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10 – Diario di Volo Ajaccio Bonifacio

Decollo da Ajaccio: il sole che cala sul primo capitolo di questo viaggio

Il motore ruggisce mentre il nostro Cessna accelera lungo la pista di Ajaccio. L’asfalto scorre veloce sotto di noi, poi un ultimo contatto con il suolo e siamo in aria per quest’ultimo sorvolo sulla Corsica.

Ajaccio scorre sotto di noi, avvolta nella luce calda del tramonto. Ora la guardiamo con occhi diversi.

«Non pensavo che mi sarebbe piaciuta così tanto» dice Veronika, con lo sguardo perso lungo la costa.

«Pensavi fosse solo Napoleone

Lei annuisce lentamente. «Sì… invece ho capito che qui non si vive solo nel suo passato. C’è qualcosa di più profondo, qualcosa che non si vede subito.»

Viro dolcemente seguendo il promontorio. «L’orgoglio corso?»

Veronika resta in silenzio un istante, poi scuote la testa. «Non solo. È il modo in cui convivono con la loro storia. La Corsica è come il vento che soffia sulle sue montagne. Non si lascia mai davvero catturare, cambia direzione, si adatta ma non smette mai di esistere. C’è chi lo segue e chi cerca di opporsi ma è sempre lì, a ricordarti che non puoi ignorarlo.» Si stringe nelle spalle. «Non è una battaglia politica, è un’identità che non smette mai di interrogarsi.»

La osservo un istante. «Forse è per questo che ha lasciato il segno anche su di me.»

Sorvoliamo la costa, lasciandoci alle spalle la città. Il sole infiamma le onde, l’aria è ferma, il silenzio della quota amplifica ogni pensiero.

In pochi giorni abbiamo capito che la Corsica è molto più di storia e politica. È carattere, resistenza, orgoglio. È fatta di chi l’accetta e di chi la sfida, di chi resta e di chi parte. Ed è più grande della sua stessa leggenda.

Ogni luogo è più di ciò che appare. A volte basta cambiare prospettiva per scoprirne l’anima nascosta.

il Golfo di Ajaccio visto al tramonto dalla cabina del Cessna (foto flight simulator 2024)

Le Isole Sanguinarie: il destino di un popolo

Le Isole Sanguinarie emergono davanti a noi, scure e selvagge contro il bagliore del sole al tramonto. Dall’alto sembrano un avamposto dimenticato, un luogo che ha visto tempeste, naufragi e battaglie senza mai cedere al mare. Il sole incendia le loro scogliere rosse, mentre le onde le circondano in un moto perpetuo.

«Bellissimo il contrasto con il sole al tramonto» mormora Veronika.

Sorvoliamo l’arcipelago dirigendoci verso l’altra costa del golfo. Il vento è leggero, l’aria immobile. Sotto di noi, l’acqua si infrange violenta contro la pietra, come se il mare stesso cercasse di cancellare secoli di storia.

Un tempo, queste isole ospitavano monaci eremiti che cercavano qui la solitudine assoluta, lontani dal mondo e dai suoi conflitti. Più tardi, divennero un luogo di quarantena per le navi sospette di portare malattie, un confine tra il ritorno a casa e l’oblio.

«Non riesco a immaginare cosa significhi passare qui un’intera vita» dice Veronika, con lo sguardo perso sulle scogliere.

«O anche solo un inverno» rispondo. «Ci sono luoghi che sembrano nati per la solitudine. Questo è uno di quelli.»

Lei annuisce piano. «Forse è per questo che ha un fascino così forte. Sono isole ancora più isola della Corsica stessa.»

L’osservazione mi colpisce. È vero. La Corsica è sempre stata una terra di passaggio, conquistata, contesa, costretta a trovare un’identità tra culture e potenze diverse. Ma queste isole… queste sono rimaste inaccessibili, isolate nel loro destino.

«Pensi che certe battaglie finiscano mai davvero?» chiede all’improvviso Veronika.

Le lancio un’occhiata. Non parla solo delle isole, né solo della Corsica.

«Credo che certe cose rimangano incise nelle persone, come il vento incide queste rocce» rispondo. «A volte si dimenticano, a volte si trasformano ma non spariscono mai.»

L’indipendenza non è mai stata solo una questione politica ma un sentimento radicato nell’anima di un popolo.

le isole Sanguinarie al tramonto (foto flight simulator 2024)

Propriano e Sartène: la giustizia e la memoria di un popolo

Un silenzio riflessivo ci avvolge mentre sorvoliamo il Golfo di Valinco dirigendoci verso la Baia di Propriano. Il porto si svela incastonato tra il mare e le colline, con le sue barche che ondeggiano placidamente. La luce del tramonto avvolge tutto, rendendo il paesaggio ancora più affascinante.

«Guarda laggiù» dice Veronika, indicando il porto di Propriano. «Un tempo, questo luogo era un crocevia per diverse civiltà: Greci, Romani, Pisani e persino Turchi hanno lasciato la loro impronta qui.» Poi continua: «Nonostante le tante invasioni, Propriano ha saputo risorgere ogni volta.»

«Difficile immaginare le battaglie che hanno segnato questa baia.» commento. «Sembra tutto così pacifico.»

«Forse il mare non dimentica. Chissà quanti segreti custodisce laggiù.» aggiunge Veronika, osservando la distesa d’acqua sotto di noi.

Poco dopo, salendo di quota, arriviamo a ridosso di Sartène, spesso definita “la più corsa delle città corse”. Veronika consulta la sua guida e sorride: «Sapevi che questo titolo è stato coniato dallo scrittore Prosper Mérimée

«Ma che cosa avrebbe di diverso dal resto dei paesi corsi?» le chiedo, incuriosito.

«Sembra che qui le tradizioni siano ancora molto sentite» risponde, poi torna a leggere. «Ad esempio, qui ogni anno, il Venerdì Santo, si tiene la processione del Catenacciu. Un uomo incappucciato percorre le vie del borgo portando una pesante croce, in segno di penitenza. Nessuno conosce la sua identità, ma si dice che sia scelto tra coloro che vogliono espiare una colpa. Una tradizione che mescola fede, mistero e una certa dose di drammaticità. Molto corsa, in effetti.»

Mentre rifletto su queste terre antiche e sulla loro capacità di resistere al tempo, sento qualcosa che mi strattona leggermente la giacca. Un richiamo dal presente… e dalla pancia di Skippy, evidentemente.

Mi giro e trovo Skippy, che mi guarda con i suoi occhi più dolci, il musetto leggermente inclinato.

Alzo un sopracciglio. «Oh no… stai realmente facendo di nuovo quella faccia. Cosa vuoi? Immagino che tu abbia fame… come sempre!»

La piccola esploratrice mi colpisce con una zampa, poi alza lo sguardo, occhi enormi e imploranti. La strategia della dolcezza è iniziata.

Sospiro. «Non ci credo… Vuoi un altro canestrello

Un leggero guaito di approvazione è la sua risposta.

«Ma ne hai già mangiati prima!» esclamo divertito.

Skippy fa finta di niente e continua a fissarmi con la sua espressione innocente, mentre la coda si muove lentamente da un lato all’altro, in perfetta strategia di persuasione.

«Camillo, ti rendi conto che questa creatura sta sviluppando un piano alimentare tutto suo?» Veronika scuote la testa ridendo mentre apre lo zaino e le passa un pezzetto di biscotto.

Skippy lo afferra delicatamente tra le zampe e inizia a sgranocchiarlo con assoluta soddisfazione.

«Secondo me non è mai sazia.»

Sorridiamo mentre la nostra piccola mascotte finisce il suo dolce premio, poi torniamo a guardare la terra che scorre sotto di noi come se nulla fosse successo.

La vera giustizia non si misura dalla severità delle leggi ma dall’equità con cui vengono applicate.

Propiano vista dall’alto (foto flight simulator 2024)

Porto Vecchio. La Corsica che cambia volto

Le montagne davanti a noi si stringono in un passaggio stretto, quasi volessero metterci alla prova prima di concederci l’accesso alla costa orientale. Superiamo il valico con una leggera turbolenza e all’improvviso il paesaggio si apre: il Golfo di Porto Vecchio si svela all’orizzonte, con colori stupendi tra il viola e l’azzurro.

Inizio la discesa graduale, tracciando una dolce virata sopra il golfo.

«Ma ti rendi conto di come varia quest’isola ogni volo?» dico, lasciandomi sfuggire un sorriso.

Veronika osserva il panorama con occhi incantati. «Sembra quasi di attraversare un intero continente in pochi chilometri.»

Sorvoliamo il golfo, un tempo un crocevia conteso da chiunque volesse il controllo del Mediterraneo. Oggi Porto Vecchio è una delle destinazioni più frequentate della Corsica, un perfetto equilibrio tra mare, storia e modernità.

«Sai che il nome Porto Vecchio potrebbe ingannare?» chiede Veronika, mentre scorre la guida.

«Dimmi che non è perché c’è un Porto Nuovo nascosto da qualche parte.»

Lei ride. «No, il nome risale addirittura all’epoca romana, quando la città era conosciuta come Portus Syracusanus. Il ‘vecchio’ non indica un porto sostituito ma uno che ha saputo resistere al tempo.»

«Beh, sembra che abbia retto piuttosto bene.»

«Sì, oggi è un mix perfetto tra storia e turismo. Hanno boutique di lusso accanto a vecchie saline abbandonate, ma se ti addentri nei vicoli trovi ancora l’anima autentica della Corsica.»

«Non sembra affatto ‘vecchio’ infatti, anzi» commento.

«Negli ultimi decenni è diventato una meta di lusso» aggiunge Veronika. «Ma ha ancora tracce del suo passato: le saline, ad esempio. Un tempo rappresentavano una delle principali fonti di ricchezza della città.»

«E oggi?»

«Sono ancora lì ma non più sfruttate come un tempo. Un tempo l’industria del sale rappresentava una delle risorse più importanti della regione ma, con il tempo, la produzione è stata abbandonata, complice la concorrenza di altre saline più moderne e il calo della domanda. Oggi restano un luogo suggestivo, soprattutto al tramonto, quando l’acqua nelle vasche riflette il cielo e trasforma il paesaggio in una tavolozza di colori.»

Proseguiamo lungo la costa, lasciandoci Porto Vecchio alle spalle. La Baia di Santa Giulia, con la sua laguna, ci sorprende illuminata dalla luce del tramonto che la rende ancora più spettacolare.

«Guarda che colori!» esclama Veronika. «Mare tropicale ma con l’anima selvaggia della Corsica. E pensare che poco fa eravamo alle Isole Sanguinarie a parlare di storia e rivoluzioni. Qui sembra un altro mondo.»

«E invece è sempre la stessa isola» dico, sorvolando un’altra perla nascosta che cattura la nostra attenzione: Rondinara, con la sua forma perfetta, un anfiteatro naturale di sabbia e mare cristallino. Da quassù, la sua simmetria è ancora più evidente, come se la natura l’avesse scolpita con precisione millimetrica.

«Che spettacolo» dice Veronika, con un sorriso. «Non smetto mai di sorprendermi.»

Sorrido, mantenendo l’assetto mentre proseguiamo verso la nostra ultima tappa. La Corsica continua a rivelarsi sotto di noi, selvaggia e mutevole, capace di stupire anche quando credi di averla già capita.

La Corsica non è un’isola, è molte isole in una. Ti porta dalle vette alle spiagge, dalla storia antica alla natura selvaggia senza mai perdere la sua identità.

Rondinara vista dall’alto (foto flight simulator 2024)

Verso Bonifacio: un ingresso spettacolare

Superiamo l’insenatura del Golfo di Sant’Amanza, un’ampia baia incastonata tra le scogliere e la macchia mediterranea. Il sole basso sul mare trasforma ogni increspatura in un bagliore dorato, come se il paesaggio stesso stesse trattenendo il respiro prima del tramonto.

Veronika segue il panorama in silenzio, lo sguardo incollato al finestrino. «Sembra un quadro con questa luce» mormora piano.

«Sono curioso di vedere Bonifacio» le rispondo, virando dolcemente.

Dall’entroterra, la città è ancora invisibile. Solo un altopiano brullo e scosceso si allunga davanti a noi. E poi, d’un tratto, la terra scompare nel vuoto e Bonifacio si rivela, come un miraggio sospeso sull’abisso.

Il colpo d’occhio è incredibile. La città si erge sulla cima di una falesia bianca, sospesa nel nulla, come se sfidasse la gravità. Le case sembrano abbracciarsi l’una all’altra, affacciandosi sull’abisso con un’audacia silenziosa. Sotto di noi, il mare si insinua nella scogliera, scavando il profondo fiordo naturale del porto. È una visione da lasciare senza fiato.

Veronika lo trattiene. «Mamma mia…»

Sorvoliamo la città a bassa quota, lasciandoci avvolgere dal suo fascino antico. Il sole incendia le falesie di un arancio infuocato, mentre le mura medievali si allungano lungo il bordo del precipizio, come se fossero ancora pronte a respingere un assedio.

«Questo posto ha visto secoli di battaglie,» dico mentre lasciamo scorrere Bonifacio sotto di noi. «Genovesi, Pisani, Aragonesi, Francesi… tutti l’hanno voluta.»

Veronika annuisce. «E non è difficile capire perché. Sembra una fortezza costruita dal mare.»

«Lo è stata per secoli» confermo. «Da qui, controllavano tutto il passaggio tra Corsica e Sardegna. Le Bocche di Bonifacio sono sempre state strategiche. Un crocevia tra popoli, commerci e guerre.»

Veronika nota, nella falesia, una linea ben visibile nella roccia. Una scala ripida serpeggia lungo la parete bianca, scendendo fino al mare.

«E quella cos’è?» chiede Veronika, aguzzando la vista.

«La Scala del Re d’Aragona» rispondo. «Uno dei grandi misteri di Bonifacio

Lei si sporge leggermente per vedere meglio. «Scavata nella roccia? Ma come?»

Sorrido. «Dipende a chi lo chiedi. Ho letto che la leggenda dice fu realizzata in una sola notte dai soldati aragonesi durante l’assedio del 1420. La realtà è più semplice: probabilmente esisteva già prima, usata dai monaci per raggiungere una sorgente nascosta nella grotta sottostante.»

Veronika ride. «Dunque una versione eroica e una pratica. Preferisco la prima.»

«Ovviamente» rispondo ridendo anch’io. «Ma pensa alla scena: soldati che scavano febbrilmente mentre le guardie genovesi li respingono dall’alto… roba da film.»

Sorvoliamo la città, godendoci lo spettacolo della luce che incendia la falesia e fa brillare il mare.

«Questo è uno degli arrivi più belli di tutto il viaggio» dice Veronika, scattando una foto. «Direi che non potevamo scegliere un finale migliore per questo viaggio sopra la Corsica

Regolando la rotta verso nord per l’atterraggio, aggiungo: «E non è ancora finita.»

Alcuni luoghi raccontano storie di battaglie e conquiste, altri parlano con la loro bellezza. Bonifacio fa entrambe le cose, scolpendo il tempo nella pietra delle sue scogliere.

Bonifacio e le sue falesie bianche al tramonto (foto flight simulator 2024)

Atterraggio a Figari

La pista di Figari Sud-Corse è ormai in vista, un nastro d’asfalto immerso tra la macchia mediterranea e le colline che digradano verso il mare. L’ultima luce del tramonto sfuma oltre l’orizzonte, Veronika abbassa la fotocamera e si rilassa sul sedile, con un’espressione serena.

«Questa tappa è stata incredibile» dice piano, quasi a sé stessa.

Abbasso i flap, riduco la velocità e allineo il Cessna all’asse di atterraggio. Il motore ruggisce piano mentre tocchiamo terra con dolcezza, il carrello sfiorando la pista senza scosse. Un atterraggio perfetto, come a sigillare questo volo con la giusta chiusura.

Rallento e porto l’aereo fino all’area di sosta. Spengo i motori e nella cabina cala un silenzio ovattato, rotto solo dal ticchettio del metallo che si raffredda. È un momento sospeso, come se anche l’aereo sapesse che qualcosa si è appena concluso.

Veronika si volta verso di me con un sorriso. «Non vedo l’ora di passeggiare per Bonifacio

Sorrido anch’io. «Ogni luogo racconta una storia diversa quando lo tocchi con i piedi, e non solo con gli occhi. Ora è il momento di ascoltare la voce di Bonifacio

Ogni atterraggio segna una fine ma è solo la premessa per il prossimo decollo. Il viaggio non è mai davvero finito.

09 + Diario di Viaggio

Arrivo ad Ajaccio

Non appena scendiamo dall’aereo, una leggera brezza porta con sé il profumo della salsedine, mescolato a quello più secco della macchia mediterranea. Saliamo su un taxi diretto verso il centro. L’auto lascia l’aeroporto Napoléon Bonaparte e si immette sulla strada che costeggia la baia, offrendo scorci improvvisi sul mare.

L’autista, un uomo sulla quarantina con la pelle bruciata dal sole e un accento corso marcato, guida con la calma di chi è abituato al ritmo lento dell’isola. Dopo qualche minuto di silenzio, la mia curiosità ha il sopravvento.

«Ajaccio… è un nome particolare. Da dove viene?» chiedo.

L’uomo sorride appena, come se si aspettasse la domanda. «Eh, bella domanda!» risponde, senza distogliere lo sguardo dalla strada. «Ci sono tante teorie ma nessuno lo sa con certezza. Alcuni dicono che venga dal greco Agation, che significa ‘buon porto’. Sarebbe un nome antico, legato ai primi insediamenti della zona.»

Veronika, seduta accanto a me, si inserisce nella conversazione. «Ho letto anche che potrebbe derivare da Aiace, l’eroe greco.»

L’autista annuisce. «Sì, c’è anche questa ipotesi. Un tempo si diceva che Ajaccio fosse stata fondata dai Greci ma non ci sono prove certe. Poi c’è chi sostiene che il nome venga da una parola corsa molto antica, che oggi è andata perduta.»

Osservo la città ormai vicina. Un traghetto in arrivo, probabilmente dalla Francia, sta lasciando la baia con una scia bianca sulle onde. Il porto, pieno di barche a vela e pescherecci, brilla sotto il sole. Sul lungomare i caffè all’aperto sono animati da turisti e locali che si godono la mattina con un caffè o un bicchiere di vino.

L’autista continua stringendosi nelle spalle con un sorriso. «Ajaccio è… un po’ corsa, un po’ francese, un po’ greca… ma sempre con il sole e il mare a farle da padroni.»

Poco dopo, il taxi si ferma lungo Boulevard du Roi Jérôme, proprio accanto al mercato cittadino. Davanti a noi il vociare allegro dei venditori riempie l’aria, i profumi delle spezie, del formaggio e del pesce fresco si mescolano nell’atmosfera vivace del mattino.

«Ecco, signori» dice l’autista, voltandosi verso di noi. «Benvenuti ad Ajaccio

Ogni città ha il suo cuore e la sua anima ma Ajaccio sembra aver intrecciato il suo destino con il mare, il sole e la storia. Qui tutto scorre lentamente, come se il tempo fosse un’eco delle onde che accarezzano la costa.

Statua di Napoleone in toga romana (foto expedia.it)

La casa di Napoleone

Dopo aver salutato l’autista, ci incamminiamo nelle strade del centro storico di Ajaccio. L’aria profuma di salsedine e caffè, il ritmo lento ci avvolge fin da subito. Decidiamo di visitare la Maison Bonaparte, che non è lontana. Seguiamo una via stretta fino a una piazzetta tranquilla, dove l’edificio si mimetizza tra le altre abitazioni. È sobrio, quasi anonimo, come se volesse nascondere il suo passato.

«Questa casa apparteneva alla famiglia Bonaparte fin dal XVI secolo,» dice Veronika, leggendo il pannello informativo accanto al portone in legno scuro, su cui è incastonato un piccolo stemma di famiglia. «Qui nacque Napoleone il 15 agosto 1769

Mi fermo a osservare la facciata. Nessun palazzo sontuoso, nessun ingresso trionfale. Solo una casa come tante.

«Chissà se qualcuno, vedendolo bambino correre per strada, avrebbe mai immaginato che sarebbe diventato l’imperatore di Francia» commento mentre varchiamo la soglia.

All’interno l’atmosfera è ovattata, quasi sospesa nel tempo. Le mura spesse mantengono un fresco naturale e i nostri passi risuonano leggeri sul pavimento in pietra consumato dagli anni. L’arredamento è semplice: mobili in legno scuro, ritratti di famiglia alle pareti, un grande focolare annerito dal fumo.

Ci fermiamo in una stanza con una finestra aperta sulla via sottostante. Veronika indica un piccolo scrittoio vicino alla parete.

«Si dice che Napoleone passasse ore qui a leggere» mi racconta, sfiorando il bordo del tavolo. «Sua madre, Letizia Ramolino, lo descriveva come un bambino serio che non perdeva tempo in giochi inutili.»

Inarco un sopracciglio. «Sicura? Suona un po’ come il ritratto perfetto che ci si aspetterebbe da una biografia glorificata.»

Veronika sorride. «Già, la storia è scritta dai vincitori. Magari era solo un bambino normale.»

Osservo una teca accanto allo scrittoio. Contiene una lettera scritta dal giovane Napoleone. L’inchiostro sbiadito riporta parole che parlano di ambizione ma anche di nostalgia per la sua isola.

«Pensa a quanti leader della storia sono stati ‘ricostruiti’ fin da piccoli come personaggi fuori dal comune» dico. «Come se fin dalla culla sapessero di essere destinati a qualcosa di straordinario.»

Veronika annuisce. «È la narrazione che crea il mito. Nessuno nasce imperatore.»

«Eppure, guarda dove siamo» dico, indicando la casa intorno a noi. «Per qualcuno la storia inizia davvero in una stanza come questa.»

Proseguiamo il nostro giro, passando per la sala da pranzo, dove la famiglia si riuniva ogni sera. Nell’ultima sala un grande ritratto di Letizia Ramolino domina la parete.

Veronika si ferma a leggere una targa. «Sai cosa trovo curioso?»

«Dimmi.»

«Napoleone ha conquistato mezza Europa, ma negli ultimi anni della sua vita, in esilio a Sant’Elena, parlava sempre della Corsica. Diceva che gli mancavano il sole, il mare, persino l’accento della sua gente.»

Esco dalla porta e mi fermo un attimo sulla soglia.

Forse, in fondo, nessuno si allontana mai davvero dalle proprie radici. O forse, quando tutto finisce, è proprio lì che si vuole tornare.

Ajaccio è un luogo che si racconta nei dettagli. A volte la vera bellezza non è nei monumenti ma nelle piccole storie che ogni città sussurra ai suoi visitatori.

La casa di Napoleone (foto musees-nationaux-malmaison.fr)

Il piccolo Napoleone di Skippy

Appena usciti dalla Maison Bonaparte, ci fermiamo un istante sulla soglia per lasciarci alle spalle l’atmosfera ovattata della casa. L’aria di Ajaccio, calda e vivace, ci riporta subito al presente.

Skippy, invece, sembra avere le idee chiare. Punta il muso verso una bancarella per turisti poco distante e ci si dirige con passo deciso. Ci scambiamo un’occhiata divertita e la seguiamo.

Il venditore, un uomo anziano con un cappello di paglia e un grembiule colorato, ci accoglie con un sorriso. «Ah, vedo che la vostra piccolina ha già scelto» dice indicando una piccola statuina di Napoleone bambino, vestito con l’uniforme da generale che indosserà anni dopo nei celebri ritratti ufficiali.

Il contrasto tra il volto infantile e l’abbigliamento severo mi strappa un sorriso. «È perfetta. Un Napoleone in miniatura che gioca a fare l’imperatore.»

«Dicono che la grandezza si veda fin da piccoli… O forse è la storia che ama raccontarla così.» commenta il venditore con un sorriso malizioso.

Pago mentre Veronika osserva il piccolo Napoleone con curiosità. «Curioso come a volte si crei un’icona prima ancora che esista il personaggio» dice.

«Già, e Skippy ha scelto proprio bene» rispondo, guardandola stringere il suo nuovo tesoro con orgoglio.

il piccolo Napoleone di Skippy (foto Dall’-E)

Il destino di un’eredità

Ci incamminiamo per le strade della città, lasciandoci trasportare dal ritmo lento di Ajaccio. L’aria del primo pomeriggio è tiepida, carica del profumo di spezie che arrivano dal mercato vicino.

Troviamo una panchina in una piazzetta tranquilla, sotto l’ombra leggera di un platano. Decidiamo di fermarci un attimo, lasciando vagare lo sguardo sulla città.

«Sai che qui esiste una strada che si chiama Rue Roi de Rome?» dice Veronika, sfogliando la guida.

«Il Re di Roma… il figlio di Napoleone?» chiedo, cercando di ricordare qualcosa di quel nome che suona più simbolico che reale.

Lei annuisce. «Sì, Napoleone Francesco, suo unico figlio legittimo. Lo fece nascere con un titolo grandioso ma il destino non gli concesse mai il trono.»

Veronika continua a leggere mentre si sistema meglio sulla seduta. «Napoleone voleva creare una dinastia e quando nacque suo figlio nel 1811, lo dichiarò subito Re di Roma, per legarlo alla grandezza dell’antico Impero Romano. Ciò che doveva essere l’inizio di una nuova dinastia si trasformò però presto in un capitolo dimenticato della storia.»

Mi appoggio allo schienale, incuriosito. «Raccontamela, ti prego.»

«Quando Napoleone fu sconfitto e mandato in esilio sull’Elba, il piccolo Napoleone Francesco aveva solo tre anni. Nel 1815, dopo la disfatta di Waterloo, fu portato a Vienna, lontano dalla Francia e crebbe sotto la protezione dell’imperatore austriaco, suo nonno materno. Gli cambiarono il nome, la lingua, perfino l’identità. Doveva essere un Bonaparte, ma divenne un Asburgo. Gli vietarono persino di parlare francese.»

Faccio scorrere lo sguardo sulla strada davanti a noi, immaginando quel bambino che era nato con la promessa di un impero e si ritrovò invece prigioniero della storia.

«Quindi è cresciuto in Austria. Che cosa ne è stato di lui?»

Veronika sfoglia ancora qualche pagina. «Morì giovane, a soli 21 anni, di tubercolosi. Isolato, malato e con la consapevolezza di essere stato una pedina in un gioco molto più grande di lui.»

Resto in silenzio un momento. «Non è paradossale? Suo padre ha riscritto il destino dell’Europa e lui è stato cancellato dalla storia prima ancora di avere una possibilità. Forse è il destino di chi nasce con un nome troppo grande. A volte il peso dell’eredità è più forte della possibilità di scrivere la propria storia.»

Veronika chiude la guida e incrocia le braccia. «Spesso chi eredita una grandezza non è capace di portarla avanti. Forse perché non ha lottato per ottenerla. Napoleone si è costruito da solo, è partito da un’isola piccola come questa e ha conquistato un continente. Suo figlio, invece, è nato con tutto e non ha potuto fare niente.»

«È un classico» commento. «La prima generazione costruisce, la seconda mantiene, la terza distrugge.»

Lei annuisce. «Ed è successo anche con la famiglia Bonaparte. Dopo Napoleone Francesco, ci fu un altro Napoleone, il terzo, che riuscì a diventare imperatore. Un ultimo tentativo di riportare in vita un’epoca che non esisteva più. Tuttavia il suo regno finì con una guerra disastrosa e la dinastia sparì.»

«E oggi? Ci sono ancora discendenti?»

Veronika scorre con il pollice sullo schermo, poi solleva lo sguardo con un sorriso leggermente sorpreso.

«Sembra che il discendente attuale sia Jean-Christophe Napoléon, non è un generale ma un banchiere in Svizzera. Non comanda eserciti ma gestisce investimenti. Il potere cambia volto con i secoli.»

«Forse è meglio così» rifletto. «Forse governare un impero oggi non significa più conquistare terre, ma gestire capitali.»

Lei sorride. «I tempi cambiano. Pensa a quanto può essere pesante avere quel cognome. Essere l’erede di un uomo che ha lasciato un’impronta nella storia.»

Incrocio le mani dietro la testa e guardo il cielo limpido sopra di noi. Forse il peso di un’eredità è proprio questo: non poter mai essere semplicemente sé stessi.

Veronika annuisce, osservando per un istante la strada davanti a noi, poi mi lancia uno sguardo complice.

«Andiamo?»

Sorrido, stirandomi le braccia mentre riprendiamo a camminare.

Mentre ci alziamo, il sole inizia a scendere, allungando le ombre lungo la Rue Roi de Rome. Ajaccio è una città che conserva le sue memorie, ma il tempo, come sempre, continua ad andare avanti. E forse, in fondo, ogni città vive con i suoi fantasmi, alcuni più ingombranti di altri.

Una corsa tra le Bancarelle

Riprendiamo a camminare tra le vie di Ajaccio seguendo il richiamo del vociare che si fa più intenso. Il mercato cittadino si svela poco a poco: un’esplosione di colori e profumi, con bancarelle colme di frutta succosa, spezie aromatiche, formaggi stagionati e dolci tradizionali.

All’improvviso Skippy scatta in avanti, dribblando con agilità tra le gambe dei passanti e sgusciando tra due bancarelle come un’ombra fulminea.

«Ehi, dove credi di andare?!» esclamo, mentre lei scompare in mezzo alla folla.

Ci infiliamo rapidamente tra la gente, cercando con lo sguardo la nostra piccola esploratrice. Per un attimo non la vediamo, poi finalmente la troviamo, seduta composta accanto a un banco che espone una grande cesta di canestrelli.

Il venditore, un uomo sulla cinquantina con un grembiule bianco e una barba curata, ci osserva ridendo. «Mi sa che la vostra amica è una vera intenditrice.»

Skippy sbatte le palpebre con aria innocente, come se niente fosse. Ma il sottile strato di zucchero sul suo musetto la tradisce senza possibilità di appello. Ci guarda senza scomporsi mentre guadagna un altro biscotto che accetta con gioia, mordicchiandolo con espressione soddisfatta.

Mentre ridiamo della scena, il venditore prende un pezzo di brocciu fresco e ce lo porge. «Assaggiate questo.»

Sorrido. «Lo conosciamo bene, è uno dei nostri preferiti.»

«Ah sì? Ma lo avete mai provato in questo modo?»

Prende un cucchiaino, lo immerge in un barattolo di confettura di fichi e noci, poi ne spalma un velo sottile su un pezzo di brocciu prima di porgercelo.

Il sapore cambia completamente. Il dolce intenso del fico si mescola alla croccantezza della noce e alla cremosità del formaggio, creando un equilibrio perfetto.

Veronika chiude gli occhi per un istante, assaporandolo lentamente. «Non l’avevo mai provato in questo modo. È buonissimo.»

Scambiamo uno sguardo d’intesa e senza esitare acquistiamo un pezzo di brocciu e un vasetto di confettura, per la gioia di Skippy che scodinzola soddisfatta.

Il venditore ci osserva con un sorriso mentre incarta il nostro bottino, poi solleva lo sguardo con un’espressione quasi divertita. «Sapete, a volte siamo così sicuri di conoscere qualcosa solo perché l’abbiamo già visto o assaggiato… Ma basta poco, un dettaglio diverso, per scoprire un sapore che non avevamo mai notato. Bisogna sempre lasciare spazio alla sorpresa.»

L’aria è ancora satura di profumi intensi, il vociare dei venditori si mescola al suono delle onde in lontananza. Con il nostro bottino tra le mani e il sapore del brocciu ancora sulle labbra, proseguiamo senza fretta, lasciandoci trasportare dal ritmo di Ajaccio.

Mercato di Ajaccio (foto ajaccio-tourisme.com)

Street Food Corso

Ci rendiamo conto che l’assaggio del brocciu ci ha messo fame. L’idea di un pranzo veloce ma autentico ci attira più di un ristorante formale, così continuiamo a camminare per le vie di Ajaccio alla ricerca di qualcosa di semplice ma tipico.

«Qualcosa di più locale, senza troppi fronzoli» dico, mentre osserviamo i menu scritti a mano fuori dai ristoranti.

Veronika annuisce, scorrendo con lo sguardo le insegne in legno e le lavagnette nere con gessetti colorati. Poi, proprio dietro l’angolo di una strada stretta, notiamo un piccolo chiosco con una fila di persone in attesa. Il profumo che arriva da lì è irresistibile: un misto di farina tostata, formaggio fuso e spezie.

Ci avviciniamo. L’insegna recita “A Casetta Corsa”, un nome semplice ma che promette autenticità. Dietro al bancone, un uomo sulla cinquantina, con un grembiule annodato in vita, mescola con energia una densa polenta color nocciola in un grande paiolo di rame, da cui si sprigiona un aroma caldo e invitante.

«Pulenta di farina di castagne e migliacci fritti» dice l’uomo con un sorriso fiero. «Se volete provare la vera Corsica, siete nel posto giusto.»

Ci scambiamo uno sguardo e annuiamo senza esitazione.

«Uno di tutto» dico e Veronika ride.

Troviamo una panchina con vista sul porto e ci sistemiamo con un vassoio colmo di sapori corsi, il sole che si riflette sull’acqua e la brezza marina che smorza il calore del giorno.

La pulenta, fatta con farina di castagne, ha una consistenza morbida e un sapore leggermente dolce e affumicato, perfetto con le fette di prisuttu e lonzu servite accanto. Le migliacci, fragranti e leggere, nascondono un ripieno cremoso di formaggio e erbe aromatiche.

Addento un pezzo di migliacci, lasciando che il formaggio fuso si sciolga sulla lingua.

«Quefto è buoniffimo» commento a bocca piena.

Veronika sorride assaporando lentamente la polenta. «Dolce e salato insieme… interessante.»

Skippy, seduta ai nostri piedi, sta divorando con entusiasmo le frittelle che le abbiamo preso. Cerca di mantenere una certa dignità ma il modo in cui le sbriciola e le lecca con espressione estasiata la tradisce completamente.

L’aria salmastra, il sole che scalda la pelle e il sapore intenso di questa terra ci fanno assaporare ogni istante. Il porto brilla sotto la luce del giorno, il tempo sembra scorrere più lento. Restiamo così per un po’, immersi nella quiete.

Poi, con un sorriso, rompo il silenzio: «Sai cosa manca ora?»

Veronika mi guarda, sollevando un sopracciglio.

«Un caffè.»

Polenta Corsa (Dall-E)

Un caffè e un incontro che cambia tutto

Passeggiamo lungo il porto finché non troviamo un piccolo bar con tavolini all’aperto. L’atmosfera è tranquilla, perfetta per concludere il pranzo con qualcosa di forte e aromatico.

Ci sediamo e ordino un café noisette, il tipico caffè francese con un goccio di latte. Quando arriva, lo osservo un attimo: la crema dorata sulla superficie si mescola al latte in una spirale perfetta. Ne assaporo un sorso, lasciando che il gusto intenso e leggermente nocciolato risvegli i sensi.

«Buono?» chiede Veronika.

«Molto. Ha quella rotondità che a volte manca al nostro espresso» rispondo, godendomi il momento.

Accanto a noi, a un tavolino vicino, un anziano sta bevendo il suo caffè con calma, osservando la piazza con lo sguardo di chi ha visto il mondo cambiare ma non ha fretta di seguirlo. Mentre assaporo il caffè, noto che l’uomo ci osserva con un mezzo sorriso e scuote la testa con aria pensierosa, come se volesse dirci qualcosa.

Quando Skippy si mette a giocare con la statuina di Napoleone sul tavolo, lui sorride.

«Allora, anche voi siete venuti a trovare l’imperatore?» chiede, con un accento corso marcato.

Ci scambiamo uno sguardo. «In un certo senso» risponde Veronika.

L’uomo annuisce lentamente, sorseggiando il suo caffè. «Sapete… tutti vengono qui con un’idea di Napoleone. Alcuni lo vedono come un eroe, altri come un tiranno. Pochi si chiedono cosa fosse davvero per noi corsi.»

Mi incuriosisco e mi sporgo leggermente in avanti. «E per voi cos’era?»

L’anziano resta in silenzio per qualche secondo, come se riflettesse su come rispondere. Poi posa la tazzina e incrocia le mani sul tavolo.

«Era uno di noi ma non lo era più. Un figlio della Corsica ma un francese per scelta. Un uomo che ha costruito un impero ma che si è dimenticato della sua isola.»

Resto in silenzio, colpito dalla semplicità e dalla profondità di quelle parole.

Lui continua, con lo sguardo rivolto al mare. «Napoleone ha portato la Corsica nel mondo ma non ha mai riportato il mondo in Corsica. Ha lasciato Ajaccio da giovane e non si è mai più voltato indietro. Qui la gente lo rispetta, certo, ma c’è sempre stata un’ombra su di lui. Perché non ha mai fatto nulla per noi? Con tutto il potere che aveva… perché?» fa una pausa, poi continua «Oggi il suo nome è ovunque: piazze, statue, scuole. Per molti di noi, tuttavia, resta un’ombra che ci osserva dall’alto, senza mai davvero appartenere a questa terra.»

«Forse perché sapeva che non l’avrebbero mai accettato come corso» ipotizza Veronika.

L’anziano sorride, come se avesse sentito quella risposta molte volte. «O forse perché non voleva più esserlo.»

Un silenzio cade sul tavolo. Guardo la statuina di Napoleone nelle mani di Skippy. Un bambino corso vestito da imperatore. Un simbolo di qualcosa che forse non è mai esistito davvero.

L’uomo riprende il suo caffè e lo finisce in un solo sorso. Poi si alza, sistemando la sedia con calma.

«Vi auguro buon viaggio» dice. «E ricordate… la storia non è mai come ce la raccontano. È come scegliamo di vederla.»

Anziano di Ajaccio (foto leonardo.ai)

Lo osserviamo allontanarsi tra le strade di Ajaccio, lasciandoci con un pensiero che prima non avevamo.

Napoleone, l’uomo che ha cambiato il mondo, era davvero uno di loro? O era solo qualcuno che aveva imparato a essere altro?

Il sole scende lentamente sul mare. Veronika finisce il suo caffè in silenzio. Io lascio che il sapore dell’ultimo sorso mi rimanga sulla lingua, insieme alle parole di quell’uomo.

La Corsica ci ha dato una nuova prospettiva su Napoleone. E forse anche su di noi. Perché ogni viaggio, in fondo, è fatto di domande che non trovano sempre risposta ma che restano con noi come il sapore dell’ultimo sorso di caffè.

Ogni grande cambiamento ha origine in un incontro. A volte basta una parola, un gesto o un momento per deviare il corso della storia… e della nostra vita.

09 – Diario di Volo Calvi Ajaccio

Decollo da Calvi e sorvolo della cittadella

Decolliamo da Calvi, immersa nella luce dorata del primo mattino. La virata a sinistra durante la salita ci regala un’ultima occhiata alla città e alla sua cittadella imponente.

Mentre l’aereo guadagna quota, il profilo di Calvi si rimpicciolisce sotto di noi. La cittadella, che fino a pochi istanti fa sembrava un baluardo imponente, ora è solo una macchia dorata tra il mare e la terra. In volo, le distanze e i confini sembrano perdere significato. Eppure, per chi vive qui, quelle mura continuano a racchiudere secoli di storia e di identità.

«Credo mi piaccia di più con questa luce» commenta Veronika, sollevando la fotocamera per catturare l’immagine della fortezza.

Non posso fare a meno di pensare alle parole ascoltate il giorno precedente: Calvi sarebbe potuta diventare una città indipendente. In un altro tempo, in un altro contesto, il suo destino avrebbe potuto essere diverso. Un porto libero, una repubblica autonoma, forse persino un piccolo stato sul Mediterraneo. Eppure la storia ha scelto altrimenti.

Quante città, quanti popoli hanno visto le loro sorti decise da eventi fuori dal loro controllo? Un trattato firmato lontano. Una battaglia persa. Un comandante sconfitto. A volte, basta il tradimento di un alleato per cambiare il corso degli eventi per sempre.

«Pensi che il passato conti ancora così tanto per chi vive qui?» chiede Veronika, abbassando la fotocamera e osservando la cittadella che si allontana sotto di noi.

Ci penso un attimo. La Corsica ha inciso la sua storia nelle sue pietre e nei suoi villaggi. La vera domanda è: quei segni sono ancora ferite aperte o solo cicatrici? L’identità di un popolo nasce dal suo passato ma è nel presente che sceglie chi vuole diventare.

Ogni città porta con sé i segni del passato ma è la storia a decidere chi avrà la forza di restare e chi sarà costretto a cambiare rotta.

Calvi, con la sua cittadella, visto dall’alto (foto flight simulator 2024)

Sorvolo della Riserva Naturale di Scandola

Con Calvi alle nostre spalle, la costa cambia rapidamente volto. Le scogliere si innalzano come bastioni scolpiti dal vento, la terra si accende di un rosso intenso e il mare si insinua tra insenature solitarie e grotte nascoste. Dall’alto, la Riserva Naturale di Scandola sembra un luogo fuori dal tempo, plasmato da forze antiche e protetto da regole ferree.

«Patrimonio UNESCO» legge Veronika. «Qui non si può pescare, niente immersioni senza autorizzazione, niente turismo di massa. È uno dei luoghi più protetti della Corsica

Guardo le formazioni sotto di noi: guglie di roccia lavica che emergono dall’acqua come sculture, archi naturali modellati dalla pioggia e dal vento.

«Queste sono il risultato di eruzioni vulcaniche antichissime» continua Veronika. «La lava si è raffreddata creando questi pinnacoli. Sembra tutto scolpito a mano.»

Il mare turchese si incastra tra le pareti di basalto, creando contrasti mozzafiato. Solo qualche piccola barca sfiora la superficie delle acque calme, quasi a non voler disturbare l’equilibrio perfetto della riserva.

«Qui vivono specie che altrove sono scomparse» aggiunge Veronika. «Falchi pellegrini, cormorani dal ciuffo e persino qualche foca monaca… anche se è rarissimo vederne una.»

Poi abbassa la guida e osserva pensierosa il paesaggio. «A volte mi chiedo… può un posto essere davvero vissuto se nessuno può toccarlo? Proteggere significa davvero isolare?»

Non ho una risposta da darle. Le sue parole si mescolano al silenzio dell’abitacolo mentre sorvoliamo il perimetro della riserva con rispetto. La Corsica stessa, in fondo, è un po’ così: un’isola che lotta per preservare la sua identità, mentre il mondo cerca di cambiarla.

Alcuni luoghi non hanno bisogno di essere toccati per lasciare un segno. La loro bellezza basta a raccontare tutto ciò che serve sapere.

Parte della Riserva Naturale di Scandola (foto flight simulator 2024)

Sorvolo di Girolata – La Ribelle Senza Strade

«Incredibile» esclama Veronika, sollevando lo sguardo dalla guida. «Qui dice che Girolata è uno dei pochi villaggi in Europa a non avere strade. O ci arrivi in barca o devi camminare per ore tra le montagne.»

Dall’alto, la baia si rivela come un rifugio segreto tra le scogliere. Un piccolo borgo di case in pietra si stringe attorno al porticciolo, incastonato tra il mare e le montagne. Rallento per un sorvolo più lungo, lasciando che il panorama si scolpisca nella memoria. Sembra un luogo dimenticato dal tempo ma forse è il tempo ad averlo voluto proteggere.

«Non è sempre stato così tranquillo» continua Veronika. «Nel Cinquecento, questa baia era un rifugio per i pirati barbareschi. Attaccavano le navi mercantili e poi sparivano qui, protetti dalle montagne e dal mare.»

Guardo la baia con altri occhi. È facile immaginare le ombre di velieri ancorati tra le insenature, uomini armati che scaricano bottini rubati, il fuoco di sentinelle nascoste tra gli scogli.

«Alla fine i Genovesi ne ebbero abbastanza» prosegue Veronika. «Costruirono quel forte sulla collina per controllare il passaggio e fermare il traffico dei pirati.»

Sorvoliamo lentamente la fortezza. La pietra, consumata dal vento e dalla salsedine, sembra ancora pronta a resistere. Ha sconfitto i pirati, ha assistito al passaggio dei secoli ma non ha mai ceduto alla modernità. Questo villaggio ha scelto di restare isolato, di non lasciarsi cambiare dal mondo. O forse, semplicemente, il mondo non è mai riuscito a cambiarlo.

«Resistere è un atto di coraggio o solo ostinazione?» domando a bassa voce, più a me stesso che a Veronika.

Osservo il villaggio rannicchiato tra il mare e la montagna. È come se il tempo qui si fosse fermato, come se Girolata avesse scelto di restare fuori dal mondo. Forse, in un certo senso, è lo stesso spirito che anima tutta la Corsica: un’isola che resiste, che si aggrappa alle sue radici senza lasciarsi travolgere dalla modernità.

Ci sono luoghi che la storia ha cercato di cambiare ma che hanno scelto di rimanere se stessi. Girolata è uno di questi.

Girolata vista dal Cessna (foto flight simulator 2024)

Sorvolo del Golfo di Porto – La Porta delle Meraviglie

Oltre Girolata, la costa si spalanca rivelando il Golfo di Porto in tutta la sua imponenza. La baia sembra un dipinto dai contrasti perfetti: il mare turchese lambisce le scogliere di granito rosso mentre il verde intenso della macchia mediterranea si insinua tra le rocce. Spiagge stupende scorrono sotto di noi mentre avanziamo verso l’ingresso del fiordo.

«Qui dice che il Golfo di Porto è uno dei paesaggi più spettacolari della Corsica» commenta Veronika. «Anche questo è Patrimonio dell’UNESCO, un equilibrio perfetto tra spiagge, montagne e scogliere scolpite dal tempo.»

Il borgo di Porto si incastra tra le pareti rocciose di un fiordo, un minuscolo avamposto tra terra e mare. La sua torre genovese domina la costa, vigile e immobile come un guardiano antico.

Perso nell’ammirare il paesaggio, solo ora mi rendo conto di un dettaglio che non avrei dovuto trascurare. La baia è più stretta di quanto sembri dall’alto e le pareti del fiordo si chiudono rapidamente attorno a noi.

«Meglio salire» dico, senza lasciare spazio all’incertezza.

Veronika alza lo sguardo dalla guida, percependo il cambio di tono.

La gola rocciosa si stringe attorno a noi più velocemente del previsto. Per un istante, la sensazione è quasi claustrofobica: la parete rossa della scogliera scorre troppo vicina sotto l’ala, l’ombra delle rocce si allunga minacciosa sull’acqua. Spingo la manetta in avanti, il motore risponde con un rombo profondo e il velivolo inizia a salire. È un momento di sospensione, poi finalmente l’orizzonte si apre di nuovo davanti a noi.

Skippy, anche lei finora rapita dal panorama, scatta in piedi sul sedile con le zampe poggiate sul cruscotto, fissando lo schermo della navigazione con occhi sgranati. Emette un suono secco e indignato, poi batte rapidamente una zampa sulla mappa digitale, come a dire Ehi, questo dovevate vederlo prima!

Lentamente, il velivolo recupera margine. Superiamo il punto più stretto e la tensione si dissolve con l’aria più rarefatta dell’altitudine.

«Non male per una porta d’accesso alle meraviglie» dico con un respiro profondo.

Veronika mi guarda con un sorriso divertito. «Diciamo che la prossima volta controlliamo meglio la quota prima di entrare in un fiordo.»

Skippy incrocia le zampe e si lascia cadere di lato con aria teatrale, come a voler sottolineare la sua delusione per non averci salvati prima. Poi, con un piccolo sbuffo, si rannicchia nel suo posto, decidendo che la prossima volta terrà d’occhio anche noi, non solo il panorama.

Alcuni luoghi non sono solo panorami ma porte d’accesso a storie di conquiste, difese e segreti custoditi dal mare.

Cittadina di Porto (foto flight simulator 2024)

Sorvolo delle Calanche di Piana – Le Fiamme Pietrificate della Corsica

Ultimata la salita, le Calanche di Piana si dispiegano alla nostra sinistra, un labirinto di guglie rossastre che sembrano ardere sotto il sole. La roccia, scolpita dal vento e dalla pioggia, assume forme surreali: pinnacoli affilati, archi che sembrano porte verso un altro mondo, pareti verticali che precipitano a strapiombo sul mare turchese. Il contrasto tra la luce e l’ombra amplifica la sensazione di trovarsi davanti a qualcosa di irreale.

Abbasso leggermente la quota per seguire il profilo della costa, scendendo verso il paesino di Piana.

Veronika, con la fotocamera ancora tra le mani, osserva le formazioni con uno sguardo curioso. «Sai che c’è una leggenda su queste rocce?» dice, abbassando la fotocamera per un istante.

Alzo un sopracciglio. «Una leggenda? Racconta.»

Veronika assume un tono più basso, quasi teatrale. «Si dice che il diavolo si innamorò di una bellissima pastorella corsa. Cercò di conquistarla con promesse e ricchezze ma lei lo rifiutò. Allora, accecato dall’ira, maledisse la sua terra trasformandola in un deserto di pietra aspra e contorta, bruciata per l’eternità.»

Osservo il paesaggio sotto di noi. Le rocce non sono semplicemente pietra: sembrano forme inquiete, sculture di fuoco pietrificato in un istante eterno. È facile capire perché questa storia sia sopravvissuta nei secoli.

«Strana punizione» commento con un mezzo sorriso. «Questa terra maledetta è una delle più belle che abbia mai visto.»

Veronika scatta ancora qualche foto, poi annuisce. «Forse le maledizioni non funzionano sempre come dovrebbero.»

Alcune storie resistono al tempo, incise nella pietra e nel vento. Le Calanche di Piana raccontano una leggenda ma la loro bellezza è fin troppo reale.

Calanche di Piana (foto flight simulator 2024)

Sorvolo di Cargèse – Il Villaggio dalle Due Anime

Cargèse si inizia a intravedere davanti a noi, un piccolo borgo arroccato sulla costa, le case bianche e color pastello distese lungo il pendio.

«Qui dice che Cargèse è uno dei luoghi più particolari della Corsica» mi racconta Veronika mentre scorre la guida. «È stata fondata nel XVII secolo da una comunità di coloni greci in fuga dall’Impero Ottomano. Cercavano una nuova casa e la trovarono qui.»

In basso, tra i tetti e le strade strette, si distinguono due chiese costruite una di fronte all’altra. Veronika me le indica prontamente. «Ecco il segno più visibile della loro eredità» continua. «Una è cattolica latina, l’altra ortodossa greca. Per secoli hanno vissuto divisi dalla fede ma uniti dalla vita quotidiana.»

Le due chiese si guardano a pochi metri di distanza: una semplice e bianca, l’altra più elaborata, con dettagli bizantini.

«Non è stato sempre facile» aggiunge Veronika. «All’inizio i corsi e i greci si guardavano con diffidenza. C’erano tensioni, scontri, anche episodi di violenza. Poi con il tempo le due comunità si sono mescolate e oggi Cargèse è il simbolo di un’identità condivisa.»

Osservo il paesino che scorre sotto di noi. Un tempo diviso, oggi unito senza aver perso le proprie radici.

«Quindi hanno imparato davvero a convivere» commento.

Veronika chiude la guida con un sorriso. «Esatto. Questo è un esempio perfetto di come le differenze possano arricchire, invece di separare.»

Restiamo in silenzio per qualche istante, elaborando questa piccola lezione di storia e tolleranza.

Qualcosa nella storia di questo borgo continua a frullarmi in testa mentre ci allontaniamo da Cargèse. Due comunità, due culture diverse, eppure alla fine hanno trovato un equilibrio. Mi fa pensare a un altro discorso rimasto in sospeso.

«Vedi?» dico a Veronika, rompendo il silenzio. «Alla fine, l’indipendenza non è sempre una questione politica. A Cargèse non è servito un confine o un governo separato. Hanno trovato un modo per convivere, senza perdere la loro identità.»

Veronika mi osserva, incrociando le braccia. «Ma l’identità è più di una convivenza pacifica. Non è solo questione di stare insieme, è anche sentirsi parte di qualcosa di unico. Guarda la Corsica: non ha mai ottenuto l’indipendenza ma questo non ha fermato i corsi dal sentirsi diversi dai francesi

Esito per un istante prima di parlare, osservando la linea frastagliata della costa che scorre sotto di noi. La domanda mi resta in gola per qualche secondo, perché io stesso non so bene la risposta. Poi, quasi senza rendermene conto, la pronuncio comunque. «E vale la pena combattere per qualcosa che non cambia davvero la vita delle persone?»

Veronika scuote la testa con un sorriso. «No, ma la cultura, la lingua, le tradizioni sì. A volte, l’indipendenza è nel modo in cui scegli di esistere.»

Skippy, che ha seguito la conversazione con lo sguardo che si spostava tra me e Veronika, spalanca gli occhi, emette un suono acuto e poi, con un’espressione teatrale, si lancia in avanti e indica un punto a caso fuori dal finestrino, come a voler interrompere il dibattito con qualcosa di più importante.

Scoppiamo a ridere. Lei incrocia le zampe e si siede con aria soddisfatta, come se avesse appena risolto il dilemma.

Forse la risposta non è così semplice. O forse, come per Cargèse, l’identità è fatta di equilibri invisibili, più forti di qualsiasi confine.

Cargèse è la prova che le differenze non separano ma arricchiscono. Qui due mondi hanno imparato a guardarsi negli occhi e a condividere lo stesso cielo.

Cargese (foto flight simulator 2024)

Sorvolo di Ajaccio – La Città del Sole e della Storia

Superato l’ultimo promontorio, la costa si apre improvvisamente davanti a noi, rivelando la città di Ajaccio adagiata sul suo golfo. Da questa angolazione, Ajaccio sembra emergere dalla terra, con le case color ocra che si affacciano sul porto e le colline che la abbracciano alle spalle. Il sole riflesso sul mare e sui tetti regala alla scena un’atmosfera calda e vibrante.

«Ajaccio è stata fondata dai Genovesi nel 1492» racconta Veronika. «Ma la sua storia è molto più antica. Qui c’erano insediamenti romani e ancora prima popolazioni preistoriche. È sempre stata un crocevia di culture.»

Sorvoliamo il centro storico, lasciandoci guidare dai vicoli che si snodano tra palazzi eleganti e piazze alberate. Si vede chiaramente Place Foch, che spicca con la sua statua di Napoleone vestito da imperatore romano, mentre la Cattedrale di Santa Maria Assunta si distingue con la sua facciata color miele.

Cerchiamo con lo sguardo la casa natale di Napoleone, nascosta tra le vie della città, ma non la individuiamo. Un pensiero, però, mi sfiora mentre osservo le strade sotto di noi: da qualche parte laggiù, un bambino corso ha mosso i suoi primi passi senza sapere che un giorno avrebbe cambiato il destino di interi continenti.

Resto in silenzio per un momento, lasciando che il pensiero prenda forma.

Napoleone non è solo il generale, l’imperatore, il conquistatore. Prima di tutto, è stato un ragazzo corso, cresciuto su questa stessa terra, tra queste stesse strade, con questo stesso mare all’orizzonte.

«Ci pensi?» dico a Veronika. «Da qui è partito un bambino. Uno solo. E ha cambiato la storia del mondo.»

Lei annuisce, lo sguardo perso tra i tetti della città. «Come Paoli» aggiunge dopo un attimo. «Uomini soli che hanno segnato il destino di un popolo.»

Penso ad Antoine, al suo racconto, al suo sguardo fiero mentre parlava della Corsica. Penso a Paoli, a Napoleone, a tutti quelli che hanno provato a lasciare un segno, nel bene o nel male.

Forse la storia è fatta di uomini che scelgono di non restare spettatori. Paoli è l’eroe della Corsica, il simbolo della sua lotta per la libertà. Napoleone è il conquistatore che ha riscritto il destino dell’Europa. Due corsi, due visioni opposte.

E oggi, cosa significa essere corsi? Essere figli di chi ha combattuto per l’indipendenza o di chi ha dominato il mondo? Forse, la risposta è nel modo in cui la Corsica continua a esistere: fedele a sé stessa, anche quando tutto intorno cambia.

Ci sono città che appartengono alla storia e città che hanno fatto la storia. Ajaccio è entrambe le cose.

Ajaccio visto dal Cessna (foto flight simulator 2024)

L’aeroporto Napoléon Bonaparte è poco più avanti, la pista appare oltre la città. Prima di iniziare la discesa, mi volto verso Skippy.

«Ti va di abbassare i flap?» chiedo con un sorriso. «Un piccolo aiuto per l’atterraggio, dopo tutto il supporto che ci hai dato oggi.»

Skippy si illumina e si precipita in avanti. Con movimenti rapidi, afferra la piccola leva e abbassa i flap con precisione. Poi si gira verso di me, alza il pollice con soddisfazione e torna fiera al suo posto, allacciando la cintura per l’atterraggio.

Allineo il velivolo con la pista. La discesa è spettacolare: il mare sembra lambire il bordo della pista, il verde e l’azzurro delle onde si infrangono sulla riva poco prima dell’asfalto. Le ruote toccano l’asfalto con un leggero sobbalzo.

Per un attimo, il riflesso dorato del sole sulla pista sembra confondersi con il bagliore del mare che brilla oltre la barriera. Un ultimo respiro profondo, poi il rullaggio lento ci riporta alla realtà.

Siamo ad Ajaccio.

08 + Diario di Viaggio Calvi

Colazione con vista e sapori corsi

Calvi si risveglia con la lentezza di chi conosce il valore del tempo. Il mare, ancora avvolto nel sonno della notte, si lascia accarezzare dai primi raggi dorati del sole. L’aria fresca profuma di sale mentre il suono ritmico delle onde si mescola ai primi rumori della città che prende vita.
Ci accomodiamo a un piccolo café sul porto, scegliendo un tavolino all’aperto da cui osservare la baia. Le barche oscillano leggere sull’acqua. «Volete provare qualcosa di tipico?» ci chiede la barista, una donna sulla cinquantina dall’aria ospitale.

Annuiamo, incuriositi. Poco dopo, torna con un piattino decorato e lo posa davanti a noi con un sorriso complice. «Ecco, questo è il fiadone, un dolce tradizionale corso a base di brocciu, un formaggio fresco locale. Ogni famiglia ha la sua ricetta ma il segreto è sempre lo stesso: semplicità e amore.»

Davanti a noi, una torta dorata e profumata. Al primo morso, il contrasto tra il formaggio delicato e il leggero aroma agrumato si rivela sorprendente, bilanciato alla perfezione dal nostro café noisette, un espresso con un goccio di latte.

«Davvero particolare» commenta Veronika, assaporandolo lentamente. «Non troppo dolce ma perfetto» aggiunge.

La barista sorride, orgogliosa, e appoggia il vassoio. «Siete già stati a Notre-Dame de la Serra?» chiede, sistemandosi il grembiule, come se stesse per raccontare qualcosa che le sta a cuore. «Da lassù si vede tutta Calvi» continua. «Ma non è solo la vista a renderlo un posto unico. Si dice che chiunque salga lì con la persona amata avrà un legame eterno. Una leggenda, certo… ma anche una di quelle storie che fanno parte dell’anima di un luogo.»

Veronika e io ci scambiamo un’occhiata divertita. Senza pensarci, le sfioro la mano sotto il tavolo. Lei la intreccia alla mia per un istante, lasciando che il sorriso si trasformi in qualcosa di più dolce. Poi scherzo, lanciando uno sguardo a Skippy, che sta ancora mordicchiando un’altra fetta di fiadone, completamente indifferente alla conversazione. «Direi che è perfetto per te, Skippy.»

L’ultima goccia di caffè scivola via, mentre il profumo del forno si mescola alla brezza del mattino. Ci alziamo, con la sensazione che la giornata ci stia già portando verso qualcosa di speciale. Notre-Dame de la Serra ci attende.

Il primo morso di un piatto locale è come una porta che si apre sulla storia di un popolo.

Fiadone Corso (foto di Dall-E)

Salita a Notre-Dame de la Serra

Il sentiero verso Notre-Dame de la Serra si srotola davanti a noi come un’antica via di pellegrinaggio, battuta nel tempo da passi lenti e silenziosi. Il cielo terso sovrasta la macchia mediterranea che profuma di mirto e cisto, mescolandosi alla brezza salmastra che sale dal mare.
Per noi 2,5 km sono poco più di una passeggiata. Per Skippy, invece, è una questione strategica. Ha drizzato le orecchie, sta calcolando la pendenza con aria da esperta e, a giudicare dal suo sguardo, sta solo aspettando il momento giusto per farmi da zavorra.
«No, piccola esploratrice, oggi cammini anche tu» la avverto, ridendo mentre iniziamo il percorso.
Lei mi lancia uno sguardo offeso, sbuffa teatralmente e incrocia le braccia ma poi inizia a camminare con le spalle curve e lo sguardo rassegnato di chi sta affrontando la più grande delle fatiche.

Il sentiero si snoda tra la vegetazione e lungo il tragitto incrociamo famiglie, coppie e gruppi di amici, tutti diretti verso la cappella. L’escursione sembra quasi un rito per chi visita Calvi. Di tanto in tanto, ci fermiamo a leggere i pannelli informativi lungo il percorso.
«Interessante» dice Veronika, scorrendo con gli occhi le informazioni. «Da qui si avvistavano le navi pirata prima che raggiungessero la costa.»

Guardo in alto verso la cappella, ancora lontana sulla sommità della collina. «Strano pensare a un tempo in cui il mare non significava solo viaggio, ma anche pericolo.»
Il sole si fa sentire e qualche goccia di sudore mi scende sulla fronte. Skippy resiste eroicamente per qualche minuto, poi cede. Con un balzo, si lancia sulle mie spalle e si sistema con la sicurezza di chi ha appena risolto il problema della giornata.
«Ed ecco la nostra scroccona all’opera!» esclamo con tono da telecronista, fingendo di barcollare sotto il suo peso. «Sapevo che il mio equipaggiamento sarebbe aumentato in corso d’opera!»
Skippy, fingendo di non sentire, si accomoda meglio e si gode il panorama.

Una coppia anziana di turisti, che procedeva dietro di noi, scoppia a ridere. L’uomo, con un sorriso divertito, esclama qualcosa in spagnolo: «¡Eso sí que es viajar con estilo!»
Veronika ride. «Direi che approvano la tua tecnica, Skippy.»

Dopo circa 40 minuti di cammino, raggiungiamo finalmente la chapelle Notre-Dame de la Serra, che si erge in cima alla collina come una sentinella silenziosa. Il golfo di Calvi si distende sotto di noi come una tela infinita di blu e oro, con la cittadella genovese che si staglia netta contro l’orizzonte. Alle nostre spalle, le montagne dell’entroterra corso si ergono maestose, quasi a ricordare che la Corsica è un’isola sospesa tra il mare e la roccia, tra viaggio e radici.

Skippy, che si è goduta comodamente buona parte del tragitto, si rianima all’improvviso, si stira e inizia ad annusare l’aria fresca come se fosse stata la prima ad arrivare.
Veronika legge ad alta voce un pannello per turisti: «Ogni anno, il patrono di Calvi viene celebrato proprio qui.» Poi mi guarda, con un sorriso appena accennato.

Mi fermo accanto a lei e nel silenzio del luogo le sfioro il viso. Lei non dice nulla ma si sporge e mi bacia con dolcezza.
«Speriamo che la leggenda sia vera» mormora, i suoi occhi persi nei miei.
Sorrido, lasciando che il momento si imprima nella memoria.

Poi, con uno sguardo all’orizzonte, riprendiamo il cammino verso la città, lasciandoci alle spalle la cappella e portando con noi una nuova storia da raccontare.

Alcuni luoghi non si raggiungono solo con i passi ma con lo sguardo e con il cuore.

vista da Notre-Dame de la Serra (foto di catherine v su Tripadvisor.it)

Discesa verso Calvi e un pranzo in compagnia

Dopo una rapida rinfrescata in albergo, usciamo di nuovo per immergerci nel cuore della cittadella genovese. I vicoli acciottolati si aprono tra facciate color miele e terra, piccoli balconi fioriti e insegne in ferro battuto che oscillano leggere nella brezza marina.
L’ora di pranzo si avvicina e il profumo di spezie e arrosti che si diffonde tra le stradine ci guida quasi senza accorgercene.
«Che ne dici di fermarci qui?» chiedo, indicando una trattoria incastonata tra le mura.

L’insegna in legno riporta il nome “Chez Antoine” e il profumo che arriva dalla cucina promette solo cose buone. Appena ci sediamo, un uomo sulla sessantina, con capelli bianchi arruffati e un grembiule legato in vita, si avvicina con un sorriso bonario. L’energia con cui si muove tra i tavoli suggerisce che non stia fermo un attimo, come se la cucina fosse il suo regno.
«Benvenuti! Avete scelto bene, da me si mangia come a casa.» La sua voce ha il tipico accento corso, caldo e rassicurante.

Mentre ci accomodiamo, Skippy cattura subito l’attenzione dell’oste.
Antoine inclina la testa con aria curiosa e la osserva con un sorriso malizioso. «E tu chi saresti? Sembri una piccola esploratrice.»
Skippy lo fissa per un attimo, poi inclina la testa con aria compiaciuta e solleva una zampetta, tendendola con grazia come se aspettasse un baciamano.
Antoine scoppia a ridere. «Ah, ma sei una signorina di classe!» esclama battendo le mani sulle ginocchia.

E da quel momento, la situazione degenera.
Ogni volta che passa davanti al nostro tavolo, Antoine trova una scusa per lasciarle un pezzetto di qualcosa. Prima un pezzo di pane caldo, poi un tocchetto di lonzu, poi addirittura un pezzetto di tomme de brebis.
Io e Veronika ci scambiamo uno sguardo divertito.
«Incredibile» commento. «Di noi tre è sicuramente quella che ha camminato di meno eppure sta mangiando come se avesse scalato il Monte Cinto
Veronika ride, lanciandomi un’occhiata ironica. «Se continua così, dovremmo portarla in spalla anche al ritorno.»
La osservo con sguardo torvo. «Questa volta la carichi tu però.»

Antoine ride con gusto. «Ah, ma è giusto così! Un ospite speciale merita un trattamento speciale!»
Chiudiamo i menu e ci affidiamo completamente a lui. Antoine si illumina e sparisce in cucina. Dopo pochi minuti riappare con un piatto fumante tra le mani.
«Ecco a voi il Veau aux olives, uno stufato di vitello con olive, erbe aromatiche e vino corso.»

Il profumo è irresistibile. Il sugo avvolge teneri pezzi di carne, mentre le olive nere aggiungono un contrasto perfetto.
«Questo è uno dei piatti più amati della Corsica» spiega Antoine, servendoci. «Lo prepariamo con il vino locale che dà alla carne quel sapore ricco e profondo.»

Prendiamo il primo boccone e ci scambiamo uno sguardo soddisfatto.
«Squisito.» Veronika chiude gli occhi per un istante, assaporando il gusto intenso.
«Davvero incredibile.» aggiungo, lasciando che il sapore del piatto si fissi nella memoria.

Mentre il pranzo continua tra risate e buon cibo, ci rendiamo conto che abbiamo trovato molto più di un posto dove mangiare. Abbiamo trovato un personaggio, una storia, un pezzo autentico di Corsica.

Tra un assaggio e una battuta, il pranzo scorre leggero. Eppure, tra le risate, una domanda rimane sospesa nell’aria. La Corsica ha sempre difeso la sua identità… ma è mai stata davvero indipendente?

Nei piccoli ristoranti di un luogo si trovano i sapori autentici e, a volte, storie più vere di quelle scritte nei libri.

Veau aux olives (foto di Dall-E)

Una storia di orgoglio e identità

Dopo aver gustato fino all’ultimo boccone del nostro Veau aux olives, ci troviamo così bene da decidere di fermarci ancora un po’. Antoine, che ci ha accompagnato per tutto il pranzo con la sua ospitalità, sembra aspettare con piacere il momento di una chiacchierata più rilassata.
«Aspettate qualche minuto» ci dice con un sorriso «finiamo di sistemare la sala e poi mi siedo con voi. Vi porto qualcosa di speciale.»

Annuiamo, osservando l’atmosfera della trattoria cambiare lentamente. Gli ultimi clienti lasciano i tavoli, il vociare si attenua e il locale si svuota, lasciando solo il suono dei bicchieri riordinati e dei piatti che vengono portati in cucina.
Poco dopo, Antoine ritorna, stavolta senza il grembiule, con una bottiglia e tre bicchierini in mano.
«Ecco qua» dice con fierezza «un bicchiere di myrte, il nostro amaro al mirto. Perfetto per accompagnare qualsiasi discorso.»

Si siede di fronte a noi, con l’aria di chi si appresta a dialogare piacevolmente.
«Dunque» inizio io «abbiamo una curiosità che ci portiamo dietro da quando siamo arrivati in Corsica. Perché l’isola ha combattuto per l’indipendenza dai Genovesi ma poi è finita sotto la Francia senza mai ottenere la sua vera autonomia?»

A questa domanda, gli occhi di Antoine si accendono di passione. Si sistema meglio sulla sedia, prende un sorso del suo amaro e inizia a parlare con il tono di chi questa storia l’ha sentita raccontare da generazioni.
«Ah, questa è una domanda che ogni corso si è fatto almeno una volta nella vita» dice, lasciando scorrere le dita sul bordo del bicchiere. «Per capire la nostra storia bisogna partire da molto lontano.»

Skippy, che fino a poco prima era rimasta tranquilla ad ascoltare, si accoccola sulle gambe di Antoine senza fare rumore. Con un sospiro soddisfatto, chiude gli occhi e si lascia andare al sonno.
Antoine guarda in basso, sorride con dolcezza e le accarezza la testa con un gesto spontaneo.
«Ah, questa piccola signorina ha capito tutto della Corsica» commenta. «Qui si vive di passioni, di racconti e di legami.»

Poi torna a noi e, con lo sguardo acceso, riprende il filo del discorso.

Antoine prende un sorso di mirto, poi sospira. «Nel 1755 Pasquale Paoli guidò la Corsica verso l’indipendenza, trasformandola in una repubblica con leggi proprie e un governo autonomo.»
Fa una breve pausa, come se volesse lasciarci il tempo di immaginare quel momento.
«Ma la libertà durò poco.»

Si passa una mano sulla fronte, poi continua. «Genova, ormai incapace di controllare l’isola, la cedette alla Francia nel 1768 con il Trattato di Versailles. Senza chiedere nulla ai corsi.»

Io e Veronika ci scambiamo uno sguardo. Pensare che un’intera isola sia stata venduta come fosse una merce è sconcertante.
Antoine ci osserva, poi abbassa lo sguardo sul bicchiere. «Paoli tentò di resistere ma l’anno dopo…» Il tono si abbassa. «La battaglia di Ponte Novu segnò la fine della nostra indipendenza.»

Resta in silenzio per un momento, poi ci guarda.
«Sapete perché abbiamo perso?» Lascia la domanda sospesa nell’aria prima di rispondere. «I francesi erano meglio armati, più numerosi, con esperienza di guerra. Ma non bastava. Ciò che ci condannò fu un tradimento.»

Veronika inclina la testa. «Un tradimento?»
Antoine annuisce lentamente. «Paoli aveva ottenuto aiuto dagli inglesi e si aspettava rinforzi. Ma all’ultimo momento, i genovesi, che ancora avevano influenza sull’isola, convinsero alcuni capi corsi a ritirarsi. Alcune unità si disgregarono, altre si arresero senza combattere. Il grosso dell’esercito corso venne accerchiato vicino al fiume Golo e massacrato.» Abbassa il tono della voce. «I francesi usarono l’artiglieria con una violenza devastante. I corsi combattevano con armi rudimentali. Non fu una battaglia, fu una carneficina.»

Rimaniamo in silenzio per qualche istante.
«Paoli riuscì a fuggire in esilio grazie agli inglesi» continua Antoine, quasi sussurrando. «La Corsica non si riprese mai da quella sconfitta. Poco dopo, l’isola divenne ufficialmente francese. Da allora, la nostra cultura è stata schiacciata… ma mai cancellata.»

«E da allora?» chiedo.
Antoine sospira. «Da allora la Francia ha imposto la sua lingua, la sua cultura, il suo controllo… ma il cuore della Corsica è sempre rimasto fiero e indipendente.»

Si ferma un attimo e ci guarda negli occhi, quasi a volerci trasmettere quella stessa fiamma di orgoglio che arde ancora nel popolo corso.
«Capite ora perché, ancora oggi, molti corsi non si sentono francesi? Perché la nostra indipendenza è durata poco… ma il nostro spirito non è mai stato domato.»

Ci scambiamo un’occhiata, assaporando non solo il mirto ma anche il peso della storia.
Antoine abbassa lo sguardo su Skippy e le accarezza la testa. «Ed è proprio come lei.» Sorride. «Puoi portarla in capo al mondo, cercare di cambiarla… ma nel profondo resterà sempre sé stessa.»

Sorrido, osservando Skippy che inclina la testa, ignara di quanto stia incarnando un’intera isola.

Il sole inizia a calare e con lui si chiude anche il nostro lungo pranzo. Le parole di Antoine rimarranno con noi, così come il profumo del mirto e il sapore intenso della storia corsa.

L’indipendenza non si misura solo con la politica, ma con il sentimento di appartenenza di un popolo alla propria terra.

L’indipendenza non si misura solo con la politica ma con il sentimento di appartenenza di un popolo alla propria terra

Chef Antoine (foto leonardo.ai)

Il Tintinnio della Memoria

Salutiamo Antoine con un ultimo sorriso prima che torni ai suoi fornelli, pronto ad accogliere nuovi avventori e raccontare altre storie. Prima di lasciarci, ci stringe la mano con calore.
«Grazie per il tempo che mi avete dedicato» dice con sincerità.

«No, siamo noi a dover ringraziare te» rispondo. «Ci hai fatto scoprire la Corsica con occhi diversi.»

«E abbiamo anche abusato della tua pazienza» aggiunge Veronika, quasi scusandosi.

Lui scuote la testa, ridendo. «Ma smettetela! È stato un piacere. Se tutti fossero curiosi come voi, il mondo sarebbe un posto migliore.»

Skippy lo guarda per un attimo, poi gli si avvicina e gli poggia delicatamente la testa sulla mano. Antoine le accarezza la fronte con un sorriso malinconico, quasi paterno.
«Ah, piccola, mi hai fatto una compagnia speciale oggi» dice piano. «Adesso vai e scopri ancora il mondo ma porta questo con te…»

Dalla tasca estrae un piccolo campanellino in bronzo e lo porge a Skippy. «È una riproduzione delle vecchie campane di Calvi. Per secoli hanno scandito la vita della città. Un piccolo suono per ricordarti di noi.»

Skippy spalanca gli occhi, afferra il campanellino tra le zampe e lo scuote leggermente, lasciando che il suo suono delicato riecheggi nell’aria. La sua coda inizia a muoversi, segno inequivocabile della sua felicità.

Antoine ride, soddisfatto. «Sapevo che ti sarebbe piaciuto.»

Skippy, invece di rispondere, si stringe ancora di più a lui per un istante, in un gesto che vale più di qualsiasi parola.
Io e Veronika ci scambiamo uno sguardo divertito. Non importa dove andiamo, Skippy riesce sempre a fare nuove amicizie… e, questa volta, a portare con sé un pezzo di Calvi.

La campanellina donata a Skippy (foto Dall-E)

La cittadella al tramonto

Usciti dalla trattoria, ci incamminiamo tra le mura di Calvi con una nuova consapevolezza. Il sole tramonta, tingendo la pietra di sfumature dorate. La città, ormai silenziosa, respira nel vento salmastro mentre le prime luci si accendono nei vicoli.

Davanti alla Cattedrale di San Giovanni Battista, Veronika legge un pannello informativo. «Qui dentro c’è la Madonna del Rosario. Secondo la leggenda, salvò la città durante l’assedio degli Inglesi nel 1794

«Un altro pezzo di storia corsa» mormoro.

Più avanti, da un punto panoramico, osserviamo la cittadella che si staglia contro l’orizzonte infuocato. Veronika si stringe a me. «Ora capisco perché la Corsica difende così tanto la sua identità. Non è solo un’isola, è un mondo a sé.»

Restiamo qualche minuto in silenzio, lasciandoci avvolgere dalla brezza serale. Poi riprendiamo il cammino, con la sensazione di aver aggiunto un altro tassello al nostro viaggio.

Ogni viaggio ha il suo suono. A Calvi è il vento tra le mura, il tintinnio di una campana e il rumore del mare

la Cittadella di Calvi al tramonto (foto di hotel-solemare-calvi.com)

Nel buio della stanza, il tintinnio della campana di Skippy è l’ultimo suono che ci accompagna. La Corsica non è solo un luogo: è memoria, orgoglio, radici profonde intrecciate tra storia e natura. Ci è entrata dentro, senza che ce ne accorgessimo. Come fanno i luoghi che lasciano il segno.

08 – Diario di Volo da Bastia a Calvi

Verso l’ignoto, tra cielo e montagne

Gli ultimi saluti a Isabelle e Laurent risuonano ancora nelle nostre teste mentre decolliamo da Bastia. La cittadina e la sua laguna scorrono alla nostra destra, immerse nella luce viola del tramonto. La salita procede senza problemi, il Cessna prende gradualmente quota. Veronika è concentrata sulla guida, come sempre aperta sulle sue ginocchia, mentre io controllo gli strumenti di bordo.

All’improvviso, Skippy spicca un salto in avanti dal sedile posteriore e atterra direttamente sulle gambe di Veronika, che sobbalza per la sorpresa. La guida le scivola dalle mani e cade a terra tra i pedali.

«Ehi, Skippy! Che hai visto?» esclamo, mantenendo la concentrazione sulla rotta.

Veronika recupera la guida e la osserva con aria interrogativa. Skippy è in piedi sulle sue zampe posteriori, il muso proteso in avanti con aria seria. Non è il solito scatto giocoso: sta cercando di attirare la nostra attenzione su qualcosa. Con la zampa, inizia a picchiettare il tablet di bordo.

«Aspetta un attimo…» Veronika si sporge, osservando meglio. «Sta cercando di dirci qualcosa.»

Skippy insiste, batte ripetutamente la zampa su un punto preciso della schermata di navigazione. Mi avvicino con lo sguardo e finalmente capisco: l’altitudine impostata per la rotta è leggermente errata rispetto a quella consigliata. Niente di critico per un volo VFR ma una discrepanza che lei ha notato prima di noi.

Mi giro verso Skippy che mi fissa con aria soddisfatta, la coda che si muove appena.

«Aspetta… vuoi dirmi che hai notato questa cosa prima di noi?» dico, quasi incredulo.

Skippy inclina la testa e alza le zampine con i palmi verso l’alto, come per dire: “Era importante, no?”

Veronika scoppia a ridere. «Camillo, credo proprio che abbiamo addestrato una copilota migliore di quanto pensassimo.»

Veronika corregge il dato sulla rotta. Certo, non era nulla di pericoloso, ma il fatto che Skippy abbia associato la rotta all’altitudine corretta e l’abbia segnalata come un vero navigatore è sorprendente.

La guardo con un mezzo sorriso. «Mi sa che dovrò aggiornare il tuo ruolo da ‘navigatrice di bordo’ a qualcosa di più serio.»

Skippy indica la spilletta apposta da Carlo sulla sua giacchetta, come a dire che le sue ali le ha già.

Veronika ride, accarezzandole la testa. «Direi che tra poco dovremo farle un brevetto onorario.»

Skippy si accoccola sul sedile ma il petto gonfio tradisce il suo orgoglio per la missione compiuta.

Veronika le lancia un ultimo sguardo divertito prima di tornare alla guida. Là fuori, il cielo cambia.

Una pioggerellina leggera ci sorprende, portata dalle innumerevoli nuvolette sparse. Le gocce sottili danzano sul parabrezza senza ostacolarci, anzi, amplificano la magia del momento rendendo lo scenario ancora più suggestivo.

Siamo abbastanza alti da superare le montagne in sicurezza. Si avvicinano rapidamente. Scollinando oltre il crinale, il panorama si spalanca davanti a noi con una bellezza mozzafiato: Saint-Laurent, piccolo punto lontano sulla costa, si lascia intravedere tra il mare e la terra. Alla nostra destra, il Mar Mediterraneo si fonde con il cielo, mentre a sinistra le montagne si innalzano imponenti. Davanti a noi, la costa serpeggia in un susseguirsi di insenature e rilievi che catturano ogni pensiero. Nessuno parla. È uno di quei silenzi contemplativi che regalano relax e si imprimono nei ricordi, indelebili.

Ci sono tramonti che si imprimono nell’anima soprattutto quando li osservi dall’alto, sospeso tra il cielo e la terra.

decollo con Bastia e la sua laguna (foto flight simulator 2024)

Saint-Laurent-de-Moriani, la perla discreta della costa orientale

Iniziamo la discesa verso Saint-Laurent-de-Moriani, Veronika riprende a leggere dalla guida con la sua solita curiosità, approfittando del momento di calma dopo l’irruzione di Skippy.

«Allora… vediamo un po’ cosa dice la guida su Saint-Laurent» inizia, sistemandosi meglio sul sedile. «Qui dice che il villaggio è uno dei più antichi della regione, fondato già in epoca medievale. Il suo nome completo sembra essere Saint-Laurent-de-Moriani. Moriani è il nome della piana su cui si affaccia, una delle più fertili della Corsica. È sempre stato un punto strategico per il commercio e i collegamenti tra la costa e l’entroterra. Per secoli sembra sia stato un crocevia fondamentale per pastori e mercanti.»

«Interessante… e che altro dice? C’è qualche storia particolare legata a questo posto?»

Veronika scorre con le dita lungo la pagina. «Qui raccontano di un’antica tradizione legata alla festa di San Lorenzo. Ogni anno, il 10 agosto, la gente si riunisce per una celebrazione che mescola fede e folklore. Una volta si diceva che, in quella notte, si potessero vedere le ‘lacrime di San Lorenzo’ – le stelle cadenti insomma. Le famiglie lasciavano lanterne accese sulle finestre per onorare il santo e chiedere protezione per i viaggiatori.»

Osservo la costa e rifletto ad alta voce. «Chissà quante persone hanno osservato queste stelle cadenti negli anni… Eppure, ogni generazione vive questo momento come se fosse il primo.»

«Forse perché il cielo non cambia mai, mentre noi sì» continua Veronika. «La tradizione si è mantenuta nel tempo. Oggi è una festa più turistica ma gli abitanti tengono molto a questa celebrazione. Ci sono processioni, musica e, alla fine della serata, rilasciano piccole luci galleggianti nel fiume.»

Mentre il villaggio scorre sotto di noi, cerco di immaginarlo illuminato da quei riti antichi. L’aria limpida della sera esalta le forme del territorio, le strade che serpeggiano tra la vegetazione, le case sparse lungo la costa.

Con un leggero movimento della cloche cambio rotta. Saint-Laurent-de-Moriani si allontana dietro di noi, mentre l’entroterra emerge all’orizzonte, svelando un paesaggio tutto nuovo.

Ogni luogo ha le sue storie da raccontare e spesso le più affascinanti sono scritte nei gesti e nei riti delle persone che lo abitano.

Saint Laurent vista dall’alto (foto flight simulator 2024)

Nel cuore dell’isola, tra monti e villaggi silenziosi

Ci addentriamo nell’entroterra, dove le montagne scolpiscono l’anima più nascosta della Corsica. Da quassù il paesaggio cambia completamente: le distese sabbiose e le località turistiche lasciano spazio a valli profonde, boschi fitti e piccoli borghi di pietra arroccati sulle pendici dei rilievi.

Sorvoliamo Lama, un villaggio che sembra quasi scolpito nella roccia, e poi Novella, incastonato tra le colline della macchia mediterranea. Paesi silenziosi, immersi in un tempo che scorre più lentamente.

«Isabelle ci diceva che in passato vivere nell’entroterra era una necessità, non una scelta» ricorda Veronika, sfogliando la guida. «La gente si rifugiava qui per sfuggire alle incursioni dei pirati e alla minaccia costante della guerra. I paesi come questi erano il cuore pulsante della Corsica, collegati da sentieri impervi e strade battute solo da muli e cavalli.»

«Doveva essere una vita dura. Senza le comodità di oggi. Senza strade asfaltate. Senza collegamenti diretti con la costa.» rifletto.

«Eppure, erano comunità autosufficienti» continua Veronika. «Facevano affidamento sulla terra, sull’allevamento, sui castagneti e sulle poche coltivazioni possibili a questa altitudine.»

Per un attimo penso a Isabelle e Laurent, alla loro casa a Corte, immersa nelle montagne, e a quanto fossero legati alla loro terra. Laurent parlava della Corsica con orgoglio, come di un luogo che resiste al tempo e ai cambiamenti ma che lentamente sta cambiando anche lui.

«Ormai la costa è tutta un’altra storia» rifletto, osservando l’orizzonte dove il mare si perde nel cielo. «Il turismo ha trasformato i villaggi in luoghi caotici, pieni di vita ma anche lontani da quell’autenticità che si respirava un tempo. Qui, invece, sembra che tutto scorra con un ritmo diverso.»

Veronika annuisce. «Anche qui, però, le cose stanno cambiando. La guida dice che molti di questi paesi si stanno spopolando. I giovani preferiscono le città, la modernità, la vita più dinamica. Chi resta lo fa per scelta o perché non ha alternative.»

Osservo il borgo di Novella scorrere sotto di noi. Case antiche, strade strette, piazze vuote. Mi chiedo quante finestre siano illuminate, quante case siano ancora abitate.

«Succede anche in Italia» dico «piccoli borghi che si svuotano, tradizioni che rischiano di perdersi. È il prezzo del progresso, forse.»

Veronika resta in silenzio per un attimo, poi chiude la guida e si appoggia al sedile. «Forse è solo il ciclo naturale delle cose.»

Il Cessna continua a scivolare sopra i rilievi, seguendo le pieghe della terra. Tra passato e futuro, tra resistenza e cambiamento, la Corsica sembra sospesa in un equilibrio fragile.

Ci sono luoghi dove il tempo scorre più lentamente e dove il legame con la terra è più forte di qualsiasi progresso.

il paesaggio dell’entroterra corso con il Monte Cinto all’orizzonte (foto flight simulator 2024)

Verso l’Île-Rousse, la città della luce

Torniamo verso la costa. Il contrasto è netto: l’entroterra era immerso nel silenzio, con i suoi villaggi arroccati e le strade deserte; qui, invece, le luci brillano lungo il litorale segno di movimento e modernità.

L’Île-Rousse appare all’orizzonte, incastonata tra il mare e le rocce rossastre. Il suo nome non è casuale: deve la sua identità proprio a quei blocchi di granito che, al tramonto, assumono una tonalità infuocata.

«L’Île-Rousse… si distingue subito dal resto.» rifletto ad alta voce.

«E ha una storia particolare. Sai che questa città l’ha voluta Pascal Paoli risponde Veronika.

Riduco velocità e quota per godermi meglio il paesaggio. Pascal Paoli. Un nome che in Corsica è ovunque: statue, strade, piazze, aeroporti.

«Il padre della rivoluzione corsa, giusto?» chiedo, accennando un sorriso imbarazzato.

Veronika annuisce. «Esatto. Nel 1758, mentre lottava per l’indipendenza, decise che la Corsica doveva avere un porto che non fosse controllato dai genovesi. Così fondò L’Île-Rousse, un centro che potesse garantire commerci sicuri e, allo stesso tempo, essere difeso dagli attacchi via mare. Sai una cosa ironica? In una città nata per sottrarsi ai genovesi, la lingua ligure è rimasta la lingua del posto fino all’Ottocento.»

Mi appoggio ai comandi e sorvoliamo lentamente il promontorio. Una città corsa, pensata come una città francese, ma che parlava una lingua italiana.

«Non sembra nemmeno un borgo corso» rifletto osservandola.

«Infatti» conferma Veronika. «Paoli voleva che somigliasse di più alle città della costa francese: strade larghe, edifici bassi, un porto funzionale. Insomma, un simbolo della nuova Corsica che sognava.»

L’isolotto rosso che ha dato il nome alla città emerge dal mare come una piccola fortezza naturale.

«Ecco la Pietra» dice Veronika, indicando il massiccio di granito. «Immagina i primi marinai che si avvicinavano qui… Dev’essere stato uno spettacolo surreale per loro.»

Skippy si sporge tra i sedili con le orecchie dritte. Sta fissando qualcosa.

«Ti piace il faro, piccola?» dico, accennando con il mento alla torre bianca che si erge sulla sommità dell’isola.

«Phare de la Pietra» legge Veronika. «Costruito nel 1857, uno dei fari più importanti della Corsica.»

«E sai qual è la cosa interessante?» aggiungo, guardando Skippy. «I fari non servono solo ai marinai.»

Skippy inclina la testa e mi osserva incuriosita.

«Anche per noi piloti ci sono dei fari» continuo. «Negli aeroporti, le piste hanno luci di avvicinamento per gli atterraggi notturni e radiofari che ci tengono sulla rotta anche con il brutto tempo.»

Veronika sorride. «Quindi, nel viaggio come nella vita, serve sempre un faro. Qualcosa che ci guidi, un punto di riferimento, una direzione.»

Le luci della costa tremolano nell’oscurità, ognuna con un significato diverso. Sorrido. «Già… la parte difficile è scegliere quella giusta.»

Alcuni luoghi sono nati per brillare al tramonto. L’Île-Rousse è uno di questi, con il suo granito rosso che si accende di fuoco.

in avvicinamento a l’Île-Rousse con l’isolotto ben visibile (foto flight simulator 2024)

Calvi, tra storia e leggenda

Il sole basso all’orizzonte avvolge la baia di Calvi in una luce calda e dorata, rendendo il panorama ancora più suggestivo quando arriviamo alla baia di Calvi. Dal sedile posteriore, Skippy si alza sulle zampe, infilando il musetto tra i due sedili anteriori. I suoi occhi seguono rapiti l’imponente cittadella, le orecchie tese come se volesse catturare ogni dettaglio.

Veronika sorride e le accarezza la testa. «Bella, vero? Aspetta che ti racconti un po’ di storia su Calvi…» dice, scorrendo la guida e iniziando a leggere con la sua solita voce calma.

«Qui dice che la cittadella fu costruita dai Genovesi nel XIII secolo, quando controllavano la Corsica. La fortificarono per renderla una delle roccaforti più inespugnabili dell’isola. A differenza di altre città corse, Calvi rimase fedele a Genova per secoli, anche quando il resto dell’isola lottava per l’indipendenza.»

Skippy inclina la testa, come se stesse elaborando le informazioni.

«Pensa» continua Veronika, «forse i corsi non cercavano solo l’indipendenza ma anche stabilità. Genova garantiva protezione, commercio sicuro, un porto attivo…»

«Quindi, in fondo, il viaggio e la stabilità non sono così opposti come pensavamo» rifletto, lasciando che l’aereo scivoli dolcemente sopra la città.

Skippy li osserva, poi batte una zampa contro il cruscotto con aria soddisfatta.

Veronika ride. «Credo che Skippy sia d’accordo.»

«O magari ha solo fame e non vede l’ora che arriviamo» aggiungo, divertito.

Sorvoliamo lentamente il porto con le sue barche ormeggiate che sembrano minuscole dall’alto.

«Senti questa!» esclama Veronika, indicando un passaggio nella guida. «Alcuni storici sostengono che Cristoforo Colombo sia nato qui, a Calvi e non a Genova. Esiste persino una targa nella cittadella che afferma questa teoria.»

«Davvero?» intervengo, sorpreso.

«Alcuni storici sostengono che Colombo sia nato a Calvi, ancora sotto il dominio genovese. Non ci sono prove ma qui c’è persino una targa che lo ricorda.» Veronika sfoglia ancora la guida. «E senti questa: nel 1794, durante l’assedio inglese, un giovane Horatio Nelson perse un occhio proprio qui.»

«Nelson? Quel Nelson che poi sconfisse Napoleone a Trafalgar rifletto, sorpreso. «Quindi Colombo e Nelson… niente male come storia per una cittadina di mare.»

«E non è tutto» aggiunge Veronika. «Calvi è famosa anche per il suo festival di musica. Si chiama Calvi on the Rocks ed è uno degli eventi estivi più importanti della Corsica. Qui arrivano artisti da tutto il mondo e trasformano la spiaggia in un enorme palco all’aperto.»

Skippy muove la coda, probabilmente entusiasta all’idea di una spiaggia piena di musica e persone mentre allineo il Cessna per l’atterraggio, lasciandoci alle spalle la cittadella sospesa tra storia e leggenda.

Ogni città ha il suo eroe e la sua battaglia. Calvi ne ha avuti più di uno e ogni pietra della sua cittadella ne custodisce la memoria.

la cittadina di Calvi con la sua cittadella (foto flight simulator 2024)

Una notte a Calvi e una domanda senza risposta

L’atterraggio all’Aéroport de Calvi-Sainte-Catherine è tranquillo, accompagnato dalle ultime luci del crepuscolo che sfumano nel buio. Dopo aver completato le procedure e sistemato il Cessna per la notte, con gli zaini in spalla, ci dirigiamo verso il taxi che ci porterà al nostro albergo, prenotato proprio in centro a Calvi.

Durante il tragitto, la città si svela piano piano tra i lampioni e le luci calde dei ristoranti lungo il porto. Anche al buio la città pulsa di vita. Le luci calde dei ristoranti si riflettono sulle onde, mentre la cittadella, illuminata, domina silenziosa il promontorio.

Veronika osserva il panorama dal finestrino e rompe il silenzio con una domanda che sembra esserle appena balenata in mente. «Ma perché la Corsica ha voluto l’indipendenza dai Genovesi, per poi finire sotto la Francia senza mai riuscire a restare autonoma?»

l’aeroporto di Calvi sulla costa (foto flight simulator 2024)

Ci penso per un istante, poi scuoto la testa. «Domanda interessante… Forse non si trattava solo di indipendenza ma di quale indipendenza scegliere. Magari domani potremmo chiedere a qualcuno del posto. Sarebbe interessante capire la loro prospettiva.»

Veronika annuisce. «Sì, chissà cosa ne pensano oggi i corsi di quel passaggio storico… Se l’indipendenza è ancora un sogno… o solo una storia da raccontare.»

Le città di mare hanno tante storie da raccontare. Alcune sono scritte nelle pietre delle loro mura, altre si riflettono nelle onde del porto.

07 + diario di viaggio Bastia

Accoglienza “canina”

Dopo un viaggio attraverso le sinuose strade montane corse, durante il quale abbiamo scambiato chiacchiere e convenevoli scoprendo il nome della signora, Isabelle, e di suo marito, Laurent, arriviamo finalmente alla loro villetta. La casa, accogliente e immersa nel tranquillo paesino di Corte, ci accoglie con la sua atmosfera calda e familiare. Isabelle ci spiega che la figlia Eliane non è in casa perché la festa sarà una sorpresa. Per ora è ospite di un’amica, intrattenuta dai suoi genitori che stanno facendo del loro meglio per tenerla lontana dal luogo del grande evento.

Appena si ferma l’auto, Skippy, sempre curiosa, balza giù con energia pronta a esplorare. Ma dopo appena due passi si blocca di colpo, le orecchie si drizzano e il suo corpo si irrigidisce: due grossi cani, un labrador beige e un nero, le corrono incontro abbaiando con entusiasmo. Skippy, visibilmente terrorizzata, emette un urlo acuto che sembra un misto tra un lamento e un grido di guerra, poi si gira e cerca una via di fuga. Prima prova a nascondersi sotto l’auto ma i cani la seguono scodinzolando, poi cambia strategia e parte in un fulmineo sprint… solo per balzare direttamente sulle gambe di Amandine, che nel frattempo stava scendendo dall’auto.

L’impatto è così improvviso che Amandine lancia un urletto sorpreso, barcolla per un istante con Skippy che si arrampica disperatamente su di lei e finisce per ruzzolare all’indietro sul sedile posteriore, trascinando con sé anche la piccola fennec.

Per un attimo il silenzio avvolge la scena.

Laurent cerca di richiamare i cani, che nel frattempo si sono fermati, inclinandosi leggermente di lato e osservando la scena con aria perplessa, come se non capissero perché la nuova arrivata non stia giocando con loro. Il labrador nero si siede placidamente e inclina la testa, mentre quello beige, vedendo Skippy aggrappata ad Amandine, decide di imitarla e si alza sulle zampe posteriori appoggiandosi alla portiera dell’auto con un’aria festosa.

Amandine scoppia a ridere, ancora stesa con Skippy avvinghiata a lei. «Okay, okay, ho capito, Skippy! Ti proteggerò io dai mostri pelosi!»

Veronika si tiene il fianco ridendo. «Direi che l’accoglienza è stata calorosa!»

Isabelle scuote la testa con un sorriso mentre Laurent, ancora divertito, si affretta a mettere a bada i due cani, che finalmente sembrano capire che la loro energia è stata un po’ troppo per la piccola ospite.

Skippy, nel frattempo, non sembra ancora del tutto convinta. Dalla sua posizione di sicurezza tra le braccia di Amandine, lancia occhiate sospettose ai due giganti pelosi, mentre il labrador beige si sdraia pigramente come se niente fosse.

Isabelle ride e ci fa cenno di entrare. «Benvenuti a casa!»

Le migliori accoglienze sono quelle impreviste: un abbaio, un salto e una risata condivisa possono trasformare gli estranei in amici.

i due cani della signora Isabelle (foto leonardo.ai)

Una Festa Sotto le Stelle

Il giardino di Isabelle e Laurent si anima con l’arrivo degli amici di Eliane, pronti a festeggiare il suo quindicesimo compleanno. Le luci soffuse creano un’atmosfera calda e accogliente, mentre il profumo di cibo riempie l’aria.

Fin dal nostro arrivo ci siamo dati da fare per aiutare con i preparativi: io e Laurent abbiamo sistemato i tavoli e appeso le lanterne nel giardino, mentre Veronika e Amandine si sono occupate degli addobbi, trovando il giusto equilibrio tra eleganza e semplicità. Isabelle ha diretto con energia l’allestimento del buffet, un tripudio di piatti tradizionali corsi e dolci tipici.

Skippy, attratta irresistibilmente dai profumi provenienti dal tavolo, si avvicina con passo cauto. Il suo nasino si muove rapidamente nell’aria fino a quando si blocca davanti a un vassoio colmo di biscotti dorati e croccanti.

«Quelli sono canistrelli,» spiega Isabelle con un sorriso, vedendo la curiosità di Skippy. «Biscotti tipici corsi, croccanti e profumati di anice e vino bianco.»

Skippy lancia uno sguardo a Veronika, come per chiedere il permesso.

«Va bene ma solo uno, Skippy» concede lei con un sorriso.

La fennec afferra con estrema delicatezza un canistrello tra le zampette e lo mordicchia con aria estatica. Amandine la osserva divertita. «Credo che abbiamo trovato il suo dolce preferito!»

Poco dopo, il silenzio cala improvviso sulla festa. Le luci si abbassano e tutti si raccolgono in attesa, nascosti nel buio del giardino. Eliane, rientrata in casa senza trovare nessuno, appare visibilmente confusa. Procede con passi incerti verso il retro, spingendo la porta del giardino. Si ferma sulla soglia confusa. Guarda intorno, accigliandosi leggermente.

«Maman? Papa?» chiama a bassa voce, senza ricevere risposta.

Fa un passo avanti, incerta, e proprio in quell’istante le luci si accendono e il giardino esplode in un coro festoso…

«Joyeux anniversaire!»

Musica e risate riempiono l’aria mentre la ragazza, sorpresa e commossa, porta le mani alla bocca, cercando di trattenere l’emozione.

La serata prosegue tra giochi, musica e balli. Amandine e Skippy diventano le protagoniste di un’improvvisata esibizione che strappa applausi e risate. I giovani si divertono, io chiacchiero con un gruppetto di amici di Laurent e Isabelle.

Scoppiamo a ridere quando vediamo Veronika che rincorre Skippy tra i tavoli, cercando di strapparle dalle zampe quello che sembra essere il centesimo canistrello della serata.

«Starai male se continui così!» la ammonisce, mentre la fennec, con il musetto impolverato di zucchero, salta agilmente in groppa al labrador nero per sfuggire più velocemente alla sua “cacciatrice”.

Amandine scoppia a ridere e si avvicina a Skippy che intanto riprende fiato dopo l’inseguimento. «Come facevi a correre dopo aver mangiato tutti quei dolci?» commenta accarezzando Skippy, che sembra tutt’altro che pentita mentre le si accoccola contro con un sospiro soddisfatto.

Eliane si avvicina con un sorriso. «Perché non dormiamo insieme questa notte? Sarebbe bello finire la serata insieme.»

Amandine illumina gli occhi e guarda la zia in cerca di conferma. Isabelle annuisce con complicità. «Mi sembra un’ottima idea. Un pigiama party tra donne. Ti va piccola esploratrice?»

Skippy drizza le orecchie sentendo la proposta e si aggrappa ancora di più ad Amandine, lasciandosi coccolare soddisfatta come a dire: “Questa sì che è una buona idea!”

La casa si svuota poco a poco, il giardino è ancora illuminato dalle ultime luci tremolanti e dal profumo dolce dei canistrelli sparsi qua e là. Isabelle sospira soddisfatta, guardando la tavolata vuota con un sorriso. «Le feste migliori sono quelle che ti fanno sentire più uniti,» dice sottovoce.

Skippy, ormai accoccolata tra Amandine ed Eliane, sbadiglia e si rannicchia. La notte corsa avvolge tutti in un abbraccio silenzioso.

Ci sono feste fatte di musica e luci, altre feste fatte di affetti e sorprese. Quelle che restano nel cuore sono sempre le seconde

Canistrelli dolci tipici della Corsica (foto di Dall-E)

Una colazione con racconti

Il profumo di caffè e pane fresco si diffonde per la casa mentre scendiamo in cucina, accolti dal sorriso caloroso di Isabelle. Sul tavolo, accanto a una caffettiera fumante, troneggia una torta dorata dal profumo intenso.

«Buongiorno!» ci saluta Isabelle, versando il caffè nelle tazze. «Spero abbiate dormito bene. Questo è un piccolo assaggio della nostra terra.»

«Ma questa torta ha un profumo incredibile…» commenta Veronika, prendendo una fetta.

Isabelle sorride con orgoglio. «È una torta di castagne, qui in Corsica la farina di castagne è stata per secoli un alimento fondamentale. Durante i periodi difficili, quando il grano scarseggiava, le castagne hanno nutrito intere generazioni. Ancora oggi sono simbolo della nostra tradizione e della nostra resilienza.»

Laurent arriva poco dopo, allungando una mano per rubare un pezzo di torta. «Ah, vedo che vi state ambientando bene! Attenti, potreste non voler più andar via…»

Ridiamo tutti ma Isabelle scuote la testa con aria decisa. «Prima di lasciarci, non potete andarvene senza aver visto Corte come si deve. Voglio mostrarvi il museo dove lavoro. Venite, vi racconterò qualcosa di speciale su questo angolo di Corsica.»

Dopo la colazione, usciamo per una passeggiata nel cuore del paese. Corte ha un’aria fiera e austera, arroccata tra le montagne come se fosse ancora pronta a difendersi. Le stradine acciottolate salgono ripide, conducendoci fino alla cittadella che domina l’abitato dall’alto.

«La chiamano il Nido dell’Aquila» spiega Laurent, indicando le mura massicce. «Costruita per resistere agli assalti è sempre stata un punto strategico fondamentale.»

Isabelle ci guida fino a un piccolo edificio con una targa all’ingresso: il Museo della Corsica, dove lavora come curatrice. Appena entriamo, l’odore di legno e carta antica ci avvolge, mentre le sale espositive raccontano la storia dell’isola attraverso reperti, documenti e costumi tradizionali.

«Corte è stata la capitale della Repubblica Corsa nel XVIII secolo» racconta Isabelle mentre ci mostra una mappa dell’epoca. «Pasquale Paoli sognava una Corsica indipendente e Corte doveva esserne il cuore. Qui ha fondato la prima università dell’isola, convinto che solo attraverso la cultura si potesse conquistare la libertà.»

Indica un manoscritto antico, ingiallito dal tempo. «Questa è una copia della Costituzione corsa del 1755, una delle più avanzate dell’epoca. Immaginate: già allora garantiva il diritto di voto alle donne, molto prima di altri stati europei.»

Veronika ascolta con interesse. «È incredibile. E oggi? La gente di Corte sente ancora questo legame con la sua storia?»

Laurent annuisce. «Assolutamente sì. La nostra cultura è ancora viva. Qui a Corte il corso si parla ancora con orgoglio e le tradizioni si tramandano. Certo, i giovani spesso partono per studiare o lavorare altrove ma molti ritornano per il legame profondo che hanno con questa terra.»

Isabelle si ferma un attimo vicino alla finestra e indica il paese ai nostri piedi. «Oggi Corte è ancora un centro culturale importante per la Corsica. Qui c’è una delle sedi universitarie più attive dell’isola e molti giovani scelgono di studiare qui invece di trasferirsi sul continente.»

Laurent annuisce. «Ma il turismo sta crescendo e porta nuove opportunità. Alcuni giovani aprono attività legate all’artigianato e ai prodotti locali, cercando di mantenere viva la tradizione.»

Veronika osserva le vie acciottolate. «Quindi è una città che cerca di rimanere fedele alle proprie radici, ma guardando al futuro.»

Isabelle sorride. «Esattamente. È il nostro spirito corso.»

Dopo aver visitato il museo facciamo un’ultima passeggiata lungo i vicoli stretti di Corte, ammirando il panorama sulle montagne circostanti. Isabelle e Laurent ci raccontano aneddoti sui festival locali e sulle leggende legate alla cittadella, fino a quando il rintocco delle campane ci ricorda che è ora di proseguire.

«Che ne dite di fare un giro a Bastia prima del vostro volo?» propone Isabelle. «Possiamo accompagnarvi e mostrarvi i nostri angoli preferiti della città.»

Veronika si illumina. «Sarebbe fantastico! Non vedo l’ora di scoprire di più.»

Torniamo a casa per svegliare Skippy e prepararci alla partenza. La piccola fennec si stiracchia assonnata tra le braccia di Amandine, mentre il sole inizia a illuminare le cime delle montagne. La giornata è appena iniziata, ma già promette nuove scoperte.

Ogni terra racconta la sua storia nel pane che sforna e nel caffè che offre. La Corsica lo fa anche con il calore della sua gente.

la cittadella di Corte chiamata “nido d’aquila” (foto di voyagetips.com)

Saluti a Malincuore

Il mattino porta con sé la dolce quiete della casa, rotta solo dal fruscio leggero delle tende che si muovono alla brezza corsa. Con un po’ di riluttanza, decidiamo che è il momento di svegliare Skippy e le ragazze per i saluti prima della nostra partenza.

Apriamo con delicatezza la porta della stanza e troviamo Eliane e Amandine ancora profondamente addormentate, accoccolate sotto le coperte, con Skippy comodamente sdraiata tra di loro. La piccola fennec si stiracchia pigramente, poi, notando che siamo pronti a partire, emette un suono sommesso, un misto tra un lamento e un saluto affettuoso.

Amandine si sfrega gli occhi assonnata, poi, realizzando che è il momento di dirsi addio, stringe Skippy in un abbraccio improvviso. «Mi mancherai, piccola esploratrice» sussurra, cercando di trattenere l’emozione.

Quando ci avviamo verso la porta d’ingresso, Amandine si ferma un istante, poi si sfila un braccialetto intrecciato dal polso e lo porge a Skippy con un sorriso malinconico. «Questo è per te» dice, posandolo delicatamente nelle sue zampette. «Così ti ricorderai di me.»

Skippy inclina la testa, osservando il braccialetto con attenzione, poi lo stringe con le zampette e lo porta al petto, come fosse un tesoro inestimabile. Un legame semplice, nato tra giochi e avventure ma che ora si cristallizza in un piccolo ricordo.

Prima di salire in auto, Isabelle indica la casa con un sorriso caloroso. «Ricordatevi, qui avrete sempre una casa.»

Ci allontaniamo lungo la strada che porta a Bastia, mentre Skippy stringe ancora tra le zampette il suo nuovo tesoro, come a voler conservare per sempre il ricordo di questa giornata.

Ogni viaggio ha una partenza ma i veri incontri non hanno mai una fine.

il braccialetto di Amandine (foto leonardo.ai)

Bastia

Dopo il viaggio tra le montagne, arriviamo a Bastia, Isabelle e Laurent ci guidano con entusiasmo attraverso le sue strade, conducendoci nel cuore storico della cittadella.

«Questa è la città originale?» chiede Veronika, osservando le antiche mura che ci circondano.

Isabelle annuisce. «Sì, la cittadella è rimasta quasi intatta. Fu fondata nel 1380 dal governatore genovese Leonello Lomellini e domina ancora il Vecchio Porto. È un luogo ricco di storia e offre una vista spettacolare sul mare.»

Ci fermiamo un attimo per osservare la città dall’alto, con il mare che si estende fino all’orizzonte. Le facciate color pastello e le chiese barocche si alternano alle torri di difesa, testimoni delle epoche turbolente vissute da Bastia.

Le città di mare hanno il cuore diviso tra la terra e l’orizzonte. Bastia è una di quelle che raccontano il mare con ogni sua pietra.

Cittadella di Bastia (foto corsevacances.fr)

Isabelle ci guida fino alla Piazza Saint-Nicolas, una delle più grandi d’Europa, affacciata sul mare. «Questa piazza è il cuore pulsante della città. Qui si tengono mercati, eventi e concerti. È il luogo dove i bastiacci si incontrano per bere un caffè, discutere di politica o semplicemente godersi la vita.»

Laurent ci indica la statua al centro della piazza. «Quello è Napoleone Bonaparte, raffigurato in abiti da console romano. La Corsica non dimentica i suoi figli più illustri, anche se il suo rapporto con l’isola è sempre stato… complicato.»

Veronika lo osserva con interesse. «È curioso come la Corsica celebri Napoleone nonostante il suo legame con la Francia.»

Isabelle sorride. «Napoleone non dimenticò mai di essere nato qui.»

Piazza Saint-Nicolas (foto voyagetips.com)

Proseguendo la passeggiata, Isabelle ci indica un angolo della piazza. «Vedete quel caffè laggiù? È uno dei più antichi della Corsica. Si dice che molti artisti e scrittori abbiano trovato ispirazione seduti a quei tavoli.»

Ci fermiamo un momento per assaporare l’atmosfera, osservando la gente che si muove con la tipica calma isolana. Il tempo sembra scorrere più lentamente qui, come se ogni cosa fosse impregnata della storia che l’ha preceduta.

Scendiamo verso il Porto Vecchio, un angolo pittoresco della città, con le sue barche ormeggiate e le facciate color pastello che si specchiano nell’acqua. Laurent si ferma un attimo, osservando il porto con nostalgia.

«Un tempo questo era il cuore commerciale della città» racconta. «Qui attraccavano le navi cariche di merci e i magazzini lungo la riva erano sempre pieni di attività.»

Veronika guarda le barche con occhi curiosi. «E oggi?»

Laurent sorride. «Ora è un luogo di passeggio ma al mattino presto puoi ancora trovare i pescatori che portano il pesce fresco al mercato.»

Porto Vecchio di Bastia (foto siviaggia.it)

Isabelle ci porta verso una bottega con un’insegna dipinta a mano. «Qui troverete i veri sapori della Corsica. Miele di castagno, salumi corsi, formaggi di capra e pecora, e soprattutto il liquore di mirto. Il mirto è una pianta tipica della Corsica e dalle sue bacche si ricava un liquore dolce e aromatico.»

«Questo è il brocciu, il formaggio più famoso della Corsica,» spiega, prendendo un piccolo pezzo e porgendolo a Veronika. «Si può mangiare fresco o stagionato e noi lo usiamo in tantissime ricette.»

Assaggiamo il brocciu, sorpresi dal suo sapore morbido e leggermente dolce. Skippy, incuriosita, solleva le orecchie e punta il musetto verso il piatto. Isabelle ride e ne spezza un pezzetto più piccolo. «Vuoi provare anche tu, piccola esploratrice?»

Skippy prende con delicatezza il boccone e, dopo un attimo di esitazione, spalanca gli occhi e muove la coda con entusiasmo, leccandosi il musetto soddisfatta. Veronika ride divertita. «Credo che abbiamo trovato un’altra specialità che le piace!»

Laurent aggiunge con un sorriso. «Se potesse, credo che farebbe scorta per tutto il viaggio.»

Ridendo continuiamo la nostra esplorazione, Isabelle ci parla di un dettaglio spesso trascurato dai turisti. «Bastia è piena di passaggi segreti. Sotto la Cittadella di Bastia, ad esempio, esistono ancora alcuni tunnel che venivano usati per fuggire in caso di assedio. Alcuni dicono che ci siano ancora stanze nascoste che nessuno ha mai esplorato del tutto.»

«Davvero?» chiedo incuriosito.

Lei annuisce. «Non sono aperti al pubblico ma alcuni vecchi abitanti di Bastia giurano che esistano ancora dei varchi nascosti, magari sigillati con il tempo. Sono frammenti di storia che resistono.»

Arriviamo alla Cattedrale di San Giovanni Battista, il più grande edificio religioso della Corsica. Le sue torri gemelle si ergono maestose contro il cielo.

«I genovesi la costruirono nel XVII secolo» spiega Laurent. «Era un simbolo della loro potenza e della loro fede.»

Entriamo per un momento nella penombra fresca della cattedrale. Veronika si avvicina alla navata centrale e osserva gli affreschi. «È stupenda e trasmette storia ovunque.»

«Ogni pietra di Bastia racconta una storia. Basta saperla ascoltare.» aggiunge Isabelle.

Mentre il sole comincia a calare, torniamo alla Piazza Saint-Nicolas. Isabelle si ferma un attimo e ci guarda con un sorriso malinconico. «È stato un piacere condividere tutto questo con voi. Spero che portiate un po’ di Bastia nei vostri cuori.»

E mentre ci prepariamo a ripartire, sappiamo che un pezzo di questa città e delle persone che ci hanno accolto resterà con noi.

San Giovanni Battista (foto bastia-tourisme.com)

Preparativi in Pista

Ci accompagnano in aeroporto e riusciamo a farli venire con noi in piazzola. Iniziamo i preparativi pre-volo. Laurent, curioso, si avvicina mentre sto verificando le superfici di controllo del velivolo.

«Camillo ma tu controlli tutto ogni volta che voli?» chiede osservando con attenzione.

«Assolutamente sì» rispondo con un sorriso. «La sicurezza è fondamentale. Ogni parte dell’aereo deve essere in perfette condizioni prima di decollare.»

Gli indico l’elica mentre spiego: «Controllo che non ci siano crepe o segni di usura, proprio come faresti con le ruote di un’auto. Poi passo al carburante verificando il livello nei serbatoi e testando che non ci siano contaminazioni, come acqua.» Gli mostro il contenitore usato per l’analisi.

Laurent annuisce impressionato. «Non avevo idea che ci fosse così tanta preparazione dietro.»

Gli spiego anche il controllo delle superfici di controllo come i flap e gli alettoni. «Devono muoversi liberamente senza attriti. È come assicurarsi che il volante dell’auto funzioni perfettamente.»

Proprio mentre sto per concludere l’ultima verifica, Veronika nota qualcosa di strano sotto l’ala. «Cami, c’è qualcosa di strano qui.»

Mi avvicino e mi accovaccio, osservando meglio. Tra la base dell’ala e il carrello è rimasto incastrato un piccolo rametto, probabilmente raccolto durante il rullaggio di ieri.

«Niente di grave» dico, sfilandolo con attenzione. «Ma non è mai una buona idea lasciare corpi estranei vicino ai comandi.»

Laurent osserva con interesse. «Quindi basta anche una piccola cosa così per creare un problema?»

«Dipende da dove si trova. Una foglia sul parabrezza non è un problema ma qualcosa che blocca i movimenti delle superfici di controllo potrebbe esserlo.» Mi assicuro che tutto sia libero e faccio un’ultima verifica. «Ora è tutto a posto.»

Laurent ride. «Quindi sei pilota, meccanico e ingegnere in uno?»

«Esatto» scherzo. «Ma è una responsabilità che prendo seriamente. Quando siamo in aria non c’è una piazzola per fermarsi in caso di problemi.»

Veronika si avvicina con un sorriso. «Tutto pronto?» chiede.

Annuisco chiudendo il serbatoio e raccogliendo gli strumenti. «Sì, siamo pronti al decollo.»

Laurent ci stringe la mano. «Camillo è stato affascinante vedere tutto questo da vicino. Ora capisco meglio cosa significhi essere pilota. Buon volo e grazie di tutto!»

Ci abbracciamo calorosamente, poi Isabelle e Laurent si allontanano mentre il personale di terra li accompagna verso l’uscita.

Veronika, con la cuffia già indossata, comunica con la torre per l’autorizzazione ad avviare il motore. Li osserva mentre si allontanano, poi, quasi tra sé e sé, mormora: «Sono stati davvero accoglienti.»

Li seguo con lo sguardo un ultimo istante, poi rispondo piano, senza distogliere lo sguardo dall’orizzonte: «L’ospitalità corsa ti avvolge come il vento sulle sue montagne: autentica, intensa, impossibile da dimenticare.»

L’autorizzazione arriva, avvio il motore siamo pronti al rullaggio.

Ogni volo inizia a terra. Ogni partenza è un nuovo inizio

07 – Diario di Volo Elba Bastia Corsica

Un Risveglio Tardivo e una Sorpresa Inaspettata

l sole filtra già deciso attraverso le tende quando apriamo gli occhi. Le ore piccole trascorse alla Fortezza Falcone si fanno sentire, lasciandoci addosso una piacevole stanchezza. Ci scambiamo uno sguardo assonnato, poi ci affrettiamo: una colazione veloce, gli ultimi controlli e via a raccogliere i bagagli. L’appartamento di Procchio si svuota in pochi minuti ma il ritardo sulla tabella di marcia è ormai inevitabile. Poco male: anche se il nostro piano era di partire al mattino, decollare dopo pranzo ci consentirà comunque di raggiungere la Corsica nel primo pomeriggio.

All’aeroporto di Marina di Campo ci dividiamo i compiti per guadagnare tempo. Io mi occupo della riconsegna dell’auto a noleggio, mentre Veronika e Skippy si dirigono verso la piazzola per controllare il Cessna e iniziare i preparativi. Ognuno sa già cosa fare e il meccanismo ormai rodato del nostro team entra in azione senza bisogno di parole.

Mentre attraverso la hall dell’aeroporto, noto un capannello di persone raccolte attorno al banco informazioni. Le voci concitate e i volti tesi raccontano una storia di disagi e ritardi. Istintivamente, il mio sguardo vaga tra la folla e si posa su due figure familiari: la signora e la giovane nipote con cui abbiamo condiviso la cena alla Fortezza Falcone. Un incontro inatteso che, ne sono certo, porta con sé qualcosa di inaspettato.

È Amandine a notarmi per prima. I suoi occhi si accendono di sollievo e il suo saluto squillante squarcia l’aria carica di tensione.

«Camillo!»

Le sorrido avvicinandomi. «Amandine! Che sorpresa! Tutto bene?»

La sua espressione si spegne all’istante. Scuote la testa, poi si gira verso la zia in cerca di risposte. La donna alza lo sguardo su di me e accenna un sorriso forzato ma nei suoi occhi leggo stanchezza e preoccupazione.

«Non proprio» sospira. «Dovevamo partire stamattina presto ma il nostro charter ha un guasto serio. Dopo ore di attesa ci hanno appena informati che oggi non volerà affatto.»

La sua voce vacilla mentre aggiunge, con un filo di amarezza: «Oggi è il compleanno di mia figlia. Dovevamo essere a casa per pranzo, preparare la festa… e invece ora non so nemmeno se riusciremo ad arrivare in tempo.»

C’è qualcosa di amaro nella rassegnazione della signora, come se ormai avesse accettato l’inevitabile. I suoi occhi si posano per un attimo su Amandine, che gioca nervosamente con la cinghia dello zaino, lo sguardo perso nel vuoto.

«Dove dovete arrivare esattamente?» chiedo.

Lei alza appena le spalle, cercando di tenere a bada l’emozione. «Ovunque in Corsica» risponde con una speranza sottile nella voce. «Mio marito può venirci a prendere.»

Un sorriso mi si allarga sul viso. «Allora oggi è il vostro giorno fortunato. Anche noi stiamo andando in Corsica e abbiamo due posti liberi sul nostro Cessna. Se i vostri bagagli non sono troppi, potete venire con noi.»

Per un attimo la donna mi fissa, incredula. Poi la sua espressione si trasforma. Le labbra si schiudono in un sorriso, gli occhi si illuminano e, senza pensarci, mi stringe in un abbraccio spontaneo.

«Non ci posso credere. È incredibile. Non so davvero come ringraziarvi!»

Amandine, che fino a quel momento era rimasta in silenzio, esplode di gioia. «Possiamo davvero venire con voi? È fantastico!»

Rido, contagiato dal suo entusiasmo. «Certo! Dobbiamo solo assicurarci di arrivare in tempo per la festa.»

Attraversiamo insieme i controlli per i voli privati e ci dirigiamo verso la piazzola, mentre il sole riflette sull’asfalto caldo dell’aeroporto. In lontananza scorgo Veronika che alza lo sguardo nella nostra direzione, incuriosita. La sua espressione si fa interrogativa non appena nota le due nuove compagne di viaggio al mio fianco.

Anche Skippy, sempre vigile, percepisce qualcosa. Con un balzo si volta di scatto, le orecchie tese, poi riconosce Amandine e parte in corsa. La piccola fennec le salta letteralmente in braccio, facendola ridere di sorpresa mentre si stringono in un abbraccio spontaneo.

Veronika mi fissa con un sopracciglio sollevato, pronta a chiedere spiegazioni. Sorrido, già pregustando la sua reazione. A volte i piani cambiano all’improvviso e questa giornata sembra destinata a prendere una piega più interessante del previsto.

Mentre ci fermiamo accanto al Cessna, spiego rapidamente a Veronika la situazione. Ascolta con attenzione, poi un sorriso le illumina il volto.

«Che bello, è la prima volta che voliamo con dei passeggeri!» commenta, gettando uno sguardo complice alla signora. «Mi piace questa novità.»

C’è un entusiasmo sincero nella sua voce, la stessa energia che trasforma ogni imprevisto in un’occasione da cogliere. La signora annuisce, ancora incredula per l’inaspettato cambio di programma. Amandine, invece, è già rapita dalla vista dell’aereo, pronta a vivere l’avventura.

Mentre io e Veronika completiamo l’inserimento del piano di volo e gli ultimi controlli pre-partenza, Skippy si è già presa un ruolo da perfetta padrona di casa. Con un’energia contagiosa, trotterella intorno al Cessna, mostrando ad Amandine ogni dettaglio come se fosse un aereo di sua proprietà.

Lancia un’occhiata alla ragazzina, poi si mette in posa accanto all’elica, aspettandosi chiaramente un’ammirazione adeguata. Amandine ride, accarezzandola sulla testa. «È proprio un piccolo comandante, vero?»

Veronika, senza distogliere lo sguardo dal tablet di bordo, sorride. «Oh sì e prende il suo ruolo molto sul serio.»

Mentre Veronika termina gli ultimi controlli, apro la mappa di navigazione sul tablet e la mostro alla signora. «Ecco il nostro itinerario: partiremo sorvolando l’isola di Capraia, poi ci avvicineremo alla costa settentrionale della Corsica e atterreremo a Bastia-Poretta. Che ne pensa? È un percorso comodo per voi?»

La donna studia la rotta con attenzione, poi annuisce soddisfatta. «Perfetto, anzi, sarà interessante. Non ho mai visto Capraia dall’alto in questo modo. Sarà un’esperienza speciale.»

Amandine, che fino a quel momento è rimasta concentrata su Skippy, si sporge a guardare la mappa. «Passiamo davvero sopra Capraia?»

Le sorrido. «Preparati sarà un bel panorama.»

L’idea di vedere il profilo della Corsica emergere lentamente dal mare mi affascina sempre: c’è qualcosa di magnetico nelle isole quando le osservi dal cielo, come se raccontassero storie antiche scolpite nelle loro coste frastagliate.

in decollo dall’Elba a pieno carico (foto flight simulator 2024)

Sotto il cielo dell’Elba

La costa dell’Elba sfuma lentamente dietro di noi mentre il Cessna avanza deciso sopra il Mar Tirreno, puntando verso Capraia.

Amandine rimane per un attimo in silenzio, lasciandosi avvolgere dall’immensità del mare sotto di noi. Il suo entusiasmo di poco fa lascia spazio a una dolce riflessione, come se solo ora realizzasse appieno il privilegio di vedere la sua isola dall’alto.

«Vivere qui è speciale,» mormora, quasi tra sé e sé. «Ma vederla da quassù… è come riscoprirla con occhi nuovi. Non avevo mai realizzato quanto fosse davvero unica.»

Veronika le sorride, comprendendo perfettamente quella sensazione. «Sai, è una delle cose più belle del volare. Anche i posti che crediamo di conoscere bene, visti dall’alto, diventano nuovi. È come guardarli con una prospettiva completamente diversa.»

Amandine annuisce, mentre il suo sguardo si perde nel blu profondo del mare. Skippy, acciambellata tra le sue ginocchia, sembra percepire il cambio di atmosfera e si rannicchia ancora di più, quasi a volerle fare compagnia in quel momento di riflessione.

«Là davanti,» indico un punto lontano all’orizzonte, «si vede già Capraia

La sagoma dell’isola emerge dalle acque con le sue scogliere ripide e il profilo selvaggio, ancora più affascinante vista da questa prospettiva.

Veronika sfoglia la guida e legge ad alta voce. «Capraia è di origine vulcanica, molto diversa dall’Elba. La sua forma è stata modellata da eruzioni antiche, ed è per questo che le sue rocce hanno colori così particolari.»

Amandine la osserva con occhi nuovi. «Non ci ero mai stata… ma sembra così… solitaria.»

Annuisco. «Lo è. Ed è proprio questo il suo fascino. Un’isola quasi incontaminata, lontana dal turismo di massa, dove la natura detta ancora il ritmo della vita.»

Il Cessna prosegue sulla rotta, lasciandoci il tempo di goderci la vista. Il mare che ci circonda sembra infinito, un tappeto blu che collega le isole in un abbraccio silenzioso.

Poi, oltre Capraia, la costa della Corsica inizia a farsi sempre più visibile. Il nostro viaggio verso l’isola di Napoleone sta per entrare nel vivo.

Un’isola va vista anche dall’alto: ogni baia, ogni scoglio raccontano prospettive diverse.

sopra Fetovaia (foto flight simulator 2024)

Verso Capraia

L’isola di Capraia appare e scompare davanti a noi in un gioco con le nubi. Quando usciamo dall’ultima nuvola la sua forma compatta e selvaggia contrasta con le onde che ne accarezzano le scogliere scure. Amandine non distoglie lo sguardo dal finestrino, rapita dallo spettacolo che si avvicina. Skippy, accoccolata sulle sue ginocchia, sembra condividere lo stesso incanto, le orecchie vigili, come se anche lei percepisse l’energia dell’isola.

«Capraia!» esclama Amandine, il viso illuminato dall’entusiasmo mentre indica l’isola che si fa sempre più vicina. «Ogni volta che ci vado è un’avventura. È così diversa dall’Elba… più piccola, più selvaggia. Sembra un altro mondo.»

Veronika le lancia uno sguardo curioso. «Cosa la rende così diversa?» chiede, inclinando leggermente la testa.

«Prima di tutto è un’isola vulcanica!» spiega Amandine, con l’aria di chi sta svelando un segreto affascinante. «Le sue scogliere sono nere, quasi minacciose, come se appartenessero a un’epoca lontanissima. Mio zio una volta mi ha portata a Cala Rossa… sembra un paesaggio marziano! È tutta roccia lavica, rossa e nera, solidificata dopo l’ultima eruzione.»

Dal sedile posteriore, la signora interviene con un sorriso complice. «Cala Rossa è uno dei luoghi più straordinari di Capraia. Si racconta che proprio lì sia avvenuta l’ultima eruzione, migliaia di anni fa. Le rocce sembrano ancora conservare il calore del fuoco che le ha generate.»

«E poi c’è il porto!» prosegue Amandine con entusiasmo. «È sempre pieno di barche di pescatori. Una volta un vecchio signore mi ha insegnato a pulire i calamari appena pescati… sembrava una cosa complicatissima ma lui lo faceva con una facilità incredibile!»

Veronika sorride. «Quindi è un’isola di pescatori?»

Amandine riflette un attimo. «Sì ma non solo. C’è anche una fortezza, il Forte di San Giorgio. È in cima al paese e da lassù puoi vedere tutto il mare!»

«E la gente com’è?» domando incuriosito.

La signora risponde prima della nipote. «Molto legata alla propria terra. Vivere su un’isola così significa essere abituati alla solitudine ma anche a una comunità forte e unita.»

Amandine annuisce. «La mia mamma dice sempre che è come vivere in una grande famiglia… solo un po’ isolata.»

Il Cessna continua a sorvolare l’isola, lasciando Capraia sempre più indietro. Davanti a noi, l’orizzonte si apre sulla Corsica, ancora avvolta da una leggera foschia. Amandine accarezza Skippy che si è sistemata comodamente sulle sue gambe.

«Non vedo l’ora di vedere anche la Corsica dall’alto» dice con un sorriso sognante. «Chissà come sarà diversa vista da qui…»

Veronika le lancia un’occhiata complice. «Non ci resta che scoprirlo insieme.»
Il motore ruggisce dolcemente, davanti a noi, un’altra terra, un’altra storia, un altro viaggio che sta per iniziare.

Ci sono luoghi dove la natura è ancora padrona, dove il mare e il vento hanno scritto la storia prima dell’uomo.

l’isola di Capraia e Capraia Porto (foto flight simulator 2024)

Corsica: Terra di Storie e Contrasti

Mentre ci avviciniamo alla Corsica, il profilo del promontorio settentrionale emerge dall’orizzonte. Veronika si sporge leggermente in avanti, osservando il paesaggio che prende forma sotto di noi. «Da qui sembra così aspra, quasi inaccessibile…» commenta con curiosità.

Dal sedile posteriore, la signora annuisce con un sorriso consapevole. «La Corsica è sempre stata un’isola di contrasti. Tra mare e montagna, tra chi voleva conquistarla e chi voleva difenderla. È una terra che non si è mai lasciata piegare del tutto.»

Amandine la guarda con occhi attenti. «Mamma dice sempre che avrebbe potuto essere italiana…»
La signora si sistema meglio sulla seduta. «E non ha tutti i torti. La Corsica è stata parte della Repubblica di Genova per secoli. Nel Settecento, però, quando Genova non riuscì più a mantenere il controllo, la vendette alla Francia. Fu annessa ufficialmente nel 1769, pochi mesi prima che nascesse Napoleone Bonaparte. Ironia della sorte, no?»

Veronika si volta sorpresa. «Ecco perché Napoleone era corso di nascita ma francese di fatto.»
«Esatto» conferma la signora. «E lui non dimenticò mai le sue origini. Parlava corso in famiglia ma si formò come francese. Per molti corsi, però, la loro identità è sempre rimasta qualcosa di distinto dalla Francia.»

Sorvoliamo la costa settentrionale, seguendo il profilo frastagliato dell’isola. Il mare si infrange contro le rocce scolpite dal vento e dall’acqua.

«E tutta questa natura selvaggia? È incredibile…» chiede Veronika osservando le montagne che si innalzano nell’entroterra.

La signora sorride. «La Corsica è chiamata l’isola della bellezza per una ragione. Ha una biodiversità straordinaria: boschi di castagni e querce, laghi nascosti tra le montagne, riserve naturali che proteggono animali rari. Qui il tempo sembra essersi fermato.»

Il nostro volo prosegue lungo la costa, ogni isola ha la sua anima ma poche hanno il carattere indomito che sembra mostrare la Corsica, sospesa tra mare e montagna, tra radici antiche e un’identità ancora in lotta con il tempo.

Ogni terra ha la sua storia ma poche hanno il carattere ribelle della Corsica, sospesa tra mare e montagne, tra passato e presente.

la costa del promontorio settentrionale della Corsica

Bastia: Storia e Bellezza

«E quella città laggiù?» domando, indicando il profilo compatto di quella che sembra una cittadina più grande delle altre.

«Bastia,» risponde la signora con un tono che tradisce un legame profondo con quel luogo. «Un tempo era il cuore della Corsica genovese#Il_dominio_in_Corsica). La città è nata attorno alla sua fortezza, la bastiglia da cui prende il nome. Ma Bastia non è solo un porto: è memoria, orgoglio e tradizione.»
Sorvoliamo la costa, seguendo il profilo del Vieux Port, il vecchio porto.

«Quando ero bambina,» riprende la signora, «mia nonna mi portava al mercato di Saint-Nicolas. Mi diceva sempre: Per capire un popolo, devi guardare come mangia. Il mercato era un trionfo di profumi: il miele di castagno, la coppa affumicata, il formaggio brocciu ancora fresco…» Chiude per un attimo gli occhi, quasi assaporando quei ricordi.

Veronika sorride. «Skippy impazzirà con tutte queste nuove cose da assaggiare.»

La signora sorride. «Immagino di sì, non dimentichiamo il vino però. La Corsica ha vigneti tra i più antichi di Francia. Qui vicino si producono alcuni dei migliori vini corsi, come il Patrimonio, un vino che racchiude il carattere dell’isola: forte, deciso, con un’anima che non si piega.»

Sorvoliamo la Citadelle, il cuore antico di Bastia. Le mura sembrano scolpite dal vento e dal tempo, proteggendo i vicoli stretti e le chiese barocche nascoste tra le ombre.

«Vedete quella torre laggiù?» chiede la signora, indicando una costruzione di pietra affacciata sul mare. «È la Torre della Parata. Un tempo, queste torri erano le sentinelle dell’isola. I genovesi le costruirono per avvistare i pirati barbareschi che arrivavano dal mare. Bastava accendere un fuoco e l’allarme si propagava lungo tutta la costa.»

Amandine, che fino a quel momento è rimasta in silenzio, si sporge per osservare meglio. «Come un sistema di segnali?»

«Esatto,» conferma la zia. «E pensa che alcune di queste torri genovesi sono ancora in piedi dopo secoli. La Corsica non dimentica la sua storia. Ne vedrete sicuramente tante lungo la costa durante i vostri voli.»
«Vedi laggiù?» aggiunge la signora con un sorriso. «Quella è la strada che porta verso l’entroterra. Non molti sanno che i veri villaggi corsi non sono sulla costa ma arroccati sulle montagne, come quello dove viviamo noi. Un tempo, era troppo pericoloso vivere vicino al mare… troppi invasori, troppi predatori. La Corsica ha imparato a difendersi.»

Amandine la guarda con ammirazione. «Sai tantissime cose sulla tua isola.»

Lei sorride, lo sguardo che si perde sulle colline lontane. «Perché la Corsica non è solo un posto. È radici, è resistenza. Ed è casa.»

Ci avviciniamo all’aeroporto di Bastia-Poretta, che sorge poco oltre la bellissima laguna a sud di Bastia.

Ogni città porta i segni del tempo ma alcune li portano con fierezza. Bastia è una di queste.

Bastia vista dall’alto con i suoi porti. (foto flight simulator 2024)

Un Atterraggio e un Invito Speciale

Veronika prende contatto con la torre dell’aeroporto Bastia-Poretta. La sua voce è calma e sicura mentre comunica i dettagli del nostro arrivo. Dopo pochi secondi riceviamo l’autorizzazione all’atterraggio.
«Pista 34 autorizzati per l’atterraggio» ripete lei, rivolta a me. Annuisco, concentrato, mentre inizio il circuito di discesa. Il motore del Cessna si abbassa di tono e, con movimenti fluidi, allineo l’aereo alla pista.

Dal sedile posteriore, Amandine osserva ogni mio gesto con gli occhi spalancati. Dopo un attimo di esitazione, chiede: «Devi abbassare il carrello?»

Sorrido senza distogliere lo sguardo dagli strumenti. «No, nel nostro Cessna il carrello è fisso. Gli aerei più grandi hanno un carrello retrattile per ridurre la resistenza dell’aria ma per un velivolo piccolo come il nostro non è necessario.»

Lei annuisce, seguendo con attenzione i miei movimenti. «E quella parte delle ali che hai abbassato poco fa… a cosa servono?»

«Ottima domanda!» rispondo con un’occhiata veloce allo specchietto retrovisore per vederla meglio. «Si chiamano flap, aumentano la portanza e la resistenza. Diciamo che… permettono al nostro aereo di restare in aria anche a velocità più ridotta, come quando stiamo atterrando.»

Amandine scruta fuori dal finestrino, osservando i flap inclinati sul bordo d’uscita delle ali. Poi, con una punta di esitazione, aggiunge: «Ma… come fai a far salire e scendere l’aereo?»

Sorrido. «Questa specie di volantino si chiama cloche o yoke ed è come un joystick. Oltre a ruotarlo per virare, posso spingerlo avanti per abbassare il muso o tirarlo indietro per far salire l’aereo.» Per darle una dimostrazione, esercito una leggera pressione all’indietro e il muso del Cessna si alza appena, prima di tornare nella posizione corretta.

«Ohhh!» esclama lei, incantata dalla semplicità del movimento.

La signora le lancia uno sguardo divertito. «Attenta, Amandine… se rimani troppo affascinata, finirai per voler diventare pilota anche tu!»

Amandine ride. «Così posso venire da voi quando voglio, zia.» Poi torna a concentrarsi sulla pista che si avvicina rapidamente. Il silenzio si fa più denso quando entriamo nella fase finale della discesa.

L’ospitalità è il cuore di ogni viaggio: chi parte per scoprire il mondo, spesso scopre anche le persone.

l’atterraggio all’aeroporto di Bastia (foto flight simulator 2024)

Il Cessna si avvicina alla pista. Le ruote toccano l’asfalto con un leggero sobbalzo. Riduco la potenza e lascio che l’aereo rallenti naturalmente, mentre la pista scorre veloce sotto di noi.

Un applauso spontaneo esplode dal sedile posteriore. «Il mio primo atterraggio in un piccolo aereo!» esclama Amandine, radiosa.

Lascio la pista principale e mi dirigo verso l’area di parcheggio. Dopo aver spento il motore, un silenzio quasi irreale avvolge l’abitacolo.

La signora rompe la quiete con un sorriso caloroso. «Voglio che questa notte siate miei ospiti. Non voglio sentire ragioni. Avete reso possibile qualcosa che temevo fosse ormai perso: essere a casa in tempo per la festa di mia figlia. Non posso ringraziarvi abbastanza.»

Veronika si gira sorpresa. «Ma non vogliamo disturbare… davvero non c’è bisogno.»

La signora scuote la testa, decisa. «È già deciso. Dormirete da noi stanotte e domani vi accompagneremo volentieri all’aeroporto, magari dopo una visita a Bastia. Viviamo a Corte, una cittadina in montagna, piena di storia e tradizioni. È un posto unico e sono sicura che ve ne innamorerete.»

Veronika sorride, conquistata dalla sua energia. «Allora accettiamo con piacere. Saremo felici di darvi una mano per i preparativi della festa. Io e Skippy siamo ottime assistenti.»

Amandine esplode in un sorriso radioso. «Fantastico! Così potrò far conoscere Skippy a mia cugina. Ne sarà felicissima!»

Quando usciamo dall’aeroporto, troviamo un uomo che ci aspetta accanto a un grande SUV nero. È il marito della signora, che ci accoglie con una stretta di mano calorosa.

«Camillo e Veronika… grazie davvero» dice, prima di stringerci in un abbraccio spontaneo. «Non avremmo mai immaginato un gesto così generoso. Sarete i benvenuti nella nostra casa.»

Ci dirigiamo verso Corte, mentre le strade si snodano tra montagne imponenti e boschi fitti. La signora, ormai sollevata, racconta come questa giornata sia diventata speciale nonostante gli imprevisti. Veronika e Amandine discutono i piani per aiutare con i preparativi della festa, mentre io mi perdo nel paesaggio che scorre fuori dal finestrino.

L’ospitalità della famiglia ci fa sentire già a casa, pronti per una nuova avventura che inizia con la festa di stasera.

06 + Diario di Viaggio Elba

Una sorpresa speciale

Dopo l’atterraggio a Marina di Campo spendiamo più tempo del previsto per sistemare le ultime formalità. Documenti da firmare, dettagli sulla sosta del Cessna… il protocollo viene prima di tutto. Solo dopo possiamo finalmente lasciare l’aeroporto e recuperare un’auto a noleggio.

Mentre ci avviamo all’uscita, un piccolo dettaglio cattura la mia attenzione: un cartello al chiosco delle informazioni turistiche.

Cena storica alla Fortezza Falcone – piatti napoleonici, racconti teatralizzati.

L’idea mi affascina all’istante. Controllo rapidamente, ci sono ancora posti disponibili. Non ci penso due volte: prenoto per tutti e tre. Un’occasione del genere non si trova tutti i giorni e, senza volerlo, ho appena aggiunto un tocco speciale a questa nuova visita sull’Elba.

Nonostante l’entusiasmo, la stanchezza si fa sentire. È ancora mattina presto, ma le giornate di viaggio hanno lasciato il segno. Decidiamo di concederci una pausa nella casetta che abbiamo affittato a Procchio prima di ripartire alla scoperta dell’isola.

Arrivati, troviamo una sorpresa inaspettata: una terrazza che si apre su una vista mozzafiato del mare. Non ci avevo fatto caso al momento della prenotazione, ma ci è subito chiaro che non potevamo capitare in un posto migliore.

«Questa casetta è meravigliosa!» esclamo, avvicinandomi alla ringhiera per assaporare la vista.

Veronika si guarda intorno soddisfatta. «Perfetta per rilassarsi un po’ prima della serata, hai scelto bene.» Poi, con un sorriso leggermente imbarazzato, aggiunge: «Ti dispiace se mi prendo un po’ di tempo per me? Ho davvero bisogno di uno shampoo fatto bene e di una sistemata generale. Ieri, a casa della signora Marina, non sono riuscita a sistemarmi come volevo.»

Le sorrido, capendo perfettamente il suo bisogno di sentirsi al meglio.

«Prenditi tutto il tempo che ti serve. Io resto qui a godermi la terrazza. Ho bisogno di riposare un po’ anche io.»

La osservo mentre si allontana, poi mi accomodo su una poltroncina di vimini. La brezza marina, il suono delle onde che si infrangono sulla riva, il tepore del sole del mattino. Mi lascio avvolgere da questa calma perfetta.

Skippy, con la sua solita capacità di cogliere il momento giusto per rilassarsi, si acciambella sulla poltroncina accanto a me e si addormenta quasi subito. Anche lei, evidentemente, ha accumulato un bel po’ di stanchezza.

Questo è esattamente ciò di cui avevamo tutti bisogno.

Ogni viaggio, anche il più breve, è l’occasione per fermarsi, riflettere e prepararsi al nuovo capitolo che ci attende. A volte è nella quiete che troviamo la vera ricchezza del viaggio

la spiaggia di Procchio (foto hotelvillasangiovanni.com)

Una Lezione di Carlo

Mi sto rilassando, ma la testa mi si riempie di pensieri. Prendo il telefono e decido di chiamare Carlo.

Dopo qualche squillo, la sua voce squillante arriva dall’altro capo con la consueta energia.

Parliamo qualche minuto di cose leggere: dove siamo, le prossime tappe, piccoli dettagli di viaggio. Gli racconto di Skippy, che in questo momento dorme acciambellata accanto a me. Di Veronika, che si è presa un momento per sé, un piccolo rituale per tornare a sentirsi splendente.

È una conversazione tranquilla eppure, sotto la superficie, c’è qualcos’altro. Lo sento io, lo sente Carlo. Alla fine, con un respiro profondo, lo dico.

«Carlo… avrei voluto chiamarti prima. È successa una cosa, ma ho preferito lasciarla sedimentare un po’ prima di disturbarti.»

Lui non interrompe. Aspetta.

«Abbiamo dovuto fare un atterraggio d’emergenza.»

Il silenzio dall’altra parte dura giusto un battito. Poi il suo tono cambia, diventa più fermo, più attento.

«State bene? Veronika? Skippy?»

«Sì, sì. Nessun problema.» Mi passo una mano sulla testa, cercando le parole giuste. «Era un volo tranquillo verso l’Elba, poi il tempo è peggiorato all’improvviso. Vento forte, pioggia fitta, lampi. La visibilità è andata a zero in pochi minuti. Avevo segnato un campo volo d’emergenza sulla rotta, come mi hanno insegnato, e l’ho usato. Ma è stato veloce… troppo veloce.»

Carlo ascolta senza interrompere. Poi, con la sicurezza di chi sa, dice una cosa semplice e vera:

«Camillo, se me lo stai raccontando significa che hai fatto tutto nel modo giusto.»

Annuisco, stringendo il telefono con più forza.

«Sì… ma continuo a ripensarci. Avrei potuto evitarlo? Potevo fare qualcosa di diverso?»

Dall’altra parte arriva una risata breve, piena di esperienza.

«Le emergenze non si evitano, si gestiscono. E tu l’hai fatto.»

Resto in silenzio, mentre le sue parole si incastrano nei pensieri che mi tormentano da giorni.

«Hai mantenuto la calma, hai valutato le opzioni, hai preso una decisione. Questo fa un pilota. Il resto è teoria, e tu eri in una situazione reale.»

Respiro a fondo.

«E se fosse stato qualcosa di più grave?»

Carlo non esita.

«Avresti fatto la stessa cosa. Ti saresti adattato. Capisci perché ci prepariamo sempre per il peggio? Oggi sei in Italia, con strutture, comunicazioni, un piano B. Domani ti troverai in posti dove tutto questo non c’è e allora l’unica cosa che conterà sarà la tua capacità di decidere sotto pressione.»

Lascio che le sue parole sedimentino. Lo sapevo già, in fondo. Sentirlo dire da lui, però, è diverso.

«Camillo» aggiunge con un tono più leggero, «ogni volo insegna qualcosa. E ogni atterraggio da cui esci in piedi è un buon atterraggio.»

Sorrido.

«Grazie, Carlo. Veramente.»

«Di nulla. E comunque, se hai bisogno di parlare con me, sappi che sei ufficialmente entrato nella cerchia di quelli che possono chiamarmi a qualsiasi ora senza mai disturbare.»

Ridiamo entrambi e la telefonata continua ancora per un po’, scivolando su dettagli più leggeri. Mi chiede della prossima tappa, di come se la cava Skippy, di Veronika che – gli dico – ha già segnato una lista di posti da vedere talmente lunga che ci vorrebbe un altro giro del mondo per spuntarla tutta.

Parliamo ancora per un po’, poi chiudiamo la chiamata. Carlo mi ha lasciato con un’ultima frase che mi risuona nella testa:

“Il cielo è pieno di lezioni. Noi siamo qui per impararle.”

Rimango con il telefono in mano, guardando il sole che cala sull’Elba. La testa ha ancora mille pensieri, ma mi sento più sereno.

La vera forza di un pilota non sta nel volare senza difficoltà ma nell’affrontare le sfide con calma e determinazione

il terrazzino della casa a Procchio (foto leonardo.ai)

La Villa di Napoleone: Un Tuffo nel Passato

Mi sto godendo il sollievo delle parole di Carlo quando Veronika esce dal bagno. È luminosa, rilassata, e non posso fare a meno di notarlo.

«Sei bellissima,» le dico, e il suo sorriso, compiaciuto e sincero, vale più di qualsiasi risposta.

Nel frattempo, Skippy, acciambellata sulla poltrona accanto, inizia ad agitarsi come sempre quando sogna, fino a rotolare giù con un piccolo tonfo. La guardiamo, lei ci guarda: noi preoccupati, lei infastidita… sbuffa rumorosamente, si acciambella di nuovo sul pavimento e ci lancia uno sguardo offeso.

Scoppio a ridere.

«Tranquilla, hai tutto il tempo di svegliarti mentre faccio la doccia anch’io.»

Lei solleva appena una zampetta in un gesto teatrale, poi si abbandona di nuovo al sonno.

Prima di entrare in bagno, lancio a Veronika un’idea.

«Perché non facciamo un salto alla residenza di Napoleone qui all’Elba prima di cena? Sarebbe un buon modo per entrare nell’atmosfera della serata.»

Così, un’ora dopo, siamo a Portoferraio, davanti alla residenza che fu il cuore del breve regno di Napoleone sull’Elba.

Dall’esterno, Villa dei Mulini è semplice, elegante, affacciata sul porto, come se l’imperatore avesse voluto tenere lo sguardo sempre rivolto verso il mare, verso la Francia.

All’interno, le stanze raccontano un uomo che, pur in esilio, non si arrese all’idea della sconfitta. Qui Napoleone non si limitò a vivere: riorganizzò l’isola, migliorò le infrastrutture, diede impulso al commercio e persino creò una bandiera per l’Elba.

Ogni ambiente conserva tracce del suo passaggio, dalla biblioteca piena di volumi strategici al suo studio, dove lavorava ai piani per il futuro. Un sovrano in gabbia, forse, ma tutt’altro che domato.

Usciti dalla villa, con il mare davanti a noi e il tramonto che tinge il cielo, ci incamminiamo verso la serata, pronti a immergerci ancora di più nella sua storia.

Ogni luogo ha il suo passato e ogni storia raccontata ci porta più vicino a comprendere chi siamo oggi.

Villa dei Mulini (foto isoladelba.online)

Una Serata Napoleonica alla Fortezza

Dopo una piacevole passeggiata a Portoferraio, ci dirigiamo verso la Fortezza Falcone.

Le mura imponenti, illuminate dalle luci calde della sera, creano un’atmosfera unica, come se ci stessero invitando a immergerci in un’altra epoca.

All’ingresso ci accolgono con gentilezza, vestiti a tema, confermando la nostra prenotazione. Skippy, come sempre, attira subito qualche sorriso e commento amichevole. Seguendo le indicazioni, veniamo accompagnati a un grande tavolo apparecchiato per otto persone, posizionato in una sala che conserva ancora i dettagli architettonici originali della fortezza.

Oltre a noi, al tavolo, ci sono una signora sulla settantina con un viso dolce e i capelli raccolti in un’acconciatura semplice e, accanto a lei, una ragazzina che ci saluta timidamente con un sorriso mentre si siede accanto a Skippy.

Di fronte, una coppia di italo-tedeschi: lui, con una barba curata e un’aria riflessiva, e lei, solare e sorridente, di evidenti origini italiane.

Ci presentiamo tutti rapidamente, scambiando qualche battuta cortese, ma la serata prende subito il via con l’arrivo di un oratore che si posiziona al centro della sala.

Vestito in abiti d’epoca, con un tono solenne ma coinvolgente, inizia a raccontare la storia di Napoleone sull’Elba.

«Signore e signori, benvenuti in questa serata dedicata a Napoleone Bonaparte, il grande stratega e leader che, sebbene in esilio, trasformò quest’isola in un regno pieno di innovazione e dinamismo…»

La storia, quando viene raccontata con passione, non è solo un racconto del passato ma una finestra aperta verso le emozioni che quel passato può ancora suscitare in noi

Forte Falcone visto dall’alto (foto museiarcipelago.it)

Antipasto. L’Inizio del Mito: La Giovinezza di Napoleone

Accompagnati da un calice di Ansonica dell’Elba, i camerieri servono al tavolo un assortimento di antipasti semplici e raffinati: pane nero integrale, frittata di erbe aromatiche e olive condite con agrumi, un richiamo ai sapori autentici dell’epoca napoleonica.

L’oratore, camminando per la sala, continua a parlare con voce sicura e gesti misurati.

«… ma prima di parlare del suo esilio, voglio raccontarvi da dove tutto è iniziato. Napoleone nacque ad Ajaccio, in Corsica, il 15 agosto 1769. Era il secondo di otto figli in una famiglia che, seppur modesta, nutriva grandi ambizioni.»

Veronika, seduta accanto a me, si avvicina leggermente.

«Passeremo ad Ajaccio quando saremo in Corsica?» mi chiede sottovoce.

Sorrido e annuisco.

«Sicuro, lo mettiamo in programma.»

Nel frattempo, l’oratore continua:

«Grazie all’abilità diplomatica del padre, Carlo Maria Buonaparte, Napoleone riuscì a studiare nelle migliori accademie militari francesi. Nonostante fosse un ragazzo riservato e talvolta solitario, la sua mente brillante e la sua ambizione fuori dal comune lo portarono a eccellere in matematica, storia e strategia militare.»

Assaggio un pezzo di frittata, notando l’equilibrio perfetto tra semplicità e intensità dei sapori. Veronika sembra altrettanto conquistata dal piatto.

L’oratore prosegue con una pausa drammatica per enfatizzare:

«A soli 16 anni Napoleone divenne ufficiale, un traguardo straordinario per l’epoca. E fu durante la Rivoluzione Francese che la sua ascesa prese forma. La brillante difesa di Tolone, nel 1793, lo rese generale a soli 24 anni, gettando le basi per il mito del suo nome.»

Il racconto si interrompe temporaneamente, lasciando a tutti il tempo di godersi gli ultimi bocconi degli antipasti.

Intorno al tavolo scambiamo qualche parola. Veronika riflette ad alta voce:

«È affascinante vedere come abbia sfruttato ogni occasione per dimostrare il suo valore.»

Annuisco.

«E pensare che questa è solo la sua giovinezza. Le sue imprese saranno sicuramente al centro della prossima portata.»

La sala si riempie di una conversazione leggera, con commenti sul cibo e curiosità appena apprese, mentre i camerieri iniziano a preparare il servizio per la prima portata.

Accanto a noi, la ragazzina ci lancia un’occhiata curiosa, poi ci chiede timidamente:

«Scusate se mi sono permessa di ascoltare prima, ma ho capito che state per andare in Corsica. Vero?» chiede, accarezzando il bicchiere d’acqua che ha davanti.

«Sì, partiremo domani mattina» rispondo con gentilezza. «Ci fermeremo anche ad Ajaccio per scoprire qualcosa in più su Napoleone

La signora, che scopriamo essere la zia, seduta accanto a lei, sorride con un’aria complice.

«Noi viviamo in Corsica. O meglio, io vivo lì. La Corsica è splendida, sono certa che vi piacerà.»

Non faccio in tempo a risponderle che i camerieri ci distraggono, iniziando a servire la portata successiva con l’oratore che torna a parlare.

“Non è la posizione che fa un uomo, ma l’uomo che fa la posizione.” – Napoleone Bonaparte

l’oratore della serata (foto leonardo.ai)

Prima Portata. L’Ascesa di un Imperatore: Ambizione e Conquiste

I camerieri ci servono la prima portata, una zuppa di pesce elbana, preparata con pescato locale e arricchita da erbe aromatiche tipiche dell’isola. Il profumo è invitante, e il calice di Aleatico Bianco, servito insieme, esalta i sapori con la sua dolcezza leggera e il retrogusto fruttato.

L’oratore torna a raccontare, la sua voce sicura riecheggia nella sala.

«Dopo la brillante difesa di Tolone, Napoleone non solo dimostrò il suo genio militare, ma iniziò a costruire il mito del suo nome. Le sue campagne militari furono epiche: dal 1796 al 1797, guidò l’Armata d’Italia, conquistando il nord del paese e stabilendo il dominio francese. Non era solo un comandante, ma un leader che ispirava i suoi uomini a compiere l’impossibile.»

L’oratore si prende una pausa drammatica, poi riprende:

«Napoleone non fu solo un brillante stratega militare. Le sue campagne non lasciavano dietro di sé solo confini ridisegnati e trionfi sul campo di battaglia, ma anche un’eredità culturale che avrebbe influenzato l’Europa per decenni. Se le sue conquiste cambiarono la mappa del continente, le sue riforme cambiarono la società.»

Osservo per un istante la zuppa ancora fumante davanti a me, poi lo sento proseguire:

«La spedizione in Egitto ne è l’esempio perfetto: da un lato una sfida militare complicata, dall’altro una missione scientifica senza precedenti. Con lui c’erano studiosi, ingegneri e archeologi, uomini il cui compito non era combattere, ma comprendere. Fu in quell’impresa che venne scoperta la Stele di Rosetta, che avrebbe permesso di decifrare i geroglifici e di svelare i segreti di una civiltà millenaria. Era il segno di un leader che non voleva solo dominare i territori, ma anche comprenderli e lasciare una traccia duratura nella cultura e nella scienza.»

Sorseggio un po’ di vino, lasciando che il retrogusto dolce si mescoli al pensiero di quella doppia eredità: la forza di un generale e la visione di un innovatore.

«Il suo carisma e la sua determinazione lo portarono al potere nel 1799, quando organizzò un colpo di stato e divenne Primo Console di Francia. Ma non era abbastanza. Nel 1804, Napoleone si proclamò Imperatore e, con la sua incoronazione, iniziò un’era di riforme e conquiste che cambiarono il volto dell’Europa.»

Conclude questa parte della narrazione con una riflessione:

«Napoleone non era solo un leader militare. Era un visionario, un uomo che cercava di modellare il mondo secondo i suoi ideali, trasformando ogni sfida in un’opportunità per lasciare un segno indelebile.»

La sala si riempie di un leggero brusio mentre l’oratore si interrompe, lasciandoci il tempo di gustare la zuppa e riflettere sul racconto.

Al nostro tavolo iniziamo a scambiare qualche parola.

La coppia di italo-tedeschi, seduta di fronte a noi, si unisce alla conversazione.

«Anche noi siamo qui in ferie» spiega l’uomo con un accento appena percepibile. «È la nostra seconda serata sull’isola, ma tra qualche giorno dovremo ripartire.»

«L’Elba è bellissima, sono sicura vi piacerà» interviene la signora accanto alla ragazza. «Noi torniamo in Corsica domani mattina. Sono venuta qui a prendere mia nipote, che vive qui con mia sorella, e la porto con me a festeggiare il compleanno della cuginetta. Sarà una sorpresa: ha la stessa età e non sa nulla.»

Ci limitiamo a sorridere, lasciando che la conversazione si sviluppi tra loro.

Non facciamo in tempo ad aggiungere altro che i camerieri iniziano a preparare il servizio per la seconda portata e l’oratore si prepara a riprendere il filo del discorso.

“Il vero uomo non è colui che conquista le vittorie ma colui che crea le opportunità per ottenerle.” – Napoleone Bonaparte

zuppa di pesce all’elbana (foto di Dall-E)

Seconda Portata. Dalla Gloria alla Caduta: L’Esilio di un Imperatore

Con tempismo impeccabile, i camerieri portano la seconda portata: polpette di baccalà, servite su un letto di insalata di stagione con un filo di limone, un piatto semplice e saporito che richiama la tradizione culinaria dell’epoca napoleonica. L’abbinamento con un calice di Rosso dell’Elba crea un equilibrio unico, esaltando i sapori intensi del pesce e della cucina locale.

L’oratore torna al centro della sala con lo sguardo che si sposta da un tavolo all’altro, come per coinvolgerci tutti nel racconto.

«Nonostante le sue incredibili imprese, la parabola di Napoleone raggiunse un punto critico con la Campagna di Russia del 1812, un evento che segnò l’inizio della sua caduta. Dopo essere avanzato fino a Mosca, le sue truppe furono decimate dal rigido inverno e dalla mancanza di rifornimenti. La sconfitta ridusse il suo esercito da 600.000 a meno di 30.000 uomini. Fu un colpo durissimo.»

Assaggio una polpetta, apprezzando la delicatezza del baccalà e l’equilibrio dei sapori.

L’oratore prosegue:

«Ma non fu solo la Russia. La sconfitta nella Battaglia di Lipsia nel 1813 segnò il crollo definitivo dell’Impero Napoleonico. Gli Alleati avanzarono verso Parigi e Napoleone fu costretto ad abdicare il 6 aprile 1814. Fu allora che le potenze europee decisero di esiliarlo sull’Isola d’Elba, lontano dalle grandi città ma abbastanza vicina da poterlo monitorare.»

Si ferma un istante, lasciando che le sue parole risuonino nella sala. Poi conclude:

«Immaginate un uomo, abituato a comandare milioni di soldati e conquistare nazioni, confinato su una piccola isola con soli 30.000 abitanti. Tuttavia, come vedremo, Napoleone trasformò persino l’esilio in un’occasione per lasciare il segno.»

Dalla grandeur delle sue campagne, Napoleone si ritrovò a osservare il mare da un’isola che sembrava un confine imposto sul suo destino, con l’orizzonte a ricordargli ogni giorno ciò che aveva perso. Ma il suo spirito non era domato.

La sala si riempie di un mormorio mentre gli ospiti si scambiano commenti sul piatto e sulla storia. Io e Veronika ci guardiamo con un sorriso complice quando la nostra attenzione viene catturata da una scena divertente.

La ragazzina accanto a noi, che scopriamo chiamarsi Amandine, ha stretto amicizia con Skippy. Tra un boccone e l’altro, le due giocano a rubarsi piccoli pezzi di pane dal cestino. Skippy, con la sua astuzia, riesce sempre a spuntarla, facendo ridere Amandine, che cerca di riprendersi il suo bottino.

Veronika scuote la testa divertita.

«Guarda queste due, sembra che si conoscano da sempre.»

Le sorrido.

«Skippy trova sempre il modo di conquistare tutti.»

La scena alleggerisce l’atmosfera, creando un momento di spensieratezza, mentre i camerieri iniziano a ritirare i piatti vuoti e l’oratore si prepara a introdurre il prossimo capitolo della storia.

“La gloria è fugace ma l’oscurità dura per sempre.” – Napoleone Bonaparte

Polpette di Baccalà (foto di Dall-E)

Terza Portata. L’Elba: Un Regno in Miniatura e il Sogno del Ritorno

La terza portata arriva con eleganza, portando in tavola un piatto che richiama la tradizione isolana e il periodo napoleonico: filetto di pesce al cartoccio, cucinato con agrumi e spezie locali, servito con un contorno di bietole saltate e un calice di Moscato dell’Elba, un vino aromatico e vellutato che completa alla perfezione la delicatezza del piatto.

L’oratore riprende il racconto con tono solenne ma coinvolgente:

«Quando Napoleone arrivò sull’Isola d’Elba, il 4 maggio 1814, si trovò a dover gestire un regno di soli 30.000 abitanti. Tuttavia, la sua ambizione e il suo genio organizzativo non si fermarono. In pochi mesi trasformò l’isola in un modello di efficienza e modernità.»

Fa una pausa, lasciando che i camerieri finiscano di servire il pesce e versare il vino, poi continua:

«Napoleone migliorò le infrastrutture riparando strade e costruendo ponti. Rivitalizzò l’economia attraverso il commercio e persino la riorganizzazione delle miniere. Creò anche una bandiera per l’isola, con tre api dorate su sfondo bianco e rosso, simbolo di laboriosità e unità.»

Veronika, con il bicchiere in mano, mi sussurra:

«Non immaginavo che avesse fatto così tanto in così poco tempo.»

Annuisco, prendendo un pezzo di pesce.

«Era instancabile. Persino in esilio ha trovato il modo di lasciare il segno.»

L’oratore continua:

«Ma non era solo un leader operativo. Napoleone amava passeggiare lungo le mura di Portoferraio, da cui poteva osservare il mare. Quei momenti di riflessione gli servivano per pianificare il futuro, perché non smise mai di pensare a un ritorno al potere.»

Skippy, seduta accanto a me, sembra incuriosita dalle espressioni di Amandine, che ascolta il racconto con grande entusiasmo.

Mentre il mondo lo credeva sconfitto, Napoleone trasformava l’Elba nel suo banco di prova, perché nella sua mente l’esilio non era mai stato una fine, ma solo il trampolino per un ritorno destinato a lasciare il segno.

“La vera conquista è non smettere mai di prepararsi alla prossima battaglia.” – Napoleone Bonaparte

Filetto di pesce al Cartoccio (foto di Dall-E)

Dolce. Il Ritorno dell’Imperatore: I Cento Giorni di Gloria

I camerieri tornano con un dolce che attira subito l’attenzione: una raffinata tarte aux pommes, una torta di mele tipica della tradizione francese, rivisitata con un tocco locale grazie all’uso di mele elbane e un leggero velo di miele dell’isola.

Accanto viene servito un bicchiere di Aleatico Passito, il vino dolce più iconico dell’Elba, il cui aroma fruttato e la consistenza vellutata si sposano perfettamente con il dessert.

L’oratore si posiziona nuovamente al centro della sala, alzando il tono per riportare l’attenzione su di sé.

«Dopo dieci mesi sull’Elba, Napoleone decise di lasciare l’isola. La notte del 26 febbraio 1815, salpò segretamente con un piccolo gruppo di fedeli, dirigendosi verso la Francia. Era determinato a riconquistare il potere.»

La narrazione si intensifica, catturando l’attenzione di tutti.

«Arrivò a Golfe-Juan, nel sud della Francia, il 1° marzo 1815, e da lì iniziò una marcia verso Parigi che diventò leggendaria. Ovunque andasse, le truppe mandate a fermarlo si unirono a lui e il popolo lo accolse come un eroe. In meno di un mese, il 20 marzo 1815, era di nuovo sul trono di Francia. Fu un evento straordinario conosciuto ancora oggi come i Cento Giorni

Un’impresa senza precedenti: con il solo potere del suo carisma e della sua leggenda, Napoleone riconquistò il trono di Francia senza sparare un colpo.

Mentre assaggio la torta, il sapore dolce delle mele caramellate si mescola con il retrogusto aromatico del miele, creando un perfetto equilibrio. Veronika, accanto a me, sembra altrettanto conquistata dal dessert.

L’oratore conclude questa parte del racconto con un tocco di enfasi:

«Napoleone dimostrò ancora una volta il suo genio politico e militare, trasformando un esilio in un ritorno trionfale. Ma, come vedremo, il sogno del suo secondo impero sarebbe durato poco.»

La sala si riempie di un leggero mormorio mentre gli ospiti gustano il dolce, lasciando spazio ai pensieri e ai commenti sulla storia appena ascoltata.

Skippy, seduta accanto a noi, sembra seguire con curiosità l’atmosfera attorno al tavolo, mentre il vino dolce e la torta segnano il momento perfetto per riflettere su un capitolo così straordinario della vita di Napoleone.

“La vittoria appartiene al più perseverante.” – Napoleone Bonaparte

tarte aux pommes classica (foto di Dall-E)

Amari e Caffè: Waterloo e Sant’Elena: La Fine di un’Impero, la Nascita del Mito

I camerieri servono una selezione di amari tipici dell’Elba, tra cui un limoncello elbano e una grappa al miele, accompagnati da caffè fumanti che avvolgono la sala con un aroma intenso. Gli ospiti iniziano a rilassarsi, ma l’oratore riprende la parola per affrontare uno dei capitoli più drammatici della vita di Napoleone.

«Dopo il suo ritorno trionfale in Francia e i famosi Cento Giorni, le potenze europee si riunirono per opporsi nuovamente a Napoleone. La sua ambizione e il suo genio strategico non bastarono a fermare l’inevitabile. Il 18 giugno 1815, alla Battaglia di Waterloo, in Belgio, Napoleone subì una sconfitta devastante per mano della coalizione guidata dal Duca di Wellington. Quella giornata segnò la fine del suo impero e il sogno di un secondo trionfo.»

L’atmosfera nella sala si fa più silenziosa, quasi sospesa, mentre l’oratore continua:

«Dopo Waterloo, Napoleone cercò di rifugiarsi in America, ma fu catturato dalle forze britanniche. Questa volta, le potenze europee scelsero un luogo da cui non avrebbe mai potuto fuggire: l’isola di Sant’Elena, un avamposto remoto nell’Oceano Atlantico meridionale, lontano da tutto e da tutti.»

Prendo un sorso di limoncello, sentendo il calore diffondersi, e mi appoggio allo schienale della sedia.

Faccio un gesto con le mani sulla pancia, come a dire che sono ufficialmente pieno, attirando lo sguardo di Veronika, che scuote la testa sorridendo.

Alza leggermente il bicchiere vuoto facendo segno che i tanti vini della serata sono stati di suo gradimento, anche se aggiunge con un mezzo sorriso:

«Forse ho esagerato un po’. Mi gira la testa.»

Scuoto la testa incredulo ma divertito.

«E poi dicono che io esagero» le rispondo, mentre Skippy, sempre attenta, lancia un’occhiata al cestino del pane, chiarendo con il suo comportamento che lei non ha ancora finito.

L’oratore conclude questa parte del racconto con un tono riflessivo:

«Sant’Elena non era solo un luogo remoto. Era una condanna alla solitudine. Napoleone vi arrivò nell’ottobre del 1815 con pochi fedeli accanto a lui. Per il resto della sua vita rimase confinato in quel piccolo pezzo di terra, lontano dalle luci della gloria e dal mondo che aveva cercato di dominare.»

Da Sant’Elena, Napoleone non poteva più vedere le sue armate né ascoltare il battito del mondo che un tempo aveva dominato. Gli restavano solo i ricordi e le parole con cui avrebbe cercato di costruire la sua eredità.

Il silenzio che segue è quasi palpabile, mentre ciascuno sembra riflettere sulla grandezza e sulla caduta di un uomo come Napoleone.

Veronika si appoggia con il gomito al tavolo, rompendo la tensione.

«Devo ammettere che è incredibile. Passare dal governare quasi tutta l’Europa a un’esistenza così lontana e isolata… sembra surreale.»

La signora accanto ad Amandine annuisce con un sorriso amaro.

«È la grandezza della storia. Ti ricorda che nulla dura per sempre.»

La donna Italo-Tedesca aggiunge:

«Ma è proprio questo che lo rende affascinante. Anche nei suoi momenti più oscuri, Napoleone è riuscito a lasciare il segno.»

Skippy, intanto, cattura l’attenzione di Amandine, e le due cominciano a giocare con dei pezzi di pane, regalando un momento di leggerezza a una serata intensa.

Il mormorio attorno ai tavoli torna a riempire la sala, mentre i figuranti si preparano all’atto finale.

Il celebre dipinto di Napoleone a Sant’Elena di François-Joseph Sandmann (foto reportdifesa.it)

Memorie, Saluti e Nuove Avventure

Con la sala ormai rilassata e gli amari che accompagnano gli ultimi scambi tra i commensali, l’oratore torna a parlare.

«Napoleone Bonaparte morì a Sant’Elena il 5 maggio 1821. Aveva 51 anni. La causa della morte è ancora oggi dibattuta: c’è chi parla di cancro allo stomaco, chi di avvelenamento. Ma una cosa è certa: anche negli ultimi giorni della sua vita, Napoleone continuò a riflettere sulla sua eredità, scrivendo memorie che avrebbero influenzato generazioni future. La sua vita, fatta di conquiste e cadute, è la prova che la grandezza è tanto fragile quanto straordinaria.»

Le parole dell’oratore lasciano un’eco sospesa nella sala.

Poi, all’improvviso, un applauso si leva, prima timido, poi sempre più forte. Un tributo non solo a Napoleone, ma a una serata che ha saputo far rivivere la sua storia.

Attorno al nostro tavolo scambiamo gli ultimi commenti sulla cena e sulla storia appena ascoltata.

Veronika si rivolge alla signora accanto a noi.

«È stato tutto meraviglioso, dall’atmosfera al cibo, fino ai dettagli storici. Non mi aspettavo di immergermi così tanto nella vita di Napoleone

La signora annuisce, palesemente felice anche lei.

«Questa fortezza ha visto tante storie e stasera siamo stati parte di una di esse.»

L’uomo italo-tedesco aggiunge:

«E i loro abiti, così ricchi di dettagli… sembrava davvero di essere tornati indietro nel tempo.»

Skippy, intanto, cattura l’attenzione di Amandine, che le accarezza la testa con affetto.

«Mi sono divertita molto, mi mancherai» dice la ragazza con un sorriso rivolto sia a Skippy che al resto del tavolo.

Con i saluti che si intrecciano tra i commensali, ci alziamo lentamente dal tavolo. La coppia italo-tedesca ci augura buon viaggio, mentre la signora e Amandine ci salutano calorosamente.

«Buona fortuna per il vostro viaggio in Corsica» dice la signora. «Sono sicura che Ajaccio vi regalerà altre storie da raccontare.»

Uscendo dalla fortezza, ci fermiamo nel piccolo negozietto di souvenir situato accanto all’ingresso.

Veronika si avvicina subito agli scaffali dedicati ai libri e sceglie una copia delle Memorie di Napoleone, visibilmente ispirata dalla serata.

«Penso che valga la pena leggerle» dice, voltandosi verso di me con un sorriso.

Poi aggiunge, prendendo un altro libro:

«E già che ci siamo, prendo anche una guida sulla Corsica. Ci tornerà sicuramente utile.»

Mentre pago i libri, Skippy, incuriosita, si avvicina al bancone osservando con attenzione le cianfrusaglie esposte: portachiavi, magneti, piccoli modellini di cannoni.

La ragazza alla cassa, notando il suo interesse e la sua simpatia, sorride e prende una piccola monetina turistica con l’effige di Napoleone.

«Tieni, è per te» dice, porgendogliela con gentilezza.

Skippy osserva la moneta come fosse un tesoro inestimabile, prendendola con cura tra le zampette.

Poi si volta verso di me, mostrando la monetina con entusiasmo.

«È un bel ricordo della serata» dico ridendo.

“Io chiudo gli occhi ma il mio sguardo rimarrà per sempre rivolto alla Francia.” – Napoleone Bonaparte, ultime parole

la monetina regalata a Skippy (foto Dall-E)

Ritorno a Casa: Un Momento di Pace

Lasciamo la fortezza con la brezza serale che ci accompagna. Le luci di Portoferraio scintillano in lontananza, riflettendosi sulle acque calme del porto.

Skippy cammina accanto a noi, ogni tanto fermandosi per osservare la monetina, come se stesse già immaginando di diventare un grande stratega come Napoleone.

Veronika stringe il sacchetto con i libri e sospira con soddisfazione.

«Non pensavo che una serata potesse essere così intensa e interessante.»

«Lo è stata davvero» rispondo, osservando il cielo stellato. «È stata una giornata piena ma ricca di ispirazione. Approfondiremo la sua storia anche in Corsica sicuramente.»

Raggiungiamo la nostra casetta a Procchio, accolti dal silenzio e dalla tranquillità dell’isola.

Veronika si dirige verso la camera, mentre io mi fermo un attimo sulla terrazza ad osservare il mare in lontananza.

Skippy si acciambella accanto a me, stringendo la sua monetina con orgoglio.

«Vai a dormire, piccola. Domani ci aspetta un nuovo viaggio.» dico sottovoce.

Poi entro in casa, chiudendo la porta finestra alle nostre spalle, pronto per una notte di riposo che ci prepara al volo verso la Corsica.poso che ci prepara al volo verso la Corsica.

06 – Diario di Volo Piombino all’Elba

Un dolce risveglio

Ci svegliamo al profumo di caffè e biscotti appena sfornati. La signora Marina ci accoglie in cucina con un sorriso caloroso e un vassoio colmo di bontà fatte in casa. È un’immagine che scalda il cuore e che già so rimarrà impressa nella memoria. Mi avvicino, le passo un braccio intorno alle spalle e, con affetto sincero, le dico:

«Ma tu sei un angelo o cosa?»

Lei ride schermendosi con un gesto della mano ma il rossore sulle sue guance racconta quanto le faccia piacere il complimento. Seduti a tavola, tra una tazza di caffè e i suoi biscotti buonissimi, ricordiamo a Marina i nostri piani odierni.

«Oggi si vola verso l’Elba» le dico con entusiasmo. «Un giro che ci porterà sopra i luoghi che non siamo riusciti a vedere ieri. E poi una giornata sull’isola.»

Il suo sorriso si allarga. «L’Elba è bellissima vista dal cielo. Sarete fortunati a vederla così.»

Dopo colazione arriva il momento dei saluti. Marina ci stringe in un abbraccio caldo, poi si china verso Skippy che emette un piccolo verso emozionato. Accarezzandole il capo, le sorride con dolcezza. «Anche a te, mia piccola viaggiatrice speciale.»

Usciamo nel fresco del mattino e ci dirigiamo verso il piccolo campo di volo a due passi. Il Cessna 172 ci attende sotto un cielo che si sta aprendo dopo i giorni di maltempo.

Mentre mi preparo per il decollo il sole si alza alla nostra sinistra tingendo l’orizzonte di arancio e oro. Sono le otto del mattino e l’aria è fresca, quasi frizzante. Qualche nuvola qua e là ricorda le tempeste recenti ma il peggio sembra passato.

Accendo il motore. Veronika e Skippy si sistemano; la prima con lo sguardo puntato verso l’orizzonte, la seconda con le orecchie dritte pronta all’avventura.

«Andiamo» dico con un sorriso.

Il velivolo prende velocità lungo la pista d’erba. L’abbraccio di Marina si dissolve alle nostre spalle, mentre davanti a noi si apre il cielo e il richiamo dell’avventura.

Appena decollati indico a Veronika ciò che attira la mia attenzione.

«Guarda quanto sono grandi quelle pale eoliche vicino alle ciminiere sulla costa. Saranno parte del parco eolico tra Piombino e Follonica. Un contrasto interessante tra vecchio e nuovo.»

Ogni partenza porta con sé un addio ma anche la promessa di un nuovo inizio. Ogni incontro lascia un segno, ogni viaggio un ricordo da custodire.

pronti al decollo con la casetta di Marina come sfondo (foto flight simulator 2024)

Il Tempo di Fermarsi

Mentre voliamo verso Piombino, per un attimo, non mi concentro sulla rotta. Il mio pensiero torna a Marina. Alle sue parole semplici ma pesanti come sassi lanciati nell’acqua, capaci di creare onde che si allargano dentro di noi.

«Sai, Vero…» dico, rompendo il silenzio che si era creato mentre le pale eoliche scorrevano alla nostra sinistra. «Carlo e Irina ci hanno insegnato ad andare avanti, a puntare sempre al prossimo volo, alla prossima meta. Ma Marina… Marina ci ha mostrato un’altra cosa.»

Veronika si gira verso di me, l’aria assorda e pensierosa. «Cosa intendi?»

«Forse il viaggio non è solo andare avanti» dico, riflettendo a voce alta. «A volte, più che avanzare, serve fermarsi. Ascoltare. Respirare.»

Lei annuisce lentamente, come se stesse interiorizzando quelle parole. «Intendi come quando si legge un libro? Non puoi solo sfogliare le pagine in fretta per sapere come va a finire. Devi fermarti, rileggere un passaggio, lasciare che ti entri dentro.»

Sorrido. «Esatto. Marina non ci ha dato risposte. Ci ha dato tempo. Tempo per accettare quello che è successo. Per capire che ogni esperienza ha bisogno di sedimentare prima di poterci cambiare davvero.»

Veronika rimane in silenzio per qualche istante, poi guarda fuori dal finestrino. «Dovremmo ricordarcelo più spesso» dice infine. «Ogni viaggio lascia un segno ma quel segno diventa davvero parte di noi solo quando gli diamo spazio per esistere.»

La nostra rotta ci sta già portando avanti ma questa volta con qualcosa in più. Non solo il desiderio di scoprire ma la consapevolezza che ogni viaggio merita di essere ascoltato.

Arriviamo sopra Piombino e decido che oggi racconterò quel che ricordo a Skippy.

«Guarda lì» le dico indicandole il centro storico mentre lei si alza appena sul sedile con le orecchie dritte. «Quella è Piombino, una città con radici antiche.»

«Che tipo di radici?» chiede Veronika seguendo il mio sguardo.

«Beh, un tempo era un’importante base degli Etruschi» spiego. «Sai che la chiamavano Populonia? Era famosa per le sue fonderie di ferro. Pensa: qui si lavorava il minerale che arrivava dall’Isola d’Elba e si dice che i fuochi delle fornaci fossero visibili anche dall’altra parte del mare.»

«Non lo sapevo» dice Veronika. «E poi cosa accadde?»

«Con il tempo il ruolo di Piombino cambiò. Durante il Medioevo divenne un piccolo stato indipendente governato dalla famiglia Appiani che costruì gran parte della città che vediamo ancora oggi. Vedi quella fortezza laggiù? Quella è una delle loro eredità.»

Sorvoliamo la costa con il mare che si apre davanti a noi come una distesa infinita.

«Sai poi che…» aggiungo «durante la Seconda Guerra Mondiale Piombino è stata una delle prime città a opporsi ai nazisti. I suoi cittadini hanno combattuto per la libertà e oggi la città è decorata con la Medaglia d’Oro al Valor Militare

Veronika sorride. «Non mi avevi raccontato nulla di questo quando venimmo qui per imbarcarci.»

«L’ho letto sul traghetto ma ero più concentrato sulla moto e sul viaggio. Non ci ho pensato a raccontartelo, scusa.»

Il Cessna continua il suo percorso verso il mare aperto. Il blu intenso ci avvolge e, all’orizzonte, si vede chiaramente la costa dell’Elba.

«Là, sull’Elba, ci aspettano nuove storie» dico, guardando avanti. «Ma intanto… godiamoci questo momento.»

Il motore ronza costante mentre ci lasciamo alle spalle Piombino e ci dirigiamo verso l’isola.

Il viaggio non è solo movimento, è anche pausa. È nel tempo che ci concediamo per fermarci che comprendiamo davvero ciò che il cammino ci ha lasciato.”

l’isola d’Elba all’orizzonte (foto flight simulator 2024)

L’Elba Dall’Alto: Ricordi e Storie

Sorvoliamo il mare e la costa dell’isola si avvicina sempre di più.

«Quella è Cavo» dico indicando il piccolo porto. «Da quassù sembra quasi un disegno tutto così ordinato e tranquillo.»

Veronika si sporge appena verso il finestrino con un sorriso nostalgico. «Sai, Skippy, mi ricordo quando ci siamo arrivati in moto per la prima volta. Eravamo stanchi e affamati e quel minuscolo bar sulla spiaggia ci salvò. Cami, ricordi cosa ci disse il proprietario?»

«Non proprio» rispondo con aria interdetta, quasi scusandomi.

«Ci disse che Cavo era uno dei primi porti romani dell’isola, uno scalo per il trasporto di ferro e minerali. E che, lassù, c’era una villa con una terrazza affacciata sul mare. Mi sarebbe piaciuto vederla, immagina vivere lì, in un’epoca così lontana.»

Skippy si alza sulle zampe, osservando attentamente il promontorio.

«Anche lei è curiosa» commenta Veronika. «Chissà se riconosce qualcosa nel paesaggio!»

«Forse» rispondo sorridendo. «Io invece ricordo benissimo quella stradina sterrata che portava su in collina. Ci fermammo a scattare foto perché da lì si vedevano la Corsica e Capraia. Ma non la riconosco vista dall’alto.»

Ogni luogo racchiude storie che il tempo non ha cancellato.

arrivo sull’isola d’Elba sul porto di Cavo (foto flight simulator 2024)

Rio Marina: La Terra Rossa dell’Elba

Passiamo oltre, lasciando Cavo alle spalle, e la costa rossa di Rio Marina si svela sotto di noi.

«Guarda quelle scogliere» dico. «Brillano al sole, come se trattenessero ancora la memoria del ferro. Secoli di estrazioni hanno dato all’Elba la sua fama. I romani usavano questo minerale per forgiare armi e strumenti.»

«Esatto» risponde Veronika. «E poi vennero i Medici. Sotto il loro dominio l’attività mineraria raggiunse il culmine. Hai notato come si vedono ancora i segni delle cave? Sono come ferite antiche lasciate sulla terra.» Poi si perde a osservare il porto che da quassù sembra una cartolina.

«Lì ci siamo fermati a mangiare quel giorno, ricordi? Pesce freschissimo e vino bianco locale.»

«Ricordo con piacere la passeggiata sul molo» aggiungo. «Ho dei ricordi bellissimi.»

Mentre le prendo la mano, intreccio le nostre dita.

Le terre raccontano la loro storia attraverso i segni del tempo. Ogni scogliera, ogni miniera abbandonata è una pagina aperta su un passato che continua a vibrare nel presente.

Rio Marina vista dal Cessna (foto flight simulator 2024)

Porto Azzurro: La Baia dei Contrasti

La vista della baia di Porto Azzurro ci lascia per un attimo in silenzio. Le barche sono ormeggiate come se galleggiassero su un tappeto di cristallo.

«Porto Azzurro» dico con un sorriso. «Ricordi cosa ci raccontarono sul forte spagnolo?»

«Sì» risponde Veronika. «Il Forte San Giacomo fu costruito nel Seicento per difendere l’isola dai pirati. Disse che da lì si poteva controllare tutta la baia. Un punto strategico incredibile.»

«Pensare che oggi quel forte è un carcere crea un contrasto interessante, no? Da baluardo contro i pirati a prigione.»

Veronika si volta verso di me con gli occhi pieni di ricordi. «Ci sono così tante storie in ogni angolo di quest’isola e sono felice di avere anche tanti nostri ricordi che posso raccontare.»

«Già. Ora è bello vedere tutto da questa nuova prospettiva» rispondo. «Come se ogni luogo ci stesse svelando un lato diverso di sé.»

Il Cessna prosegue tranquillo verso Capoliveri, il borgo arroccato sulla collina che ospita alcuni dei ricordi più belli di quel viaggio in moto.

Ci prepariamo a scoprire come l’isola continuerà a sorprenderci.

Visto dall’alto Porto Azzurro ci ricorda che passato e presente convivono in un equilibrio sottile.

sulla costa verso Porto Azzurro (foto flight simulator 2024)

Capoliveri: Il Borgo tra Storia e Panorami

Capoliveri si staglia sulla cima della collina, circondato da vigneti e uliveti. Le sue case color pastello sembrano adagiate con cura, e le stradine che si arrampicano verso il cuore del paese disegnano un labirinto di storia e tradizioni.

Indicando la piazza principale mi lascio andare ai ricordi.

«Questo, Skippy, è il punto migliore dove abbiamo ammirato il tramonto sull’Elba. Da lì si vedeva il mare, la costa, persino Montecristo e Pianosa

Sorvoliamo lentamente il borgo, e il ricordo di quel tramonto si intreccia ai tetti colorati, come se il tempo avesse posato qui la sua luce dorata.

«Sai che Capoliveri ha origini etrusche?» aggiungo. «Il suo nome deriva probabilmente da Caput Liberum, che significa ‘collina sacra a Bacco’. La vite qui non è mai mancata, e i Romani continuarono la tradizione della produzione del vino.»

Veronika osserva il panorama sotto di noi.

«Non mi sorprende. I vigneti sono ovunque e anche oggi il vino elbano è famoso, e ricordo bene sia anche buonissimo.»

«Esatto. Pensa che il vino Aleatico dell’Elba è uno dei più antichi della Toscana. Si dice che Napoleone stesso ne fosse un grande estimatore.»

Sorvoliamo la piazza dove una volta sostammo per un aperitivo prima del tramonto. Da lì la vista si apre in un panorama stupendo.

«Ricordi quando ci raccontarono della leggenda di Capoliveri e del suo pozzo d’oro?»

«Vagamente» risponde Veronika, incuriosita.

«La leggenda narra di un pozzo nascosto nelle campagne che un tempo custodiva un tesoro. Si dice che gli abitanti lo abbiano sigillato per proteggerlo dai pirati saraceni. Nessuno l’ha mai trovato, ma storie come queste aggiungono un pizzico di magia al luogo.»

Passiamo sopra i vicoli stretti animati da negozi di artigianato e piccole botteghe.

«Anche Capoliveri era un importante centro minerario durante il Medioevo» aggiungo. «Non solo ferro, ma anche rame e pirite. I minatori lavoravano nelle gallerie scavate sotto la collina, e alcune di queste sono ancora visitabili oggi. La comunità qui è sempre stata forte e unita. Ogni festa, ogni evento sembrava un modo per celebrare la resilienza di questo borgo.»

A Capoliveri, il vino, le leggende e le miniere raccontano una terra che non ha mai smesso di resistere e trasformarsi.

il paesino di Capoliveri (foto flight simulator 2024)

Verso Lacona: Ricordi e Emozioni

Lasciamo il borgo lentamente alle spalle, iniziando la discesa verso Lacona. Superiamo il promontorio e il suo verde intenso.

«Ed eccola, la ‘nostra’ spiaggia, una delle più lunghe dell’isola» dico. «Arrivammo stanchi dal viaggio, piantammo la tenda e andammo in spiaggia che era quasi il tramonto.»

Veronika sorride. «E mangiammo la pizza in riva al mare, seduti sulla sabbia. Scattammo quella nostra foto che è una delle mie preferite.»

Il volo continua sereno, un clima completamente diverso da quello dei giorni scorsi avvolge la cabina. I ricordi e la vista di questi luoghi da questa nuova angolazione danno emozioni forti, e Skippy sembra entusiasta di ascoltare i nostri racconti.

Salgo di quota verso il passo che ci porterà a Portoferraio. Il mare riappare in lontananza dopo il crinale, un segno che l’Elba non smetterà mai di sorprendere chi sa guardarla con occhi curiosi.

Portoferraio: Il Cuore dell’Elba

Superato il passo, iniziamo la dolce discesa verso Portoferraio, il capoluogo dell’isola. Le case si arrampicano lungo la collina, abbracciate dalle mura medicee con i loro secoli di storia. Il porto riflette il sole che si abbassa lentamente sull’orizzonte.

«Qui arrivammo con il traghetto. La nostra moto era piena di bagagli e noi eravamo impazienti di scoprire l’isola.»

Veronika aggiunge. «Ricordo perfettamente quella giornata. Era estate piena e l’odore del mare si mescolava con il profumo di caffè dei bar lungo il molo. Era un’atmosfera che sembrava fatta apposta per accoglierci.»

Scendendo di quota, sorvoliamo il porto e il profilo delle Fortezze Medicee si fa più nitido.

«Skippy, pensa che queste mura furono volute da Cosimo I de’ Medici. Portoferraio era un punto strategico fondamentale per proteggere l’Arcipelago Toscano dalle incursioni dei pirati. Cosimo lo chiamava Cosmopolis, la sua città ideale.»

Veronika aggiunge. «È incredibile pensare a quanta cura abbiano messo nella sua costruzione. Non era solo una fortezza ma un vero gioiello di architettura militare.»

«Esatto. Le mura non solo proteggevano ma integravano la città. Forti come il Forte Stella, il Forte Falcone e la Torre della Linguella formavano un sistema difensivo che resiste ancora oggi.»

Il Cessna plana dolcemente mentre attraversiamo l’ultimo tratto di cielo sopra Portoferraio.

«Davvero l’anima dell’Elba» dico. «Un luogo che sa accoglierti, proteggerti e raccontarti la sua storia, tutto allo stesso tempo.»

Lasciamo il porto alle nostre spalle e la costa ci porta verso la parte più alta dell’isola.

“Portoferraio non è un intreccio di storie e strategie. Le sue mura raccontano di un passato di difesa, mentre le sue acque accolgono chi arriva, rivelando l’anima dell’Elba.”

Portoferraio visto dal cessna (foto flight simulator 2024)

L’Elba: Borghi e Panorami fino al Monte Capanne

Sorvoliamo la costa e Biodola con la sua spiaggia ampia e le acque limpide che sembrano invitarci a tuffarci.

«Che voglia di tornare a farmi un bagno lì» dico a Veronika indicando la baia sottostante. «Quella, Skippy, è una delle spiagge più famose dell’isola, ma in estate è spesso molto affollata.»

La rotta ci porta sopra Procchio, un altro gioiello incastonato sulla costa.

«Questa dovrebbe essere Procchio, dove abbiamo affittato la camera per questa notte. Da qui si vede che è piccola, ma ricordo una storia interessante letta sul sito dove ho prenotato. Si dice che proprio qui, al largo, siano stati trovati i resti di un’antica nave romana. Trasportava anfore piene di vino e olio, risalenti al II secolo a.C.»

Passiamo poi sopra Marciana Marina con il suo piccolo porto e la torre pisana che domina la scena. Non ricordo molto su questo borgo, così chiedo a Veronika:

«Hai letto qualcosa di interessante su Marciana Marina?»

Lei prende la guida e legge:

«Era uno dei borghi preferiti dagli artisti negli anni ’50. La sua tranquillità e la bellezza del paesaggio attiravano pittori e scrittori da tutta Europa.»

«Si capisce» rispondo osservando la costa che si tuffa dolcemente nel mare. «Ha un fascino autentico, senza tempo.»

Proseguiamo e inizio a prendere quota avvicinandomi al Monte Capanne, la vetta più alta dell’Elba, preparandoci a scoprire un panorama che lascia senza parole.

Monte Capanne: La Vetta dell’Elba

Dopo la salita, arrivati in corrispondenza della cima più alta dell’isola, a 1019 metri, mi lascio andare a un ricordo:

«L’ultima volta ci siamo arrivati con la cabinovia.»

Veronika ride. «Cabinovia? Quei cestini di metallo gialli sembravano appena abbastanza robusti da reggerci.»

«Un’esperienza intensa… ma che vista da lassù.»

Questa volta, però, la salita è stata diversa. Il panorama è mozzafiato: sotto di noi si stende l’intera Isola d’Elba, circondata da un mare che brilla come se fosse disseminato di gemme.

«Guarda a sinistra» dico a Veronika, indicando il pendio scosceso che si tuffa verso Marciana. «Da qui si vedono tutti i borghi che abbiamo sorvolato.»

Lei annuisce, gli occhi fissi sul panorama.

«È ancora più splendido di quanto ricordassi. Vedere tutto da qui, così… ti fa sentire piccolo ma in modo bellissimo.»

Il Monte Capanne si staglia maestoso, le sue rocce sembrano conservare le impronte del vento e le carezze del tempo.

«Là c’è Lacona» dico, indicando in lontananza. «E oltre, la costa che si perde nel blu.»

Iniziamo la discesa verso l’aeroporto con la bellezza di questo luogo che ci avvolge, lasciandoci in silenzio, mentre ci prepariamo per l’ultimo tratto del nostro volo sull’Elba.

Dall’alto del Monte Capanne l’Elba si svela in tutta la sua bellezza. Qui, tra rocce scolpite dal vento e orizzonti infiniti, la grandezza della natura ci ricorda quanto sia preziosa ogni prospettiva.

la vista dal monte Capanne (foto flight simulator 2024)

Il Ritorno a Terra

Durante la discesa dal Monte Capanne, indico un piccolo sentiero che serpeggia tra le rocce verso il mare.

«È quel percorso di trekking che ci consigliarono, ricordi? Dicevano che portava a una caletta nascosta.»

«Ricordo» risponde lei. «Non abbiamo mai avuto tempo per esplorarlo, ma forse Skippy sarà vogliosa di farlo oggi.»

Ci giriamo verso Skippy, che sgrana subito gli occhi, attenta com’è a evitare qualsiasi attività fisica non strettamente necessaria. Scoppiamo a ridere, poi Veronika conclude:

«Forse è meglio così. Alcuni segreti è bello lasciarli intatti.»

Scivoliamo dolcemente verso la costa sud-occidentale mentre mi allineo al piccolo aeroporto vicino La Pila, immerso tra il verde della pineta e il blu del mare.

«Eccolo, il nostro prossimo approdo» dico con un sorriso. «Da qui si conclude questo giro sull’Elba

Il Cessna si avvicina, il mare e il cielo si riflettono ancora negli occhi di Veronika, mentre Skippy osserva dal suo posto, con le orecchie dritte e lo sguardo attento. Sa che il volo sta per concludersi.

Le ruote toccano terra con un leggero sobbalzo e il motore ruggisce per un ultimo istante, prima che il velivolo rallenti lungo la pista. La sensazione di essere tornati a terra porta con sé una calma dolce, quasi una promessa che l’avventura non è finita, ma ha solo cambiato ritmo.

Spengo i motori e un silenzio ovattato ci avvolge. Veronika si slaccia la cintura e si gira verso di me.

«Sai, non importa da dove la guardiamo: dall’alto, dal mare o dalla terra… l’Elba riesce sempre a sorprendermi.»

Usciti dal velivolo, una brezza leggera ci accoglie. Scarichiamo i bagagli con calma, pronti per il resto della giornata sull’isola.

Ma prima, ci fermiamo un istante, guardando il cielo che sembra abbracciare l’Elba. È un momento di pura quiete, il perfetto epilogo di questo volo.

Ogni viaggio ci trasforma ma è nel momento in cui torniamo a terra che capiamo davvero ciò che abbiamo vissuto.

05 + Diario di viaggio

Il calore di un rifugio inaspettato

La casa della signora ci avvolge immediatamente in un’atmosfera calda e accogliente. Nonostante il nostro aspetto, stanco e infangato, lei sembra a suo agio, come se avesse già affrontato situazioni simili molte volte.

«Toglietevi i giubbotti e lasciate che mi prenda cura di voi» dice con un sorriso rassicurante. La sua voce calma, il modo in cui si muove nella cucina, tutto parla di una sicurezza che sembra contagiosa.

Una luce soffusa amplifica il senso di pace mentre ci concediamo una veloce doccia purificante e rigenerante. Quando torniamo in cucina, il calore della stufa e l’aroma del cibo ci avvolgono in un abbraccio familiare, facendoci dimenticare il peso delle ultime ore.

Mentre mangiamo, finalmente sento la tensione sciogliersi. La pioggia continua a cadere fuori, ma qui dentro c’è solo il suono delle posate sui piatti e il lieve crepitio di una stufa nell’angolo. È allora che noto le foto appese alla parete. Scatti in bianco e nero mostrano una coppia accanto ad aerei d’epoca, entrambi giovani, sorridenti e pieni di energia. Non riesco a trattenere la curiosità.

«Queste foto…» comincio, indicando la parete. «Siete voi, vero? Lei e suo marito?»

La signora si ferma un momento, il cucchiaio sospeso a metà. I suoi occhi si fanno immediatamente lucidi mentre un sorriso nostalgico le illumina il viso.

«Sì» risponde con un tono che mescola orgoglio e malinconia. «Io e Pietro, mio marito. Abbiamo condiviso una vita intera di voli e avventure.»

Si percepisce nella sua voce un’eco lontana di quei giorni, come se per un attimo fosse di nuovo lassù, tra le nuvole.

La vita non è solo quella che viviamo giorno per giorno ma anche quella che scegliamo di ricordare. E ogni ricordo, come ogni volo, ci accompagna, anche quando siamo fermi

la signora Marina che ci attende all’ingresso di casa. (foto leonardo.ai)

Un amore per il volo senza tempo

«Pietro era un pilota» continua la signora, posando il cucchiaio e sfiorando il bordo della tazza con le dita. «Era dieci anni più grande di me e aveva iniziato a volare negli anni Cinquanta, subito dopo la guerra. All’epoca Grosseto era già una base importante per l’aviazione italiana e lui prestò servizio lì per diversi anni. Volava sui caccia dell’Aeronautica Militare ma il suo sogno era sempre stato quello di esplorare il mondo, non di combattere.» Fa una breve pausa, come persa in un ricordo lontano. «Me lo diceva sempre, sai? Che il cielo era troppo vasto per sprecarlo in guerra.»

«Ha servito in missioni importanti?» chiedo incuriosito.

«Sì, ma non nella guerra mondiale» precisa. «Era troppo giovane. Ha invece partecipato a esercitazioni e missioni di pattugliamento durante la Guerra Fredda. Dopo il servizio militare decise di acquistare questo terreno. L’idea era di costruire un campo volo, un luogo dove la nostra passione potesse continuare senza limiti.»

Veronika interviene con interesse. «E voi volavate insieme?»

«Oh sì» risponde la signora illuminandosi in volto. «Ho imparato a volare grazie a lui. Non era comune per una donna all’epoca, ma Pietro insisteva che il cielo non aveva regole di genere. Abbiamo girato l’Italia e l’Europa a bordo di un piccolo Piper. Ogni volo era un’avventura: ci fermavamo in campi volo remoti, mangiavamo in osterie locali e dormivamo sotto le ali dell’aereo quando non c’erano altri posti disponibili.»

«Che storia stupenda» esclamo, immaginando quella vita di libertà. «E adesso il campo volo è ancora attivo?»

«Lo gestisce la persona con la quale avete parlato a telefono prima. Io non ne faccio più parte, almeno non ufficialmente» spiega. «Da quando Pietro non c’è più, è rimasto solo un luogo dove i vecchi amici vengono a trovarmi, magari per un atterraggio di passaggio. Io mi limito a mantenere in ordine il nostro piccolo hangar con ancora i ricordi di Pietro.»

«Dev’essere difficile continuare da sola» dice Veronika con empatia.

La signora annuisce, ma c’è una nota di malinconia nei suoi occhi. «Lo è. A volte, se chiudo gli occhi, mi sembra quasi di sentire ancora la sua voce nella radio che mi comunica che sta per atterrare. Magari mentre mescolavo la zuppa in cucina, aspettandolo per cena.»

La conversazione con la signora Marina, così scopriamo si chiami, prosegue per tutto il pomeriggio. Restiamo a tavola così a lungo che, quando finalmente ci alziamo per andare a riposare, il cielo è già buio. Fuori la pioggia ha quasi smesso e il silenzio, interrotto solo dal gocciolio sulle grondaie, porta con sé la speranza che il maltempo finisca del tutto durante la notte.

«Domani sarà una bella giornata, ne sono certa» dice l’anziana signora chiudendo le tende e accendendo una lampada che illumina la stanza con una luce calda.

Il pensiero di un cielo sereno e della possibilità di rimettersi in viaggio ci dà un senso di sollievo. Andiamo a dormire con una strana sensazione di pace, nonostante il ricordo ancora vivido del nostro atterraggio d’emergenza.

Il cielo non ha regole di genere, né confini. È un rifugio dove ogni passione può volare libera e ogni storia, anche la più silenziosa, può lasciare la sua traccia.

la cucina della signora Marina (foto leonardo.ai)

Un nuovo giorno sotto un cielo limpido

Quando ci svegliamo la mattina successiva, il tempo è completamente cambiato. La pioggia ha lasciato spazio a un cielo limpido e a un sole che illumina il terreno ancora umido. La casa della signora è silenziosa, interrotta solo dai rumori della natura che sembrano rinascere dopo il temporale.

Dopo una rapida colazione, Veronika rimane in casa con la signora Marina, mentre io e Skippy ci dirigiamo verso il campo volo per controllare il Cessna e dargli una sistemata della quale ha sicuramente bisogno. Mentre camminiamo nel fango ormai quasi asciutto, penso a quanto siamo stati fortunati ad aver trovato un rifugio come questo.

Una volta all’aereo, cominciamo il lavoro di pulizia e controllo.

«Ok, Skippy» dico con tono deciso. «Ora dobbiamo rimettere a nuovo questo Cessna.»

Lei sembra un piccolo manutentore: si posiziona accanto alla cassetta degli attrezzi, pronta a passarmi quello che mi serve. Ogni tanto mi guarda con occhi pieni di determinazione. Altre volte sgrana gli occhi quando le chiedo qualche attrezzo del quale non conosce il nome ma tutto sommato se la cava bene.

Finiti i controlli su motore e, soprattutto, sul carrello inizio a pulire il fango dalla carlinga, mentre Skippy si dedica al parabrezza, strofinandolo con una pezza e dando il meglio di sé.

«Non male» le dico, vedendo che il vetro sta tornando lucido.

Ma quando salgo per controllare l’interno, scopro che i sedili anteriori sono pieni di impronte sporche.

«Skippy!» esclamo con un tono finto indignato. «Hai lasciato le tue firme personali sui sedili!»

Lei mi guarda, inclina la testa, si osserva sotto le zampette, poi scivola giù con aria colpevole ma non troppo. Scoppiamo entrambi a ridere.

Skippy che lava il Cessna (foto Dall-E)

Una lezione di vita e un dono inaspettato

Intanto, in casa, Veronika e Marina conversano davanti a una tazza di tisana.

«Le situazioni di emergenza come quella di ieri sono difficili da dimenticare» dice Veronika, stringendo la tazza tra le mani, ancora leggermente tremanti al ricordo. «È stato tutto così… improvviso. Non mi aspettavo che qualcosa di simile potesse accadere. Non le nascondo che ho avuto paura.»

La signora annuisce con un sorriso comprensivo. «Sai, cara, il volo ha sempre avuto i suoi rischi. Pietro e io ne abbiamo vissute tante. Una volta, durante un volo, il motore si è fermato in piena tempesta. Siamo stati costretti ad atterrare in una radura senza sapere se ci saremmo riusciti. È stata una delle esperienze più spaventose della mia vita ma sai cosa mi ha insegnato? Che se non è la tua ora, tutto andrà bene.»

Veronika la guarda attentamente, colpita dalla sicurezza delle sue parole.

La signora continua: «Anche la morte di Pietro mi ha rafforzato questa mia convinzione. Se il nostro tempo è finito, è finito. Può succedere in cielo, mentre voliamo e facciamo cose che riteniamo pericolose, o anche sul divano di casa. Lui è morto così, sai? Seduto in poltrona mentre guardava il suo programma preferito, dopo aver rischiato la vita in tantissime attività pericolose. La verità è che non possiamo controllare tutto ma possiamo scegliere come vivere il tempo che ci è dato. E questo significa vivere serenamente, senza rimpianti e senza paura.»

Veronika rimane in silenzio per un momento, riflettendo su quelle parole.

«È un modo intenso di vedere le cose» ammette infine. «Ma ha senso. Aiuta a mettere tutto in prospettiva.»

La signora si alza e si dirige verso una credenza.

«Vieni, voglio mostrarti qualcosa.»

Apre una scatola di latta e inizia a tirar fuori delle fotografie.

«Questi siamo noi» dice, indicando le immagini.

Ci sono scatti, in bianco e nero, di una giovane coppia accanto a velivoli d’epoca e foto più recenti con aerei che Veronika non riconosce.

«Volavate su questi?» chiede, incuriosita.

«Sì» risponde Marina con un sorriso nostalgico. «Niente di tecnologico come il vostro Cessna. Non avevamo navigazione elettronica o tablet. Usavamo mappe di carta e in mezzo a una tempesta, credimi, diventavano quasi inutilizzabili. Dovevamo fidarci dei nostri occhi e del nostro istinto. Voi siete fortunati: la tecnologia vi offre strumenti incredibili ma il cielo rimane sempre lo stesso.»

Mentre sposta alcune foto, la signora trova un piccolo anello. Lo prende tra le dita con cura e lo guarda per un momento.

«Questo» dice, mostrandolo a Veronika «mi ha sempre aiutata nei momenti di stress. Pietro me l’aveva regalato il giorno del mio primo volo in solitaria. Mi diceva che tenerlo con me mi avrebbe dato forza e così è stato. Ora voglio che sia tu a tenerlo.»

Veronika scuote la testa, visibilmente emozionata.

«Non posso accettarlo, è troppo importante per lei.»

Ma la signora insiste, prendendo con dolcezza le mani di Veronika e poggiandole l’anello sul palmo.

«Voglio che abbia una nuova storia, con voi. È fatto per volare, non per restare chiuso in una scatola. Io ormai non posso più portarlo lontano. Voglio che lo faccia tu.»

Veronika la guarda, combattuta tra l’emozione e la riluttanza. Alla fine, sorride e annuisce.

«Grazie. Prometto che lo onorerò come merita.»

La vera ricchezza non sta nei luoghi, né nelle cose, ma nei legami che formiamo e nelle storie che condividiamo. Anche il tempo, che sembra inesorabile, diventa un compagno di viaggio quando impariamo a viverlo con serenità.

la scatola con le foto e i ricordi della signora Marina (foto leonardo.ai)

Tra aviatori ci si aiuta sempre

Io e Skippy torniamo verso casa, stanchi ma soddisfatti del lavoro. Quando entriamo, troviamo Veronika e la signora Marina sedute davanti alla stufa, ancora immerse nella loro conversazione.

«Tutto ok» annuncio, togliendomi le scarpe infangate sull’uscio. «Abbiamo controllato e pulito tutto. Il Cessna è pronto a ripartire.»

Veronika sorride, visibilmente sollevata. «Ottimo. Grazie a te e alla tua assistente speciale.» Poi mi mostra l’anello che tiene con cura tra le dita. «Guarda cosa mi ha regalato Marina.»

Osservo l’anello, semplice ma carico di storia. Mi giro verso la signora. «Non so davvero come ringraziarla per tutto quello che sta facendo per noi. Ci sta aiutando più di quanto immagini.»

Marina scuote la testa con un sorriso. «Tra aviatori ci si aiuta sempre. Anche se ormai non volo più, resto una di voi. E vedere giovani come voi continuare a scoprire il mondo mi dà speranza.»

Le sue parole mi toccano profondamente e, per un momento c’è solo silenzio interrotto dal lieve scoppiettio della legna nella stufa.

Cena e condivisione dei nostri piani

La cena di quella sera è semplice ma piena di calore. Marina ci serve una pasta fatta in casa e un piatto di verdure del suo orto. Mentre mangiamo, raccontiamo brevemente le nostre avventure fino a quel momento: il progetto Sky Wander, i luoghi che abbiamo sorvolato e le sfide che abbiamo affrontato per organizzare questa avventura.

Marina ascolta con attenzione e i suoi occhi brillano ogni volta che parliamo di volo.

«Il vostro progetto è straordinario» dice. «Vi ammiro per il coraggio e la determinazione che avete. E dopo Corsica e Sardegna, cosa avete in programma?»

Io e Veronika ci guardiamo per un momento.

«In realtà non lo sappiamo ancora» rispondo. «Abbiamo un’idea generale ma non abbiamo ancora deciso quale sarà la tappa successiva. Stiamo ancora valutando.»

Marina annuisce. «È questo il bello del volo. La libertà di scegliere dove andare e di lasciare che il cielo decida per voi.»

pasta fatta in casa (foto Dall-E)

Un riposo meritato

Dopo cena ci ritiriamo nelle nostre stanze. Prima di salire le scale, mi fermo un attimo sulla soglia della cucina. Marina sta sistemando i piatti, nonostante abbia insistito tanto per lavarli io. Il suo volto è rilassato e sereno, un’immagine che trasmette una profonda calma.

«Grazie ancora per tutto» le dico con sincerità.

Lei mi guarda e risponde con un sorriso caldo. «Buonanotte, esploratore. Anche io ringrazio voi per avermi portato alla memoria tanti ricordi bellissimi di me e Pietro. Siete letteralmente un dono del cielo. Sogni sereni.»

Senza pensarci, la stringo forte in un abbraccio, lasciando che le sue parole risuonino dentro di me. C’è una gratitudine reciproca che non ha bisogno di essere spiegata.

Una volta in camera, il silenzio della notte ci avvolge. Skippy è già accoccolata sul letto, il muso nascosto tra le zampe, il respiro lento e regolare. Io e Veronika ci sediamo sul bordo, senza parlare. È come se il peso di questa esperienza fosse ancora nell’aria, sospeso tra pensieri che faticano a trovare forma.

Sospiro profondamente, cercando di dare ordine a tutto ciò che ho dentro.

«È stato un momento intenso» dico infine, la voce più bassa del solito. «Ma tutto sommato siamo stati davvero fortunati.»

Veronika resta qualche istante in silenzio, poi annuisce.

«Sì… più che fortunati, direi che è stato significativo.» La sua voce è tranquilla ma carica di pensieri. «Marina non è stata solo un incontro. È stato come se sapesse esattamente cosa dirci, come se fosse lì apposta per farci vedere le cose da un’altra prospettiva.»

La guardo, riflettendo sulle sue parole.

«Ti capisco. Non era solo gentilezza, c’era qualcosa di più. Sembrava sapere esattamente cosa dirci, come se ci avesse dato un segnale.»

Veronika incrocia le gambe e si stringe nel maglione, abbassando lo sguardo.

«In questi giorni ho pensato tanto al motivo per cui facciamo tutto questo. Al volo, al viaggio, agli incontri. A volte mi sembra che il viaggio stesso sia solo una scusa… per trovare pezzi di qualcosa che ancora non abbiamo capito.»

Le sue parole risuonano perfettamente con il turbine di pensieri che ho dentro.

«Forse è proprio così. E forse Marina è stata uno di quei pezzi. Sai cosa mi colpisce di più? Il modo in cui ci ha parlato, senza mai farci sentire deboli, senza mai trattarci come se avessimo bisogno di aiuto… ma riuscendo comunque a farci sentire al sicuro.»

Un sorriso sfiora il viso di Veronika.

«Già… Ogni parola aveva il peso giusto, senza bisogno di essere straordinaria.»

Mi appoggio allo schienale del letto e osservo il soffitto.

«Sai cosa mi spaventa di più? Che fino a ieri non avrei nemmeno dato peso a un incontro così. E invece ora mi chiedo quante storie come la sua ho incrociato senza ascoltarle davvero. Quanti insegnamenti ho lasciato indietro, quante prospettive mi sono sfuggite.»

Veronika si sporge leggermente verso di me e mi prende la mano.

«Allora forse è vero che ogni cosa accade per un motivo. Forse era il momento giusto per incontrarla. Per capire.»

La guardo negli occhi, stringendole la mano con un calore nuovo, come se dentro di me si fosse fatto spazio qualcosa che prima non riuscivo a vedere.

«Forse sì. E forse ci saranno altri incontri così. Altri segnali. E noi dovremo solo essere abbastanza svegli per accorgercene.»

Lei sorride appena e, senza dire altro, mi si avvicina e si appoggia alla mia spalla. Il silenzio che segue non è vuoto, non è pesante. È uno di quei silenzi che riempiono, che dicono più di mille parole.

Spegniamo la luce, lasciandoci avvolgere dalla quiete. E per la prima volta dopo giorni, il sonno arriva senza sforzo, come un volo sereno che prende quota nella notte, portandoci lontano dai pensieri e più vicini al domani.

Nel volo, come nella vita, ogni passo è un atto di fiducia. La strada che percorriamo si svela solo quando accogliamo le sfide con il cuore aperto e l’animo pronto a ricevere. È nelle esperienze condivise che troviamo la forza per andare avanti.