio ci tornano in mente, il suo modo di raccontare la Torre non solo come un’opera architettonica ma come una lezione di adattamento, di equilibrio, di resistenza senza ostinazione ci hanno colpito.

“Non serve resistere a tutti i costi” aveva detto. “A volte basta piegarsi un po’ per restare in piedi.”

Veronika fissa il cielo attraverso i rami degli alberi, il pensiero ancora sospeso tra quelle parole. “Chissà quante cose vedremmo diversamente se imparassimo ad adattarci, invece di opporci sempre alle difficoltà.”

Annuisco silenzioso, osservando il via vai della gente nel parco. Bambini che corrono, coppie sedute sull’erba, persone immerse nei loro pensieri.

A pochi passi da noi Skippy ha trovato nuovi compagni di gioco. Un gruppetto di bambini si è accovacciato accanto a lei, intrecciando piccoli ramoscelli raccolti da terra. Lei li osserva con curiosità, poi si lascia coinvolgere, allungando le zampette e annusando ogni nuova creazione con attenzione.

Quando arriva il momento di andare, Skippy ci raggiunge trotterellando con la sua solita aria soddisfatta tra i saluti dei bambini.

“Ma… cos’è questo?” dice Veronika tirando fuori un piccolo braccialetto intrecciato con ramoscelli sottili dallo zaino mentre lo caricava in spalla. Lo rigira tra le dita con un sorriso divertito mentre la nostra mascotte si mette a osservare lontano con aria innocente.

“L’hanno fatto i bambini?” chiede Veronika, lanciandole uno sguardo complice. “Un altro souvenir per la tua collezione?”

Come al solito Skippy evita ogni responsabilità. Si volta con aria impassibile, fingendo di non aver sentito, come se la conversazione non la riguardasse affatto.

Veronika scoppia a ridere. “Ormai abbiamo una piccola collezionista di ricordi. Questo lo mettiamo accanto al tappo di Firenze.” Con un gesto delicato fa scivolare il braccialetto nello zaino e accarezza la testa di Skippy. “Se continua così, a fine viaggio ci ritroveremo con un museo intero di storie da raccontare.”

Diamo un ultimo sguardo a Pisa. Un’altra città che ci ha lasciato qualcosa, un altro ricordo che si aggiunge alla nostra avventura.

La prossima tappa ci attende.

“Ogni viaggio lascia un segno, anche nei dettagli più piccoli: un oggetto intrecciato a mano, un incontro fugace, un’idea che resta.”

02 – Volo Firenze Pisa

Decollo da Firenze: un ultimo sguardo alla città

In aeroporto il Cessna 172 ci attende sulla piazzola, pronto per il prossimo volo. Salire a bordo, rullare in pista, sentire il motore vibrare sotto le mani: un rituale che sta diventando naturale, fluido come il volo stesso.

L’autorizzazione dalla torre, un cenno d’intesa tra me e Veronika, il rombo del motore riempie la cabina e, in pochi istanti, siamo di nuovo in volo. Le ruote lasciano terra con leggerezza mentre Firenze si distende alla nostra destra, avvolta in quella luce dorata del tramonto che la rende quasi irreale.

“Non sembra vero di aver fatto così tante cose in un solo giorno” mormora Veronika, osservando la Cupola del Brunelleschi in lontananza. Resta in silenzio per un istante, poi sorride. “Chissà come la vedremo la prossima volta.”

“Firenze non cambia, siamo noi a vederla con occhi nuovi ogni volta che torniamo.”

Firenze in lontananza (foto da Flight Simulator 2024)

Sorvolo di Prato

Poco dopo Prato compare all’orizzonte: un intreccio ordinato di tetti e mura antiche. Io mantengo la rotta mentre Veronika, con la guida della Toscana aperta sulle ginocchia, alterna lettura all’osservazione fuori dal finestrino con la sua solita espressione attenta.

“Guarda laggiù” dice, indicando con la mano. “Qui parla del Castello dell’Imperatore… uno dei pochi di origine sveva in Italia. Lo fece costruire Federico II per consolidare il suo dominio sulla Toscana.”

“Svevo?” chiedo, cercando di ricordare bene il termine.

“Sì!” Veronika annuisce. “Venivano dal sud della Germania, gente pratica e senza troppi fronzoli. Se i castelli toscani sono eleganti signori rinascimentali con la barba curata, questi sono guerrieri con la mascella quadrata e la spada in mano. Pietra, linee dritte, funzionali e massicci, niente orpelli inutili.”

Skippy gonfia il petto, si mette in posa da guerriera sveva, poi guarda le sue zampette corte… e sospira rassegnata. La scena, più buffa che minacciosa, ci strappa una risata.

“Come un pezzo di Germania trapiantato in Toscana, quindi” commento, lanciando un’occhiata giù. Il Castello spicca per la sua forma geometrica e massiccia, un contrasto netto con il resto della città.

“Ma non c’è solo questo” aggiunge Veronika, scorrendo le righe della guida. “Prato ha sempre trasformato tessuti: prima con la lana rigenerata, oggi con il riciclo all’avanguardia.”

“Economia circolare prima che fosse di moda” osservo con un sorriso.

“Esatto!” ribatte lei, scattando una foto del panorama. “Chi lo avrebbe detto che da questa città partivano tessuti per tutta Europa?”

Nel frattempo Prato scorre sotto di noi e il Castello svanisce dalla vista, lasciando il posto alle colline morbide del Montalbano, distese tra vigneti e oliveti.

“Prato è sempre stata all’avanguardia: un tempo capitale del tessile, oggi esempio di economia circolare. Un’arte che trasforma e rinnova senza mai dimenticare la propria storia.”

Il Castello di Prato visto dall’alto (foto da Flight Simulator 2024)

Omaggio a Vinci: il volo del genio

Per superare le colline devo guadagnare quota: accelero leggermente e il Cessna 172 risponde con un ronzio più intenso. È un passaggio che ho già fatto ma ogni volta avverto quella sottile pressione alle orecchie che mi ricorda quanto velocemente stiamo salendo. Un paio di deglutizioni e il fastidio si scioglie, lasciando spazio solo alla meraviglia del panorama.

Superate le colline, Vinci ci accoglie sotto un cielo che sfuma nel viola. Sotto di noi il borgo appare piccolo e solenne con le luci dei lampioni già accese.

“Guardate” dico indicando il borgo che si svela tra i rilievi. “Eccola lì: Vinci. Veronika la ricordi?”

Lei abbassa la fotocamera e sorride. “Come potrei dimenticarla? Il nostro weekend in moto… Le stradine strette, il museo. Era come se Leonardo fosse ancora lì a osservare ogni visitatore.”

Lascio che lo sguardo si perda tra i tetti del borgo. Questa è la sua terra, il punto da cui tutto ha avuto inizio.

“La casa natale di Leonardo, piccola e solitaria tra le colline, aveva una finestra spalancata sulla sua ispirazione: la luce che mutava col giorno, il vento che accarezzava gli ulivi, gli uccelli che si libravano nel cielo. Bastava affacciarsi per capire da dove fosse nata la sua ossessione per il volo.”

Veronika sfoglia nuovamente la guida che tiene sempre sulle ginocchia. “Dice che Leonardo studiava gli uccelli fin da ragazzo, cercando di capire come riuscissero a sfruttare l’aria.”

Mi illumino. Leonardo non è mai stato solo un nome sui libri per me. È stato una scoperta continua, un’ispirazione senza tempo.

“Sì” rispondo con entusiasmo. “Da bambino ho letto e visto di tutto su di lui. Era ossessionato dal volo. Disegnava ali meccaniche, alianti e persino la vite aerea, un prototipo di elicottero. E pensa: tutto questo nel 1400. Parlava di resistenza dell’aria, di profili alari… stava costruendo il futuro senza nemmeno saperlo.”

Veronika osserva il borgo sotto di noi, quasi ipnotizzata. “Era avanti di secoli.”

“Molto più di un inventore” aggiungo, completando un primo giro sopra Vinci. “Leonardo non vedeva il volo solo come scienza ma come un sogno, una libertà conquistata. Ha scritto che ‘chiunque proverà il volo camminerà sulla terra con lo sguardo rivolto al cielo, perché là è stato e là desidererà tornare’. Non era solo ingegneria, era poesia.”

Un ultimo passaggio su Vinci, quasi un saluto al genio che sognava il volo prima che fosse realtà.

Davanti a noi i lampioni disegnano un sentiero luminoso nel crepuscolo, una linea perfetta che sembra indicarci la rotta.

“Guarda” dico a Veronika, indicando la strada che si distende sotto di noi. “È come se ci stesse mostrando la via.”

Lei segue il tracciato con lo sguardo, osservandolo dissolversi verso l’orizzonte, dritto e deciso. “E punta esattamente verso Lucca.”

Allineo il Cessna alla sua traiettoria, lasciando che la strada diventi il nostro riferimento naturale. Come se, da Vinci, il viaggio fosse già stato tracciato.

Davanti a noi Lucca ci aspetta, pronta a raccontarci la sua storia.

“Leonardo non si limitava a sognare il volo, cercava di capirlo. Ogni grande invenzione nasce prima da un’idea, poi dalla volontà di trasformarla in realtà.”

Omaggio a Leonardo (foto da leonardo.ai)

L’approdo a Lucca

Lucca, con nostra meraviglia, appare come un’isola incastonata tra i tetti rossi della Toscana, un gioiello sospeso nel tempo, protetto dal suo anello perfetto di mura cinquecentesche. La Lucca antica dall’alto, con la sua forma chiusa e compatta, si distingue da tutto il resto, come un mondo a sé.

“Guardala, sembra un’isola!” esclamo in cuffia mentre riduco la velocità per godermi la vista.

Veronika, immersa nella lettura della guida, annuisce. “Dice che queste mura sono tra le meglio conservate d’Italia. Un tempo servivano a difendere la città, oggi sono un parco dove la gente passeggia, corre e va in bicicletta.”

Osservo la cintura verde che abbraccia Lucca, perfetta nella sua geometria. “Un parco su una fortificazione… Leonardo avrebbe approvato.”

Quando siamo ormai prossimi al sorvolo, Veronika si ferma su un paragrafo e inclina leggermente la testa.

“Aspetta… qui dice che nel cuore della città c’è una piazza ovale, costruita esattamente sul perimetro di un antico anfiteatro romano. Ora è circondata da edifici che ne rispettano la forma.”

Chiude la guida e scruta la cittadina che ora scorre sotto di noi.

“Deve essere da qualche parte qui sotto…”

Riduco ancora la velocità, lasciandole il tempo di cercarla mentre eseguo una lunga virata sul centro cittadino. I vicoli si susseguono, le piazze si aprono e si chiudono tra i palazzi, fino a quando…

“Eccola!” esclama all’improvviso, puntando il dito con entusiasmo.

Sotto di noi un’ellisse perfetta si incastona nel tessuto urbano, come un’orma lasciata dal passato. I contorni dell’antico anfiteatro romano sono ancora lì, scolpiti nella città.

Piazza dell’Anfiteatro” dice, riconoscendola subito.

Osservo la sua forma e penso che un tempo riecheggiava delle voci della folla, degli spettacoli pubblici, delle celebrazioni, mentre oggi è un luogo di incontri e di vita.

Veronika osserva rapita la piazza che si apre sotto di noi.

“Deve essere bellissimo vederla da terra.”

Sorrido. “Lo sarà. Ti prometto che, una volta finita questa nostra avventura, ci torniamo insieme.”

Lei si volta verso di me con un sorriso che dice tutto.

“Ci conto.”

Dopo un paio di volteggi sulla città puntiamo il muso verso il fiume Serchio lasciando che ci guidi verso la prossima meta.

Veronika si appoggia allo schienale, soddisfatta.

“Vista così, l’Italia sembra ancora più bella.”

“Lucca è un’isola nel tempo, un luogo che ha saputo custodire la sua storia tra mura perfette e piazze che parlano del passato.”

Lucca che sembra un isola (foto da Flight Simulator 2024)

L’incanto di Pisa

Dopo un tratto di volo lineare e rilassante, che ci permette di imprimere nella mente ciò che abbiamo vissuto finora, all’orizzonte si accende Pisa. Le sue luci brillano come gemme nella notte, ma è la Piazza dei Miracoli a catturare i nostri sguardi. Avvolta nel suo alone dorato, emerge come un faro, distinta dal resto, perfettamente consapevole di essere il cuore di questa scena.

“Non è uno spettacolo?” chiedo indicando la piazza.

Veronika si sporge leggermente, la fotocamera già pronta. “Perfetta. Vederla così, dall’alto, la rende ancora più incredibile.”

“Abbiamo fatto bene a scegliere questo orario” aggiungo con un sorriso. “È il momento perfetto per ammirarla.”

Scivoliamo lentamente sopra la piazza, lasciandoci avvolgere dalla sua bellezza. La Torre Pendente, il Duomo di Pisa e il Battistero di San Giovanni brillano come sculture sospese nel tempo, le ombre si allungano sulle lastre di marmo, scolpendo i dettagli come un dipinto vivo. Sono lì da secoli, testimoni silenziosi di storie che ancora riecheggiano tra queste mura.

Per un attimo restiamo in silenzio, immersi nel panorama. Solo ora ci accorgiamo che qualcosa è insolito.

“Aspetta un attimo…” mormora Veronika, voltandosi verso il sedile posteriore. “Skippy è troppo silenziosa.”

Ci scambiamo un’occhiata. Fino ad ora non ce ne eravamo resi conto, rapiti dal paesaggio.

Mi giro e la trovo rannicchiata sul sedile, immersa in un sonno profondo. Il respiro lento, gli occhialoni scivolati sul muso, l’aria di chi ha combattuto eroicamente contro la stanchezza… e ha perso.

Veronika sorride con tenerezza, sfiorandole appena il pelo. “Si è addormentata senza che ce ne accorgessimo.”

Mi scappa una risata. “Credo che la giornata l’abbia messa KO.”

Skippy, che di solito osserva tutto con l’entusiasmo di un’esploratrice, stavolta si è lasciata cullare dal volo, dalla voce calma della radio, dal battito regolare dei pistoni dell’aereo. Forse, penso, è il modo in cui ci dimostra che si fida di noi, sapendo che qualunque sia la meta ci arriveremo insieme.

“Nessun problema” sussurra Veronika, “Vedrà tutto tra poco, anche se da terra.”

Torniamo a osservare la città, lasciando dormire beatamente la piccola esploratrice. La Torre Pendente si mostra in tutta la sua inclinazione impossibile, sfidando le leggi della fisica, eppure, contro ogni previsione, è rimasta in piedi per secoli diventando il simbolo di un’intera città.

“Sai che Galileo Galilei è nato qui?” dice Veronika, leggendo dalla guida.

“Non lo sapevi l’altra volta?” chiedo, imbarazzato e divertito.

“No!” risponde sorridendo. “È colpa tua che non mi dici le cose!” scherza colpendomi con un pugno leggero la spalla destra, poi aggiunge: “Dice che fece i suoi esperimenti proprio dalla Torre Pendente, facendo cadere oggetti per studiare la gravità.”

Mi fermo un istante a immaginare la scena: la piazza silenziosa, l’aria ferma del mattino, un uomo che lascia cadere due sfere dalla cima della Torre, sfidando le credenze di un’epoca intera.

“È strano pensare che da qui siano nate scoperte che hanno cambiato il mondo.” conclude.

“A Pisa la scienza ha sfidato la gravità e la storia ha lasciato un segno indelebile. Ogni pietra racconta una scoperta, ogni ombra conserva un’idea.”

Piazza dei Miracoli con la torre pendente (foto da Flight Simulator 2024)

Atterraggio

Appena le ruote toccano terra, dalla cabina si sente un lungo sbadiglio. Skippy si stiracchia come un gatto, gli occhialoni scivolano sul muso, poi ci guarda con lo sguardo di chi non ha ancora capito in che anno siamo.

Skippy solleva il musetto con aria confusa e spettinata, gli occhialoni scivolati di lato sulla testa. Ci guarda con uno sguardo stralunato, come se cercasse di capire dove si trova.

Veronika ride e le passa una mano sulla testa. “Sei sveglia, dormigliona? Tra poco vedremo la Torre Pendente.”

Skippy inclina la testa, sbattendo le palpebre come se la parola non avesse alcun senso per lei.

“Torre? Che torre?” sembra chiedere con lo sguardo.

Io e Veronika ci guardiamo per un attimo… poi scoppiamo a ridere.

Skippy sbatte le palpebre, confusa, poi lancia un lungo sospiro teatrale. Con una lentezza esasperata si sistema gli occhialoni, si stiracchia con la dignità di un’eroina stanca… e crolla di nuovo a dormire.

Fuori l’aria è fresca e Pisa si distende sotto un cielo trapunto di stelle. Il Cessna 172 riposa in piazzola, ma la città è ancora sveglia, pronta a regalarci un’ultima sorpresa.

“Ogni atterraggio segna la fine di una rotta ma l’inizio di una nuova avventura. E Pisa, sotto il cielo stellato, ci promette ancora una notte da ricordare.”

01 + Diario di Viaggio Firenze

Arrivo a Firenze

Il taxi ci lascia nel cuore di Firenze, dove le strade strette e lastricate sembrano intrecciarsi in un labirinto che porta i segni del tempo e delle trasformazioni. Qui edifici medievali e rinascimentali si mescolano con palazzi più moderni, ricostruiti dopo la guerra, alcuni perfettamente integrati nel tessuto urbano, altri più spigolosi, quasi fuori posto in questa città di arte e armonia. Nonostante tutto Firenze ha imparato a convivere con queste contraddizioni, custodendo la sua anima tra passato e presente.

“Ci siamo” dico, mentre Skippy allunga il muso verso l’aria frizzante del mattino, inspirando con curiosità. Con passo deciso ci incamminiamo verso il centro.

Sbucando da una stradina stretta la Cattedrale di Santa Maria del Fiore si staglia davanti a noi in tutta la sua imponenza.

“Incredibile come riesca sempre a sorprendermi” mormora Veronika, sollevando lo sguardo verso la Cupola del Brunelleschi che dall’alto ci aveva già lasciato senza fiato durante il volo.

Oggi decidiamo di salire sul Campanile di Giotto: meno affollato e con una vista altrettanto spettacolare. In fondo la cupola l’abbiamo già vista dall’alto poco fa.

In fila per i biglietti raccolgo un volantino e comincio a leggere ad alta voce per passare il tempo. “Sapevi che il Campanile è alto 85 metri? Dovremo fare 414 gradini per arrivare in cima e non c’è nessun ascensore.”

Skippy, inizialmente entusiasta di esplorare, si blocca sentendo queste parole. I suoi occhi seguono i gradini poi lancia un verso lamentoso, si gira lentamente e con un gesto plateale si infila di testa nel mio zaino, lasciando fuori solo le orecchie.

Veronika scoppia a ridere. “Sta succedendo davvero?”

“Direi di sì” rispondo, sentendo il peso improvviso sulle spalle. “Complimenti per la tattica, esploratrice provetta.”

Skippy emette un verso soddisfatto e si sistema meglio nel suo nuovo trono mobile, felice di aver avuto un colpo di genio.

La salita è un esercizio di resistenza, soprattutto con Skippy comodamente seduta nello zaino sulle mie spalle, ma ogni sosta offre uno scorcio sempre più spettacolare su Firenze. Quando finalmente raggiungiamo la sommità il vento ci accoglie con una carezza leggera. Da qui la vista ripaga lo sforzo con l’Arno che scorre tra i palazzi, le colline lontane che incorniciano il tutto e la città viva con la piazza sotto di noi piena di turisti.

Veronika si appoggia alla balaustra, il respiro ancora un po’ corto. “Che spettacolo.”

Skippy, che nel frattempo è uscita dallo zaino e ora si affaccia curiosa sulla mia spalla, sembra ipnotizzata dal panorama.

“Chissà come doveva apparire ai fiorentini di un tempo” aggiunge Veronika, lasciando vagare lo sguardo sulla città che si stende fino all’orizzonte.

Poi indica l’edificio ottagonale al centro della piazza con la sua elegante decorazione in marmo bianco e verde. “Posso chiederti cosa è quello?” chiede, osservandolo con curiosità.

“È il Battistero di San Giovanni” rispondo. “Uno degli edifici più antichi di Firenze, costruito tra l’XI e il XII secolo. La sua forma ottagonale simboleggia l’ottavo giorno, quello della resurrezione, secondo la tradizione cristiana.”

Veronika inclina la testa, interessata. “Quindi qui battezzavano tutti i fiorentini?”

“Esatto. Per secoli, prima che venisse costruito il fonte battesimale dentro la Cattedrale, i bambini fiorentini venivano battezzati proprio qui. Pensa che anche Dante Alighieri fu battezzato in questo battistero.”

Veronika sorride. “L’ultima volta avevo dimenticato di chiedertelo anche se dalla piazza mi aveva colpito per la sua bellezza.”

Sorrido e le indico le grandi porte di bronzo del battistero rivolte verso la Cattedrale. “E guarda quelle: le chiamano le ‘Porte del Paradiso’. Le ha realizzate Lorenzo Ghiberti nel Quattrocento e Michelangelo disse che erano così belle da poter essere le porte del paradiso.”

Veronika osserva i rilievi dorati con attenzione. “Quindi stiamo guardando un capolavoro dentro un altro capolavoro.”

“Già e questa è Firenze” le rispondo con un sorriso.

“Firenze è una città che sorprende sempre: un equilibrio perfetto tra passato e presente, dove ogni strada, ogni piazza e ogni monumento raccontano una storia senza tempo.”

il Campanile di Giotto (foto da google heart)

Un pranzo con una storia da raccontare

Dopo la lunga discesa dal Campanile di Giotto le gambe iniziano a protestare. La sveglia all’alba e il viaggio ci hanno messo fame e, anche se è ancora presto, l’idea di un pasto tipico fiorentino diventa irresistibile.

Attraversiamo Piazza della Signoria che si apre davanti a noi come un grande palcoscenico di storia e arte. La Loggia dei Lanzi, con le sue statue imponenti, osserva silenziosa il via vai dei turisti mentre il maestoso Palazzo Vecchio, con la sua torre, si erge fiero e imponente. A pochi passi la copia del David di Michelangelo domina la scena, ricordando a tutti il legame indissolubile tra Firenze e il Rinascimento.

Evitiamo i locali turistici e ci infiliamo in una piccola trattoria nascosta in un vicolo laterale, lontano dalla folla. L’aria è densa del profumo di schiacciata fiorentina appena sfornata e spezie, i pochi tavoli in legno scuro raccontano di un luogo rimasto immutato nel tempo.

Ci accoglie una signora anziana con i capelli raccolti in uno chignon impeccabile e un grembiule consumato dall’uso. Il suo volto porta i segni del tempo ma il sorriso che ci rivolge è di chi ha visto Firenze cambiare mille volte senza mai perdere la sua essenza.

“Siete forestieri, vero?” chiede con un tono bonario mentre ci porge un menù scritto a mano.

“Sì, anche se un po’ ci sentiamo a casa” rispondo, scorrendo le proposte del giorno. “Non è la prima volta che veniamo a Firenze.”

Veronika posa il menù con decisione. “Vorremmo provare qualcosa di veramente fiorentino.”

La donna sorride con un lampo d’orgoglio negli occhi. “Allora vi porto dell’ottimo lampredotto.”

Quando ritorna porta con sé una piccola pentola di terracotta, un “coccio” tradizionale, da cui si sprigiona un aroma intenso e speziato. Appoggia la pentola al centro del tavolo e, con un gesto misurato, solleva il coperchio. Il vapore caldo si mescola all’aria, avvolgendoci in un profumo che sa di antiche osterie e di storia.

Si ferma accanto al tavolo, aspettando di vedere la nostra reazione al primo assaggio. Veronika prende un boccone, chiude gli occhi e annuisce lentamente.

“Ma è buonissimo” esclama con un sorriso sorpreso. “Ha un sapore così intenso ma allo stesso tempo delicato.”

La donna sorride, compiaciuta. “Sai, quando ero bambina, il lampredotto era il pasto dei lavoratori. Mio padre faceva il ciabattino e ogni sabato mi portava qui a mangiarlo, seduti proprio a questo tavolo.”

Le sue parole ci trasportano in un’altra epoca. La immaginiamo, bambina, seduta accanto a suo padre con un panino tra le mani e gli occhi curiosi rivolti al mondo. Mi soffermo a pensare che un viaggio non è fatto di sole opere d’arte o viste mozzafiato ma anche di storie, di gesti tramandati, di sapori che resistono al tempo. Così le chiedo di raccontarci di più.

La signora si siede accanto a noi, prendendosi un momento di pausa. “Un tempo il lampredotto era il cibo del popolo. Chi lavorava tutto il giorno nei mercati, nelle botteghe, non poteva permettersi i tagli nobili della carne. Così si usava tutto. Con il tempo quella che era una necessità è diventata una tradizione, un sapore che sa di casa.”

Quando ci alziamo per andare via, Assunta ci osserva con un sorriso appena accennato, come se sapesse di averci lasciato qualcosa di più di un semplice pasto.

“E ricordate che Firenze non si racconta, si assapora.”

Fa una piccola pausa, come se volesse assaporare anche lei quelle parole prima di concludere. Poi aggiunge con voce più bassa, quasi confidenziale:

“È come il lampredotto: all’apparenza semplice ma se lo vivi davvero scopri sapori che non ti aspettavi.”

Usciamo dalla trattoria con la sensazione di aver assaporato non solo un piatto tipico ma anche un pezzetto della Firenze più autentica.

Mentre ci incamminiamo per le strade del centro Veronika si accorge che Skippy sembra avere qualcosa tra le mani. Si avvicina con curiosità e, con un sorriso, chiede: «Che cosa hai lì, piccola esploratrice?» Skippy, con uno sguardo solenne, solleva tra le zampe un tappo di sughero come se stesse presentando un trofeo conquistato con grande onore.

«È il tappo della bottiglia di vino che abbiamo bevuto a pranzo?». Skippy, con un lieve movimento del muso, solleva il tappo con aria di vittoria, come se stesse dicendo “esattamente!”

Veronika sorride, complice del suo gesto. «Ah, quindi questo è il tuo souvenir di Firenze?» le dice con affetto. «Che idea fantastica, Skippy!» Poi, con un sorriso malizioso, aggiunge: «Mettilo nello zaino con gli altri souvenir che raccoglierai durante il nostro viaggio.»

Io intervengo, ridendo: «Ottima idea, Skippy! Questo è sicuramente un ricordo speciale.»

Skippy, con la massima delicatezza, adagia il tappo nello zaino e torna a trotterellare allegra tra le strade di Firenze. Passeggiando mano nella mano con Veronika sento che ogni passo, ogni piccolo gesto, sta contribuendo a rendere questo viaggio ancora più unico.

“Firenze non si racconta, si assapora. Ogni piatto, ogni sapore è una storia che resiste al tempo.”

la singora Assunta con il suo lampredotto (foto leonardo.ai)

Il Ponte Vecchio: Storia sospesa sull’Arno

Seguendo il flusso incessante di turisti e fiorentini che affollano le strade del centro arriviamo al Ponte Vecchio.

Man mano il vociare si fa più intenso, il suono dei passi si mescola a quello dei musicisti di strada che animano il Lungarno con le loro melodie. L’atmosfera ha qualcosa di magico: le botteghe storiche, colme di gioielli e oggetti scintillanti, sembrano sospese tra cielo e acqua affacciandosi direttamente sul fiume.

“Non sembra nemmeno un ponte” dice Veronika, guardandosi intorno con meraviglia.

“Effettivamente sembra più una strada” rispondo, osservando le vetrine ornate d’oro e pietre preziose.

Poco più avanti una guida turistica sta spiegando la storia del ponte a un gruppo di visitatori. Non posso evitare di ascoltare.

“Pare che nel Medioevo qui ci fossero macellerie” dico sottovoce a Veronika, indicando le strutture basse delle botteghe. “Però i macellai gettavano gli scarti direttamente nell’Arno finché Ferdinando I de’ Medici non decise di sostituirli con orafi e gioiellieri.”

“Macellerie? Su un ponte come questo?” sgrana gli occhi.

“Già, voleva migliorare l’immagine del ponte e risolvere il problema degli odori… diciamo poco piacevoli” aggiungo con un sorriso.

Veronika sorride al pensiero mentre continuiamo a camminare tra i negozi che, nonostante i secoli, sembrano ancora mantenere un fascino senza tempo.

Poi, alzando lo sguardo, Veronika nota una struttura che sovrasta le botteghe. “E quello? Cos’è quella specie di corridoio?”

“Credo sia il Corridoio Vasariano” rispondo, frugando nella tasca per estrarre una brochure che avevo recuperato mentre facevamo i biglietti al campanile. “Dice che fu costruito nel 1565 per volere di Cosimo I de’ Medici. Permetteva ai granduchi di spostarsi da Palazzo Vecchio a Palazzo Pitti senza doversi mescolare alla folla.”

Veronika segue con lo sguardo il passaggio sopraelevato che corre lungo il ponte come un sentiero segreto della nobiltà.

“Dovevano proprio fidarsi poco della gente” commenta con una punta di ironia.

“Beh, ai tempi governare Firenze non era esattamente un compito facile” dico “Credo fosse meglio avere un passaggio sicuro che rischiare imboscate tra la folla.”

Ci fermiamo al centro del ponte dove un piccolo spazio aperto regala una vista mozzafiato sull’Arno. L’acqua riflette la luce dorata della giornata mentre il mormorio della città si mescola al suono del fiume che scorre placido.

Veronika si appoggia alla balaustra e sospira. “Chissà quanti mercanti, artisti e viaggiatori hanno attraversato questo ponte nei secoli.”

Un piccolo pannello informativo accanto a una bottega attira la mia attenzione. “Guarda qui Vero. Dice che questo ponte ha visto di tutto: alluvioni, guerre e persino un re che vi rimase bloccato. Durante l’alluvione del 1966 l’Arno sommerse le botteghe, distruggendo gioielli e libri contabili. E pare che nel 1495 il re di Francia Carlo VIII rimase incastrato con il suo cavallo tra i negozi troppo stretti. Dopo quell’episodio iniziarono a regolamentare meglio lo spazio qui sopra.”

Veronika scorre con lo sguardo il pannello. “Quindi non è sempre stato così ordinato?”

“Evidentemente Firenze ha dovuto trovare il suo equilibrio, proprio come questo ponte.”

Restiamo qualche minuto in silenzio, lasciando che la storia del ponte si intrecci ai suoni della città e al fluire dell’Arno sotto di noi.

“Il Ponte Vecchio è più di un ponte: è una passerella sospesa nella storia, dove ogni passo racconta un secolo di vita fiorentina.”

vista del Ponte Vecchio dal Lungarno (foto da google heart)

Palazzo Pitti e i Giardini di Boboli: il potere e la bellezza

Attraversato il Ponte Vecchio ci ritroviamo di fronte alla massiccia facciata di Palazzo Pitti. Le pietre grezze, squadrate e possenti trasmettono un senso di imponenza quasi schiacciante. È un contrasto netto con l’eleganza dei palazzi rinascimentali del centro e, per un attimo, rimaniamo in silenzio osservandolo.

“Non me lo ricordavo così… massiccio” commenta Veronika, inclinandosi leggermente all’indietro per coglierne l’altezza.

“Già, sembra quasi fuori posto rispetto al resto della città” rispondo, scorrendo lo sguardo lungo la facciata severa. “Eppure è stato costruito proprio per essere il simbolo della grandezza di una famiglia.”

Facciamo il biglietto e ci uniamo a un gruppo di turisti radunati attorno a una guida locale, una donna dai capelli ricci che parla con il tono appassionato di chi racconta una storia mille volte senza perdere entusiasmo.

Palazzo Pitti fu costruito a metà del Quattrocento per volere di Luca Pitti, un banchiere fiorentino che voleva superare per grandezza e maestosità il Palazzo Medici Riccardi, la residenza dei suoi rivali.”

Veronika solleva un sopracciglio. “Quindi era una questione di ego?”

La guida annuisce con un sorriso. “Assolutamente. Pitti voleva finestre grandi quanto le porte di Palazzo Medici e una facciata imponente per dimostrare il suo potere. Ma ironia della sorte, pochi decenni dopo, la famiglia Pitti cadde in disgrazia e chi comprò il palazzo?”

“I Medici” risponde un uomo del gruppo prima ancora che qualcuno possa rifletterci.

“Quindi alla fine hanno vinto loro.” commento divertito.

“Come sempre” aggiunge la guida con un sorriso. “Lo trasformarono nella loro residenza ufficiale e da qui governarono Firenze e la Toscana.”

Veronika osserva le finestre alte e strette. “Chissà com’era viverci…”

“Probabilmente lussuoso e caotico” risponde la guida aggiungendo subito dopo: “Pensiamo solo a quanti artisti e scienziati hanno frequentato queste stanze. Qui hanno vissuto Cosimo I de’ Medici, Eleonora di Toledo e poi i Lorena, persino i Savoia quando Firenze era capitale d’Italia. Dentro il palazzo oggi si possono visitare gli Appartamenti Reali, la Galleria Palatina con opere di Raffaello e Tiziano, la Galleria d’Arte Moderna e persino una farmacia storica.”

“Una farmacia?” ripete una turista incuriosita.

“Esatto” conferma la guida. “Una spezieria di corte per l’esattezza, dove venivano preparati rimedi e unguenti per la famiglia ducale.”

Mentre la guida prosegue, Skippy si arrampica con agilità sulla spalla della donna, afferrando con le zampette la piccola bandierina che la guida teneva in mano per farsi seguire dal gruppo. Per un attimo tutti restiamo in silenzio, io e Veronika imbarazzati, poi una risata collettiva esplode tra i turisti.

“Ehi, ma sei proprio un’assistente perfetta!” esclama la guida, accarezzandole la testa. “Direi che abbiamo trovato la nostra mascotte ufficiale!”

Skippy, fiera della sua performance, solleva la testa e batte una zampa sul petto. Poi, con un’aria teatrale, saluta il gruppo con un piccolo gesto della zampa mentre i turisti scattano foto ridendo.

“Attenta” ridacchia Veronika. “Se si affeziona potrebbe voler restare qui.”

Skippy batte le zampette sulla spalla della guida, poi si sistema meglio, come se il posto le piacesse davvero.

Ci addentriamo nel cortile interno circondato da colonne imponenti che sembrano stringersi attorno a noi. L’ombra fresca e la pietra antica creano un’atmosfera solenne, come se il tempo qui scorresse più lentamente.

Poi un arco si apre su un vialetto alberato e davanti a noi si dispiega l’immenso Giardino di Boboli.

“Palazzo Pitti è la prova che il potere può cambiare mano ma la grandezza resta. Ogni pietra racconta di ambizioni, cadute e rinascite, in un continuo intreccio di storia e arte.”

Palazzo Pitti e la sua piazza antistante (foto da google heart)

Tra natura e potere: il Giardino di Boboli

Appena varcato il cancello monumentale ci ritroviamo immersi in un labirinto di viali ordinati, siepi geometriche e statue di marmo.

“Wow” esclama Veronika. “È immenso.”

“Questo è il primo giardino all’italiana della storia” spiega la guida mentre ci incamminiamo lungo un viale alberato. “Fu realizzato nel Cinquecento per Eleonora di Toledo, moglie di Cosimo I de’ Medici. Era uno spazio privato ma anche un modo per dimostrare il potere della famiglia.”

“Ogni cosa qui sembra studiata per impressionare” commenta una turista osservando la precisione geometrica del paesaggio.

La guida annuisce. “Esattamente. Qui tutto ha un significato politico. Il potere dei Medici si rifletteva nella simmetria perfetta del giardino.”

Skippy, ancora in spalla alla guida, si sporge per osservare una statua vicino alla Fontana dell’Oceano.

“Quella fontana rappresenta il dominio sulle acque. Nettuno al centro indica che Firenze, pur non essendo sul mare, aveva un controllo strategico sui commerci marittimi.”

Veronika, osservando le figure intorno, mi sussurra. “Queste statue sembrano vive, ferme solo per un momento.”

Più avanti la guida si ferma davanti a un ingresso scolpito nella pietra, ricoperto di stalattiti finte e decorazioni surreali.

“Benvenuti alla Grotta del Buontalenti.”

Varcato l’ingresso ci troviamo in un ambiente che sembra uscito da un sogno. Le pareti, ricoperte di figure scolpite, sembrano sciogliersi nella roccia mentre affreschi e statue emergono come visioni oniriche.

“Non è una grotta naturale” spiega la guida. “Fu costruita per stupire gli ospiti della corte. Ogni dettaglio è stato studiato per creare un’illusione, come se l’arte stesse prendendo vita dalla pietra.”

Skippy, affascinata, inclina la testa e imita la posa di una delle statue, facendo ridere tutto il gruppo.

Proseguendo lungo i sentieri arriviamo ad una terrazza panoramica da cui si può ammirare tutta Firenze.

“Che vista…” mormora Veronika, scattando una foto.

La guida continua con entusiasmo. “Pensate che questo giardino non serviva solo a passeggiare. Qui si svolgevano spettacoli teatrali, feste e persino tornei.”

Mi appoggio alla balaustra osservando Firenze stendersi sotto di noi. “Ecco perché i Medici lo volevano perfetto. Non era solo un giardino, era una dichiarazione di potere.”

Skippy salta giù dal suo posto privilegiato dal quale ha osservato comodamente il paesaggio, si gira verso la guida e le porge la bandierina con un gesto solenne. Poi si volta verso il gruppo e, con un piccolo inchino, si mette una zampetta sul petto come una perfetta aiutante da tour.

Un applauso spontaneo scoppia tra i turisti e la guida ride divertita.

Il sole inizia a calare e sappiamo che è il momento di proseguire. Salutiamo la guida e lasciamo i Giardini di Boboli alle nostre spalle, con la sensazione di aver attraversato secoli di storia e bellezza.

Mentre ci allontaniamo, Skippy si gira un’ultima volta verso il gruppo, alza la zampetta in un piccolo saluto e si gode gli ultimi applausi. Poi, con la dignità di una star, si sistema gli occhialoni e ci segue con passo fiero.

“Il Giardino di Boboli non è solo natura: è potere, arte e teatro all’aperto, un’eredità eterna della Firenze rinascimentale.”

Palazzo Pitti dai Giradini (foto da google heart)

Il Piazzale Michelangelo e l’ultima lezione di Firenze

Lasciati i Giardini di Boboli e usciti da Palazzo Pitti troviamo una carrozza ferma sul ciglio del marciapiede. Il cavallo, un esemplare dal manto scuro e lucido, attende paziente mentre sul sedile di guida siede un uomo dall’aria serena e il cappello a tesa larga calcato sugli occhi.

“Vi porto al Piazzale Michelangelo, signori?” chiede con un accento toscano che profuma di storie vissute.

Ci riflettiamo un attimo, pensando che sarebbe un modo alternativo di spostarsi tra le vie di Firenze, poi saliamo a bordo. Il ritmo cadenzato degli zoccoli sul selciato si mescola al brusio della città mentre ci lasciamo alle spalle il centro storico.

“Quanti turisti vedo passare ogni giorno” riflette il cocchiere mentre guida con gesti sicuri. “Tutti corrono per vedere Firenze ma pochi si fermano davvero a guardarla.”

Il suo tono non è di rimprovero ma di chi ha visto il tempo scorrere su questa città come un fiume, con i suoi cicli di bellezza e distruzione.

“Lei è di Firenze da sempre?” chiede Veronika, incuriosita.

“Da sempre e per sempre” risponde con un sorriso appena accennato. “Mi chiamo Gino e questo è il mio modo di vedere la città: un passo alla volta, con il ritmo di chi non ha fretta.”

Attraversiamo quartieri meno turistici dove le facciate dei palazzi alternano nobiltà e decadenza, la voce di Gino diventa il nostro filo conduttore con la storia di Firenze.

“Questa città l’hanno costruita gli artisti e i mercanti” dice, indicando con un cenno le strade che si aprono su piazzette più intime. “La bellezza non è mai stata fine a se stessa, aveva sempre uno scopo: stupire, governare, ricordare. Pensate a chi ha calcato queste strade… Dante, Michelangelo, Galileo.”

Ci racconta di come il Piazzale Michelangelo sia stato progettato nel 1869 dall’architetto Giuseppe Poggi durante i lavori di rinnovamento della città.

“Doveva essere una celebrazione del genio di Michelangelo” continua, rallentando per indicarci le prime scalinate che conducono alla terrazza panoramica. “Un museo a cielo aperto dedicato a lui… ma il museo non lo costruirono mai. Rimase solo la grande copia del David in bronzo e qualche altra scultura.”

Arriviamo al Piazzale e il tempo sembra dilatarsi. Firenze, da qui, appare in tutto il suo splendore.

“Non è come vederla dall’alto del Campanile di Giotto” dico, appoggiandomi al parapetto. “Qui sembra quasi di farne parte.”

Veronika annuisce. “È come un quadro che cambia ogni minuto.”

Gino sorride, sistemandosi il cappello. “Eppure Firenze è sempre la stessa. Siete voi a cambiare, ogni volta la guardate con occhi diversi. E forse, la prossima volta, non sarà la città a sorprendervi… ma voi stessi.”

Le sue parole ci colpiscono, c’è qualcosa di vero in quel pensiero, qualcosa che ci accompagna mentre scendiamo dal Piazzale e torniamo verso l’Aeroporto di Peretola. Il taxi scorre silenzioso lungo le strade. Firenze si allontana ma questa volta ce la portiamo dietro in un modo nuovo. Gli incontri fatti ci hanno lasciato qualcosa in più e sappiamo che, anche questa volta, il ricordo di questa città resterà con noi, non solo negli occhi ma nel cuore.

“Firenze cambia con chi la guarda: ogni ritorno è un nuovo viaggio, un nuovo sguardo su una città senza tempo.”

01 – Volo Bologna Firenze

Decollo da Ozzano

Siamo sulla pista dell’aviosuperficie di Ozzano, un piccolo aeroporto a pochi chilometri da Bologna, nel cuore dell’Italia settentrionale. L’aria del mattino è fresca e carica di promesse. Il sole illumina il Cessna 172, il suo profilo bianco e blu brilla come un invito al viaggio. Dentro di me, però, l’inquietudine del primo volo non mi abbandona: checklist, carburante, strumenti… tutto sembra in ordine, eppure controllo ancora una volta. È la nostra prima vera tappa, il primo momento in cui questo viaggio diventa realtà, non solo un’idea.

Veronika è sul lato sinistro dell’aereo, vicino al portello di carico, intenta a sistemare le borse con la sua solita precisione. Io sono appena fuori dal velivolo, eseguendo gli ultimi controlli pre-volo mentre Skippy, impaziente, è già nella cabina di pilotaggio.

In piedi sul sedile del copilota, le cuffie troppo grandi per lei, osserva il pannello strumenti con lo sguardo concentrato di chi si sente parte dell’equipaggio. Da giorni ha assorbito ogni informazione possibile sui voli e su questo specifico velivolo. Ora si muove con sicurezza tra i comandi, annuendo come se sapesse esattamente cosa fare.

Mi punta una zampetta contro, poi indica il serbatoio carburante con fare interrogativo.

“Controllato e confermato, Skippy!” rispondo con un sorriso.

Lei sembra soddisfatta della risposta e torna con lo sguardo fisso sul cruscotto. Poi, con grande serietà, alza una zampa e la punta verso uno dei pulsanti del Garmin 1000.

“No, no, no… quello no!” esclamo ma è troppo tardi.

Click.

Un istante dopo la cabina viene invasa da un suono acuto e penetrante. Il computer di bordo ha attivato un allarme di avviso, impostato al massimo volume, trasformando il silenzio mattutino in una sirena assordante.

Veronika sobbalza e si copre le orecchie con un gesto istintivo. Dall’esterno della cabina faccio segno di spegnerlo.

Skippy, colta di sorpresa, agita le zampe nel tentativo di rimediare ma, nel panico, preme un altro pulsante facendo apparire a schermo una schermata di diagnostica incomprensibile.

Scoppiamo tutti a ridere, Skippy compresa. Poi, con un finto broncio, si lascia cadere sulla poltrona da copilota e si volta di lato incrociando le braccia in un gesto teatrale.

“Grazie Skippy, il tuo contributo alla sicurezza del volo è inestimabile!” esclamo con un sorriso mentre ripristino la configurazione originale dell’aereo e disattivo l’allarme.

Con questo allegro siparietto la tensione si è sciolta del tutto. La sua spontaneità e il suo entusiasmo hanno involontariamente spezzato le nostre paure.

Ultimati i controlli e i preparativi saliamo, finalmente, tutti a bordo. Avvio il motore. Do un’ultima occhiata agli strumenti e spingo in avanti la leva del gas. Il motore ruggisce con una potenza che risuona nel petto. Acceleriamo veloci sulla pista, poi il momento magico: il carrello si stacca da terra. Per un istante sembra che il tempo si fermi. Siamo sospesi tra terra e cielo.

Allungo una mano verso Veronika che la stringe forte. Nei suoi occhi vedo la stessa emozione che sento dentro di me. È il nostro primo volo insieme, un momento che non dimenticheremo mai.

All’orizzonte Bologna si svela lentamente. I tetti rossi si mescolano al verde delle colline.

“È come aprire il primo capitolo di un libro ancora tutto da scrivere.”

Veronika pronta al primo decollo (foto da Flight Simulator 2024)

Oltre le torri: Bologna vista dal cielo

Sorvoliamo Bologna, una città che conosciamo a memoria ma che dall’alto sembra quasi nuova. Le strade, i palazzi, i vicoli stretti si trasformano in un intreccio perfetto, un mosaico di storia e modernità che da quassù assume contorni diversi.

Veronika indica la torre sottile che svetta nel cuore della città. “La Torre degli Asinelli!” esclama.

Skippy ci osserva con attenzione e mi viene spontaneo raccontarle. “Sai Skippy, nel XII secolo Bologna aveva più di cento torri. Ogni famiglia nobile costruiva la propria per mostrare il suo potere. Ora ne restano poche ma ognuna ha una storia unica. Quella indicata da Veronika è la più alta delle Due Torri simbolo della città. La Garisenda, più bassa e più inclinata, è ancora nascosta da questa angolazione.”

“L’anno scorso avevamo scoperto, con quella guida mentre salivamo sulla Torre degli Asinelli, che molte sono crollate o sono state demolite.” aggiunge ricordando Veronika.

“Sì, la Torre degli Asinelli però ha resistito. È stata prigione, magazzino e addirittura osservatorio. E la Garisenda? Persino Dante l’ha citata nella ‘Divina Commedia’.”

Skippy, avvistata la Garisenda, con una buffa teatralità si inclina di lato imitandone la pendenza e strappandoci una risata.

Una leggera virata ci porta a sorvolare ora Piazza Maggiore. “Là c’è la Basilica di San Petronio” mormoro, lasciando che lo sguardo si posi sulla sua imponente struttura mentre mantengo l’assetto. “Peccato abbiano fermato i lavori… Papa Pio IV bloccò tutto nel 1560 per paura che oscurasse la grandezza di San Pietro a Roma. Chissà quanto sarebbe stata straordinaria se l’avessero completata.”

Mi lascio avvolgere dal silenzio mentre la sua bellezza incompiuta racconta una storia di ambizione e sfide mai concluse. Poi aggiungo con un sorriso:

“Skippy ti racconto anche questa curiosità. All’interno della Basilica c’è una meridiana straordinaria. Un piccolo foro nella volta, a circa 27 metri d’altezza, lascia entrare un raggio di sole che, a mezzogiorno, proietta un punto luminoso sul pavimento. Questo punto, nei vari giorni dell’anno, si sposta lungo una linea di bronzo incastonata nel pavimento, indicando l’ora solare locale e permettendo di determinare anche la data. Con i suoi 67 metri è una delle meridiane più lunghe del mondo.”

Skippy sembra affascinata mentre osserva la città che continua a scorrere sotto di noi.

Piazza Maggiore con la Basilica di San Petronio (foto da Flight Simulator 2024)

La lunga virata ci ha portato ora sopra un’altra piazza. “Guarda, Vero: Piazza Santo Stefano” dico con un sorriso. “Per me resta sempre la piazza più bella di Bologna, quella dove ho maggiori ricordi.”

“Quella con le Sette Chiese?” chiede lei, incantata dal suo disegno unico visibile dall’alto.

“Proprio così” rispondo, indicando la geometria delle strutture che si intersecano. “È uno dei luoghi più affascinanti della città. Da terra è raccolta, quasi nascosta tra i palazzi, ma dall’alto si apre in tutta la sua armonia, come se fosse stata progettata per essere ammirata da qui.”

“Non sono davvero sette le chiese, giusto?” domanda Veronika, osservando il complesso.

“Esatto. Oggi sono quattro chiese collegate tra loro ma un tempo erano di più. Hanno attraversato secoli di trasformazioni eppure il fascino di questa piazza è rimasto intatto.”

Ci troviamo ad effettuare un ultimo passaggio sopra le Due Torri, lasciando che il cuore di Bologna si fissi nella nostra memoria. Da quassù tutto sembra diverso, quasi immobile, ma sappiamo che sotto di noi la città continua a vivere, a raccontare storie.

Scambio uno sguardo con Veronika e so che stiamo pensando la stessa cosa: ogni volo ci cambierà in modi che ancora non possiamo immaginare. Poi dirigo il Cessna verso il nostro prossimo obiettivo: il Santuario di San Luca.

“Bologna vista dall’alto è un intreccio di storia e modernità, dove le torri medievali incontrano le piazze rinascimentali, raccontando il passato di una città unica.”

Piazza Santo Stefano vista dall’alto (Foto da Flight Simulator 2024)

Il Santuario di San Luca e la metafora del viaggio

I Colli Bolognesi si avvicinano. Tra i profili morbidi delle colline si scorge subito la sagoma familiare del Santuario di San Luca, posato sulla cima come a vigilare sempre su Bologna e i suoi abitanti.

Veronika si sporge leggermente verso il finestrino. “Non importa quante volte lo veda, mi emoziona sempre” mormora.

Indicando il lungo serpente di arcate che si snoda fino alla sommità del colle, le chiedo: “Hai mai notato che sono 666 arcate? È il portico più lungo del mondo.”

Veronika alza un sopracciglio, incuriosita. “666? Non lo sapevo. È un numero un po’ strano per un’opera religiosa, non trovi?”

Accenno una risata. “Lo è. Alcuni dicono che il numero rappresenti il serpente, simbolo del male, mentre il portico simboleggia la sua sconfitta, con ogni arcata come un passo verso la protezione della Madonna di San Luca.”

“Interessante, non me lo avevi mai detto” commenta Veronika. “Beh, devo dire che hanno scelto un bel modo per trasmettere il messaggio.”

“Da quassù sembra quasi piccolo” osserva Veronika. “Eppure, quando sei lì sotto, ogni metro pesa sulle gambe. È la perfetta metafora del viaggio: da lontano tutto sembra semplice ma quando sei nel mezzo del cammino l’unica scelta è continuare a salire. E poi, quando finalmente arrivi in cima, capisci che ogni passo ne è valso la pena.”

Volteggiamo ancora un paio di volte sopra il Santuario, ammirandolo da questa prospettiva inedita. Poi, mentre ci allontaniamo, lascio che l’immagine del portico si imprima nella mente: una lunga salita che conduce a qualcosa di più grande.

“Il portico di San Luca è la perfetta metafora del viaggio: un percorso lungo e faticoso ma con una vista che ripaga ogni sforzo.”

San Luca vista dall’alto (foto da Flight Simulator 2024)

Attraversando gli Appennini: tra memoria e silenzi

Lasciato alle spalle il Colle della Guardia, che ospita il Santuario di San Luca, ci addentriamo nel cuore degli Appennini Tosco-Emiliani.

“È incredibile quanto cambi il paesaggio in così pochi chilometri” osserva Veronika, seguendo con lo sguardo le creste montuose.

“Questi monti non sono solo belli” dico, lasciando che lo sguardo scivoli sulle vallate sotto di noi. “Qui passava la Linea Gotica.”

Veronika mi lancia un’occhiata curiosa. “Linea Gotica?”

“Una barriera difensiva costruita dai tedeschi per fermare l’avanzata degli Alleati nella Seconda Guerra Mondiale. Prima di conoscerti ho esplorato questa zona con un gruppo. C’erano ancora bunker e trincee scavate nella roccia. La guida raccontò storie di uomini in fuga, di resistenza e disperazione.”

Le mie parole restano sospese nell’aria. Veronika guarda il paesaggio con occhi diversi mentre continuo, quasi parlando a me stesso. “Fa impressione pensare che questi sentieri, oggi così quieti, abbiano conosciuto il terrore. Qui riecheggiavano spari, ordini gridati, passi spezzati dalla paura. Dopo la guerra si diceva ‘mai più’ eppure continuiamo a riempire il mondo di confini tracciati col fuoco. Popoli fratelli si combattono, la storia si ripete, e noi? Abbiamo davvero imparato qualcosa o stiamo solo dimenticando più in fretta?”

Dietro di noi, Skippy abbassa le orecchie, come se quelle parole fossero troppo pesanti da portare. Veronika le sfiora appena, un gesto silenzioso di conforto.

Il motore ronza lieve, unico suono in questa distesa di memorie taciute. Sorvoliamo queste montagne e lasciamo che parlino loro. Non serve altro.

“Sorvolare gli Appennini significa anche attraversare la storia: ogni valle custodisce memoria e sacrificio, tra il silenzio della natura e le cicatrici del passato.”

Il lago di Bilancino in lontananza (foto da Flight Simulator 2024)

Mugello e Scarperia: velocità, tradizioni e ricordi

Arriviamo alle colline del Mugello quando, oltre una cresta, si rivela un’ampia distesa d’acqua che scintilla sotto il sole del mattino. “Guarda lì Skippy” dico, indicandola con un cenno. “Quello è il Lago di Bilancino.”

“Non l’avevo mai visto da questa prospettiva!” commenta Veronika, con leggero stupore. “È davvero grande!”

Skippy fissa l’acqua scintillante e mi viene da raccontarle una curiosità: “Sai Skippy, questo lago non è solo bello: è stato costruito negli anni ’90 per proteggere Firenze dalle alluvioni dell’Arno e per garantire l’acqua alla zona. Oggi, però, è anche un luogo di relax. Ci si può fare windsurf, canoa e in estate diventa una meta turistica molto amata offrendo una spiaggia attrezzata a pochi passi dalla città. Anche noi ci siamo venuti spesso con moto e tenda.”

Skippy si illumina per un istante, poi si accascia con una smorfia esagerata, come se solo l’idea di pagaiare fosse una fatica immensa.

Sorvolata l’ultima vetta appare un lungo serpente d’asfalto, perfettamente incastonato nel paesaggio. “Guarda lì” dico, indicando il Circuito del Mugello. “Uno dei tracciati più spettacolari al mondo.”

Veronika con tono scherzoso commenta: “Sembra una pista giocattolo, non ti pare?”

“E invece è il sogno di ogni pilota” rispondo. “Se non sbaglio è di proprietà della Ferrari, qui si svolgono gare importantissime dalla MotoGP ai test di Formula 1.”

Sorvoliamo il circuito e in un attimo siamo sopra Scarperia, un borgo medievale dominato da un edificio imponente.

“Quello è il Palazzo dei Vicari” spiego a Skippy. “Un gioiello del XIV secolo, il simbolo di Scarperia.”

Veronika si sporge per ammirarlo. “E poi ci sono i coltelli, giusto? Mi ricordo la nostra visita a quell’officina artigianale. Ogni pezzo era un’opera d’arte.”

“Proprio così” confermo. “Scarperia è rinomata in tutto il mondo per la produzione di coltelli artigianali. Una tradizione che risale al 1400 e che continua ancora oggi.”

Poco dopo siamo a ridosso del Lago di Bilancino, che continua a risplendere sotto il sole. L’acqua calma riflette il cielo e per un momento lasciamo che il silenzio parli.

“Il Circuito del Mugello racconta storie velocità, coraggio e follia”

Lago di Bilancino (foto da Flight Simulator 2024)

Fiesole: la madre di Firenze

Stiamo sorvolando ora le colline che conducono a Fiesole lasciandoci alle spalle il Lago di Bilancino. L’aria è calma e persino Skippy, di solito irrequieta, osserva tutto con la sua curiosità attenta, seguendo con lo sguardo i dolci rilievi che si susseguono sotto di noi.

“Ci stiamo avvicinando?” chiede Veronika, sporgendosi leggermente verso il finestrino in cerca di qualcosa.

Fiesole? Dovrebbe essere laggiù da qualche parte” rispondo, indicando un punto tra le colline. “Ma, a essere sincero, non so molto su Fiesole oltre al fatto che dovrebbe essere più antica di Firenze.”

Veronika annuisce e si allunga verso il sedile posteriore afferrando la piccola guida della Toscana che abbiamo portato con noi. La sfoglia rapidamente, cercando con le dita la pagina giusta.

Fiesole… aspetta un attimo… eccola!” esclama finalmente con un sorriso soddisfatto. “Dice che è una delle città più antiche della Toscana, fondata dagli Etruschi molto prima di Firenze. Poi è diventata importante sotto i Romani che ci hanno costruito un teatro, mura e templi.”

“E quindi possiamo dire che senza Fiesole, probabilmente, non ci sarebbe stata Firenze” commento mentre il borgo inizia a delinearsi davanti a noi.

“Esatto!” conferma Veronika. “Infatti sembra che per un periodo Firenze fosse addirittura sotto il controllo di Fiesole, finché non l’ha superata in importanza. E guarda qua: dice che c’è un Teatro Romano ancora ben conservato!”

Skippy, con l’entusiasmo di chi ha appena risolto un enigma, spalanca gli occhi, sbatte una zampetta contro il finestrino e indica freneticamente qualcosa in basso, come a dire: Eccolo, eccolo! Guardate lì!

Ridiamo entrambi. “Credo che abbia trovato il Teatro prima di noi” dico scherzando.

Sorvoliamo il borgo osservando la linea delle mura etrusche che ancora oggi lo abbracciano, poi punto il muso dell’aereo verso Firenze.

“Fiesole, più antica di Firenze, custodisce le sue radici etrusche e romane ricordando a ogni visitatore che la storia di una città inizia sempre da lontano.”

Sorvolo di Fiesole (foto da Flight Simulator 2024)

Firenze: tra arte e storia

Firenze si apre davanti a noi, rivelando il suo profilo unico e inconfondibile. Il Duomo, il Campanile di Giotto e il Battistero di San Giovanni spiccano e sembrano dipinti su una tela perfetta, incorniciati dall’Arno che brilla sotto il sole mattutino.

Restiamo in silenzio per un momento, rapiti dalla vista.

Mentre ci avviciniamo alla Cupola del Brunelleschi il mio sguardo rimane fisso su quella meraviglia architettonica. “È il capolavoro di Filippo Brunelleschi” inizio a dire ma Veronika, con la guida ancora aperta in mano, mi interrompe.

“Lo so!” esclama con entusiasmo, sfogliando rapidamente le pagine. “La costruì nel XV secolo ed è ancora oggi la più grande cupola in muratura mai realizzata. Dice qui che per costruirla Brunelleschi ideò tecniche completamente nuove, come il sistema a doppia calotta per ridurre il peso.”

Mi volto verso di lei, imbronciato. “Sembra che la guida sia più informata di me” dico scherzando.

Veronika sorride e continua a leggere, il tono di voce carico di ammirazione. “Nessuno, all’epoca, pensava fosse possibile costruire una cupola così grande. Brunelleschi aveva davvero un genio fuori dal comune.”

“Non si può non essere d’accordo” le rispondo, lasciando che lo sguardo torni sulla cupola che sembra dominare l’intero panorama. “Vederla da qui, così imponente, dà ancora più senso a tutto il lavoro che ha fatto.”

Poco più avanti un intreccio di casette arroccate su un ponte attira l’attenzione di Veronika.

“Guarda, il Ponte Vecchio!”

Non posso fare a meno di sorridere. “Questa la so!” esclamo, fingendo un’aria esperta. “Quello è il Ponte Vecchio, uno dei simboli di Firenze. Fu costruito nel XIV secolo ed è famoso per le botteghe di orafi e gioiellieri che si affacciano sul fiume. E conosco anche una curiosità. Durante la Seconda Guerra Mondiale fu l’unico ponte di Firenze a non essere distrutto dai tedeschi. Pare che sia stato Hitler stesso a ordinare di risparmiarlo.”

Veronika guardando fuori dal finestrino esclama: “Mamma mia quanta gente! Sembra impossibile camminarci sopra.”

“Non è una sorpresa” rispondo. “È uno dei luoghi più iconici della città, sempre pieno di turisti e artisti di strada.”

“Ora guarda là” dico, inclinando leggermente l’aereo per un passaggio più ampio sopra il centro. “Quella è Piazza della Signoria, il cuore politico di Firenze fin dai tempi della Repubblica. Il Palazzo Vecchio, con la sua torre, ha visto secoli di storia, intrighi e grandi decisioni.”

“Bellissima” osserva Veronika.

“Là in fondo invece c’è Santa Croce” aggiungo, indicando la grande basilica. “Ospita le tombe di alcuni dei più grandi italiani di sempre: Michelangelo, Galileo, Machiavelli. È un vero pantheon laico.”

Continuo la virata e rallento ulteriormente per goderci ancora qualche istante di Firenze dall’alto mentre ci avviciniamo all’Aeroporto di Peretola. “Firenze ha sempre qualcosa che ti cattura” dico. “Nonostante l’abbia vista così tante volte è una città che non finisce mai di stupirmi.”

“Sorvolare Firenze è come sfogliare un libro di storia e arte: ogni cupola, torre e piazza racconta secoli di genialità e bellezza.”

Duomo di Firenze (foto da Flight Simulator 2024)

Atterraggio e preparativi

Riduco gradualmente la velocità, lasciando che l’aereo scivoli dolcemente verso la pista. Un attimo di sospensione, poi il suono familiare del carrello che aderisce all’asfalto. Il motore ruggisce appena quando le ruote toccano terra con un leggero sobbalzo. La prima tappa del nostro viaggio è ufficialmente conclusa.

Mentre rulliamo verso la piazzola di sosta, lancio un’occhiata a Veronika: ha un sorriso soddisfatto. “Primo volo perfetto” commenta. “Siamo ufficialmente in viaggio.”

“E adesso tocca alla parte più noiosa” aggiungo scherzando mentre scendiamo per iniziare le operazioni di messa in sicurezza del Cessna 172.

Ci muoviamo con la naturalezza di chi ha già ripetuto questi gesti molte volte. Veronika e io sistemiamo le coperture mentre, con mia sorpresa, Skippy si dà subito da fare afferrando con le zampe i cunei e spingendoli sotto le ruote con espressione concentrata.

“Ma guarda chi sta prendendo il suo ruolo sul serio” esclamo, osservandola con un sorriso. “Forse abbiamo trovato una perfetta addetta alla sicurezza!”

Skippy inclina il muso con aria compiaciuta, poi si batte le zampe sul petto con fierezza, facendo scivolare leggermente gli occhialoni da pilota che tiene sempre poggiati sulla testa. Veronika ride mentre lei si affretta a sistemarseli come se nulla fosse successo.

Mi sorprendo a pensare a quanto sembriamo già una squadra affiatata. È solo la prima tappa eppure ognuno di noi sta già trovando il proprio posto, come se tutto fosse perfettamente sincronizzato. Mi scappa un sorriso: è un bel modo di iniziare questa avventura.

Finito tutto mi asciugo la fronte con il dorso della mano e guardo Veronika. “Tutto pronto!” annuncio con entusiasmo. “Andiamo, Firenze ci aspetta.”

“Il primo volo è concluso ma ogni atterraggio è solo l’inizio di una nuova avventura.”