12 + Diario di Volo Santa Teresa Alghero
Un Triste Risveglio
La luce filtra tra le tende della stanza quando Veronika apre gli occhi. La sento girarsi, afferrare il tablet, scorrere lo schermo con un dito. La sento sbuffare e non dire nulla. Nessuna notifica. Nessuna risposta.
Mi giro verso di lei e la guardo. Dal modo in cui lo sguardo le si perde nel vuoto capisco che la speranza della sera prima sta già svanendo.
Skippy, rannicchiata accanto a lei, apre un occhio e poi si rigira lentamente, avvolgendosi nella coda. Niente saltelli. Niente entusiasmo nemmeno per lei. Solo quel silenzio che non è mai un buon segno.
Provo a spezzare l’atmosfera con il tono più leggero che riesco a trovare:
«Io direi… colazione e poi volo. Olbia, giusto?»
Veronika annuisce, forzando un mezzo sorriso.
«Giusto…» sussurra, anche se il suo sguardo resta incollato allo schermo spento.
Poco dopo passeggiamo tra le vie ancora assonnate di Santa Teresa Gallura. L’aria è limpida, il sole è già alto ma il vento conserva ancora un tocco fresco. Ci sediamo in un bar affacciato sulla piazzetta. Il barista ci consiglia le formaggelle, dolci di ricotta e scorza di limone appena sfornati. Tre porzioni abbondanti arrivano fumanti al tavolo, con lo zucchero a velo che brilla alla luce del mattino.
Assaporo la loro morbidezza che si scioglie in bocca, poi porto lentamente il caffè alle labbra. La mente inizia a mettersi in moto: è il momento di concentrarsi sul piano di volo per Olbia.
Apro il tablet e comincio a visualizzare la rotta. Il meteo sembra stabile anche se, con queste nuvole basse, potremmo avere qualche problema di visibilità.
Skippy ha lo sguardo basso. Tiene tra le zampette un pezzetto di dolce ma non lo morde. Sembra più un pensiero che un boccone.
Poi, all’improvviso…
Bip.
Veronika scatta, riattiva il tablet. Il messaggio è breve ma abbastanza da farle brillare gli occhi.
«Mi ha risposto.» La voce le trema un po’.
Alzo lo sguardo, lasciando perdere il piano di volo. «Gavina?»
Veronika annuisce, l’emozione che riaffiora nei suoi occhi. «Dice che le farebbe davvero piacere incontrarci, parlare del simbolo, della stoffa, di tutto… ma ora vive ad Alghero.»
La fisso per un istante. Poi sorrido. «E allora… andiamo ad Alghero.»
Skippy mi guarda, poi emette un suono quasi felice e mi salta in braccio stringendomi forte. Veronika si passa una mano tra i capelli, incredula, poi ride. Di cuore.
«Le rispondo subito» dice, già digitando. «Vediamo se ci può ricevere nel pomeriggio.»
Io riapro il mio tablet ma non più per tracciare la rotta verso Olbia.
Ora si cambia destinazione. E con essa, anche l’umore.
Skippy mi lancia un’occhiata piena di gratitudine mentre addenta con gioia il suo pezzo di formaggella con un appetito finalmente ritrovato. E Veronika… be’, Veronika ha di nuovo quella scintilla negli occhi.
Il cielo sopra la Gallura è sereno. E adesso lo siamo anche noi.
A volte basta un messaggio per cambiare la rotta di un’intera giornata.

Castelsardo
Poco dopo raggiungiamo il campo volo a sud di Santa Teresa di Gallura dove il Cessna ci aspetta, lucido sotto il sole del mattino. Dopo i controlli di rito porto l’aereo sulla piccola pista erbosa. Spingo la manetta in avanti, le ruote scorrono sull’erba… e in pochi secondi siamo di nuovo in aria.
Il cielo è ancora coperto a tratti da nubi basse ma la visibilità è sufficiente per godersi il panorama. Seguendo la costa verso sud-ovest, ci lasciamo alle spalle Santa Teresa e voliamo sopra un tratto di litorale aspro e frastagliato, dove la vegetazione si aggrappa con ostinazione alle rocce.
Poi, come scolpita nel paesaggio, appare Castelsardo.
Vista dall’alto è impressionante: un intreccio di case colorate arrampicate su un promontorio di origine vulcanica che si getta a picco sul mare. Le rocce scure e irregolari sembrano fondersi con le mura del borgo, mentre la fortezza in cima domina tutto con l’eleganza austera di un guardiano antico.
«Wow…» mormoro, rallentando per poterla osservare meglio.
Veronika alza lo sguardo dalla guida, sorpresa anche lei da quella vista così scenografica. «Sembra uscita da una leggenda» dice.
Sorvoliamo lentamente il borgo, compiendo un paio di virate leggere per godercelo da più angolazioni. Il piccolo porto sotto di noi sembra un rifugio nascosto, incastonato in un’insenatura protetta. Le viuzze si arrampicano a spirale verso il castello, che da quassù appare come il cuore pulsante del borgo.
Veronika sfoglia qualche pagina della guida, poi sorride. «Sai che sotto il castello, secondo una leggenda, esiste un passaggio segreto?»
«Passaggio segreto?» chiedo, senza distogliere gli occhi dal panorama.
«Si dice che conduca a delle stanze sotterranee dove i Doria, quelli che fondarono la città nel 1102, avrebbero nascosto un tesoro.»
Veronika scatta ancora qualche foto, poi resta in silenzio, lo sguardo perso oltre il finestrino, là dove la costa si confonde con il mare.
«Chissà se anche noi troveremo quello che stiamo cercando…» mormora, più a se stessa che a me.
Non rispondo. Punto semplicemente il muso verso l’orizzonte coperto dalle nuvole, lasciando che Castelsardo scivoli alle nostre spalle.
Alcuni luoghi sembrano costruiti per custodire segreti. Altri, per risvegliarli.

Asinara
La traversata del golfo si rivela abbastanza impegnativa. Le nuvole basse, sempre più fitte, iniziano davvero a darmi qualche problema. In breve tempo la visibilità si riduce drasticamente e mi vedo costretto a mantenere la rotta e l’altitudine affidandomi quasi esclusivamente alla strumentazione del Cessna. Non è una situazione preoccupante tuttavia richiede attenzione extra e concentrazione costante.
Accanto a me, Veronika sospira appena, delusa di non poter godere della vista del mare. Decide così di approfittarne per approfondire sulla guida ciò che ci aspetta durante il sorvolo dell’Asinara.
«Sai, Cami, l’Asinara ha una storia incredibile» mi dice alzando appena gli occhi dal libro. «Per oltre un secolo è stata chiusa al pubblico, prima come colonia penale agricola e poi, dagli anni ’70, come carcere di massima sicurezza. È qui che vennero rinchiusi alcuni dei criminali più pericolosi d’Italia, tra cui boss mafiosi e terroristi delle Brigate Rosse. Solo dal 1997 è diventata Parco Nazionale e finalmente aperta ai visitatori.»
Ascolto incuriosito mentre le nuvole iniziano lentamente a diradarsi, permettendomi di intravedere le prime sagome della costa in corrispondenza di Cala d’Oliva, l’unico borgo abitato dell’isola. Veronika prosegue con entusiasmo:
«L’isola è famosa anche per gli asinelli bianchi, una specie rara e molto particolare che vive solo qui. Nessuno sa con certezza come siano arrivati sull’isola, alcuni dicono siano stati importati dall’Egitto nel 1800, altri sostengono invece che siano il risultato di una mutazione genetica locale.»
Getto un’occhiata a Skippy. È immobile, le orecchie basse, gli occhi fissi al finestrino. Ma si capisce che non sta davvero guardando. Approfittando di un momento di relativa calma del volo, allungo una mano per accarezzarle delicatamente la testa. Skippy solleva lentamente lo sguardo verso di me, fissandomi con occhi che mi sembrano più grandi e malinconici del solito. Si lascia accarezzare, appoggiando lievemente la testa sul palmo della mia mano, come a cercare conforto.
Veronika osserva la scena, intuisce la situazione e le sorride dolcemente, aprendo leggermente le braccia: «Vieni qui, Skippy. Non pensare più a ieri, andrà tutto bene oggi, vedrai.»
Skippy si volta verso Veronika, la guarda per qualche secondo con una certa esitazione, poi lentamente si avvicina, lasciandosi avvolgere dal suo abbraccio rassicurante. Veronika le passa affettuosamente la mano sulla schiena, sussurrandole con voce dolce: «Niente paura, Skippy. Oggi è un nuovo giorno. E qualunque cosa accada… ci sarò io a starti accanto. Sempre.»
Sento una piacevole stretta al cuore mentre osservo la scena, sentendomi sollevato nel vedere che Skippy finalmente si rilassa un po’.
Davanti a noi, in lontananza, inizia già a delinearsi il profilo di Stintino, ma per ora lasciamo ancora spazio a questo breve momento di conforto e calore.
Anche nei cieli più grigi, il calore di un gesto sincero può cambiare la rotta del cuore.

La Pelosa e Stintino
Le nuvole si diradano lasciando spazio al sole che illumina il paesaggio dell’arcipelago dell’Asinara che scorre sotto di noi. La splendida spiaggia di La Pelosa, con il suo mare cristallino e la sabbia bianca e finissima che sembra quasi irreale, colpisce gli occhi.
Rallento leggermente il Cessna per permettere a Veronika di godersi appieno il panorama e scattare qualche foto. Lei cerca di coinvolgere Skippy e distrarla un pò.
«Skippy, sai perché questa spiaggia si chiama La Pelosa?» chiede con voce dolce. Skippy alza la testa, curiosa. «C’è scritto che il nome deriva dalla presenza di una vegetazione molto particolare, una specie di alga marina chiamata Posidonia oceanica, che in certi periodi si accumula sulla riva creando una sorta di tappeto morbido e filamentoso. Per questo motivo, vista da lontano, la spiaggia sembra quasi avere una peluria.»
Skippy sembra interessata, le orecchie leggermente sollevate e lo sguardo più attento. Veronika continua: «È considerata una delle spiagge più belle d’Europa. Lì davanti c’è anche una piccola torre aragonese) del XVI secolo, costruita per difendere la costa dalle invasioni dei pirati, che aggiunge mistero e fascino a questo tratto di costa.»
Mentre Veronika racconta mi accorgo che Skippy sembra finalmente distendersi leggermente, forse rasserenata dall’affetto e dall’entusiasmo contagioso di Veronika.
Dopo aver lasciato che lo sguardo si perdesse ancora un po’ nella bellezza del luogo, riallineo il Cessna verso sud. Sorvoliamo Stintino, osservando il piccolo borgo di pescatori che sembra proteso delicatamente sul mare.
«Sai Skippy, Stintino è famoso anche per essere la capitale sarda della vela latina, un’antica imbarcazione tradizionale», aggiunge Veronika, «e il suo nome curioso deriva dal sassarese “istintìnu”, che significa intestino o budello, proprio per la forma allungata e stretta della penisola dove sorge.»
Guardo fuori. L’acqua laggiù sembra dipinta. C’è una bellezza così perfetta da sembrare irreale, e per un attimo mi sorprendo a pensare quanto sia incredibile poter vedere il mondo così, da lassù.
Skippy si sporge leggermente verso il finestrino, come ipnotizzata. Le sue orecchie si muovono appena, mentre resta immobile, in silenzio.
Forse non sta solo ascoltando Veronika. Forse anche lei sente, dentro di sé, che stiamo volando verso qualcosa che conta davvero.
Ci sono luoghi che non si dimenticano e silenzi che dicono tutto

Porto Torres
L’imponente struttura portuale di Porto Torres cattura immediatamente la nostra attenzione mentre ci avviciniamo. Dall’alto osserviamo la zona industriale, con le infrastrutture che testimoniano l’importanza strategica di questo snodo marittimo nel panorama sardo. Enormi silos si stagliano all’orizzonte come sentinelle moderne, silenziose, che custodiscono cereali e mangimi destinati ai mercati di mezza Europa.
Il contrasto con la cittadina è evidente: il grande porto commerciale lascia spazio al pittoresco porticciolo turistico, dove le barche dei pescatori e le imbarcazioni da diporto riposano placidamente.
Veronika mi racconta una curiosità: «Porto Torres è stato un importante centro romano, noto come Turris Libisonis. Oggi possiamo ancora ammirare resti archeologici significativi, come il Ponte Romano sul fiume Mannu e le terme.»
Sorvolando l’area, non posso fare a meno di chiedermi quanti strati di storia si siano sovrapposti qui, invisibili agli occhi. Dai romani ai nuragici, quante tracce dimenticate giacciono ancora sotto terra? E se fossero proprio queste zone, apparentemente secondarie, a custodire i frammenti mancanti della nostra ricerca?
Mi chiedo se Gavina, con la sua esperienza e i suoi studi, riuscirà ad aiutarci a distinguere quei segni antichi dalle ombre che il tempo ha lasciato.
Mentre il porto resta alle nostre spalle, mi accorgo che la tensione silenziosa di stamattina è tornata.
Lo sento anche io: quell’appuntamento del pomeriggio, quell’incontro con Gavina… potrebbe cambiare tutto. O forse… non cambierà niente. Ma ormai siamo troppo avanti per voltarci.
La storia non si mostra sempre in superficie. A volte va cercata sotto strati di tempo e silenzio.

Sassari
Il paesaggio sotto di noi cambia ancora: le coste si fanno lontane e, al loro posto, si distendono dolci colline e distese verdi che annunciano l’entroterra sardo. In lontananza compare Sassari, distesa tra il verde e la pietra.
«Guarda laggiù» dico a Veronika, indicando un rettangolo verde che spicca nel cuore della città. «Quel grande parco al centro…»
Veronika consulta rapidamente la sua guida. «È il Parco di Monserrato, il più grande della città. Ci sono giardini all’italiana, all’inglese e una varietà di piante notevole. Un tempo era parte di una villa nobiliare.»
Sorvoliamo lentamente la zona. Sassari vista dall’alto ha un’armonia tutta sua: i tetti rossi, le strade che si intrecciano, il centro storico che pulsa ancora di storia. Veronika alza gli occhi dal tablet, lo sguardo acceso.
«Lo sai che Sassari fu capitale del Giudicato di Torres? E poi diventò una repubblica indipendente… una delle poche della Sardegna. Oggi è la seconda città dell’isola, sede universitaria e arcivescovile.»
Skippy, con le orecchie dritte e il naso incollato al finestrino, segue il volo con più attenzione. Forse anche lei sente che ci stiamo avvicinando.
«Lì sotto» riprende Veronika, indicando una zona poco più in là, «ci sono i resti del Castello di Sassari. Era una fortezza trapezoidale, con cinque torri agli angoli. Serviva a difendere la città ma oggi ne restano solo alcune sezioni incorporate negli edifici moderni.»
Sorvolando la zona della vecchia valle del Rosello, Veronika aggiunge ancora: «E quella è la fontana di Rosello. Una delle più famose dell’isola, costruita da maestranze genovesi nel Seicento. È considerata uno dei simboli della città.»
Mi godo il racconto mentre osservo il profilo urbano scivolare sotto di noi ma il pensiero va altrove. Ogni città ha le sue storie, le sue leggende, le sue verità sepolte.
E noi… stiamo volando verso una donna che potrebbe aiutarci a dare un senso alla nostra.
Ogni città custodisce segreti: sta a noi decidere quali ascoltare.

Alghero
Le nuvole finalmente si sono diradate, regalandoci una vista spettacolare sulla costa che lentamente ci conduce verso Alghero. La città si rivela a poco a poco sotto di noi, adagiata elegantemente sulla costa nord-occidentale della Sardegna.
«Sai, Cami» comincia Veronika con il suo solito tono curioso «Alghero è soprannominata la “Barceloneta sarda”, perché conserva ancora oggi tantissime tradizioni catalane.»
«Catalane?» rispondo sorpreso, mentre inclino leggermente il Cessna per osservare meglio le mura e i bastioni che circondano il centro storico.
«Sì, il catalano è rimasto nella cultura locale, nell’architettura e persino nella lingua. Qui infatti si parla ancora un dialetto catalano, l’algherese, tramandato dai tempi della dominazione aragonese nel XIV secolo. Se scendiamo in città, potremmo sentirlo ancora nelle stradine.»
Skippy drizza le orecchie incuriosita e Veronika sorride: «Magari impareremo qualche parola insieme!»
Ridiamo entrambi, notando che Skippy sembra finalmente rilassata e di buon umore.
Sorvoliamo il porto turistico, con le sue barche allineate in perfetto ordine, mentre lo sguardo di Veronika si fa pensieroso.
Poi, mentre ci avviciniamo alla città vecchia, abbassa lo sguardo e mormora tra sé, quasi in un pensiero ad alta voce:
«Chissà dove vive, Gavina… e perché ha deciso di trasferirsi qui. Forse anche lei cercava qualcosa…»
Resto in silenzio. Il suo sguardo è fisso là sotto, tra le case e le stradine. Non aggiunge altro ma so che quel pensiero le è rimasto dentro.
Ci allontaniamo lentamente dalla città, dirigendoci verso il promontorio di Capo Caccia. Davanti a noi si staglia imponente la scogliera bianca, sulla cui sommità svetta il faro di Capo Caccia che sembra dominare con eleganza tutto l’orizzonte.
«Guarda che meraviglia quel faro!» esclamo incantato, iniziando a volteggiare attorno alla falesia.
«È stato costruito nel 1864» mi racconta Veronika con la guida aperta sulle gambe, «ed è considerato uno dei fari più alti d’Italia. La sua luce è visibile fino a 24 miglia nautiche di distanza… cioè circa 44 km.»
Sorvolando la parete della falesia, individuiamo chiaramente una lunga scalinata che si aggrappa alla roccia.
«Quella è l’Escala del Cabirol» dice Veronika indicando verso il basso, «una scala scavata direttamente nella parete della falesia: 654 gradini che portano fino all’ingresso delle Grotte di Nettuno. Un complesso spettacolare di grotte marine, tra le più grandi d’Italia.»
«654 gradini?» esclamo sorridendo. «Forse è meglio ammirarle da qui. Non so se Skippy sarebbe d’accordo a farsi trasportare su e giù.»
Lei ridacchia: «In effetti meglio così, se non vogliamo rischiare di portarla in braccio per tutto il tragitto!»
Skippy sbuffa teatralmente fingendo indignazione ma è chiaro che si sta divertendo.
«Lo è sicuramente» aggiunge Veronika mentre osserva le acque sottostanti, «questa zona è famosa anche per la biodiversità marina. Chissà che spettacolo dev’essere al tramonto.»
«Dobbiamo tornarci assolutamente, magari via mare questa sera!» replico entusiasta.
Dopo qualche altro istante trascorso ad ammirare il faro e le scogliere, punto con decisione verso l’aeroporto di Alghero.
A volte basta voltarsi un attimo verso il mare per ricordarsi cosa stiamo cercando

Atterraggio
Avvicinandoci all’aeroporto, il clima leggero delle ultime miglia svanisce. Veronika guarda fuori, in silenzio. Skippy si muove nervosa sul sedile, come se sentisse anche lei qualcosa nell’aria.
Atterro dolcemente. Il Cessna rallenta, si ferma. Spegniamo i motori. Nessuno parla.
Veronika ha ancora lo sguardo fisso all’orizzonte.
«Pensi che andrà bene?» chiede sottovoce, quasi temesse la risposta.
Non rispondo subito. Le prendo la mano. Skippy ci osserva, immobile.
«Lo scopriremo tra poco.»
Scendiamo dall’aereo. Il vento di Alghero ci accoglie. Davanti a noi, una città che forse ci darà delle risposte. O forse no.
Ma ormai siamo qui. E a volte è il passo verso l’ignoto che conta davvero.
Non sempre si vola verso una meta. A volte si vola verso una possibilità.