Prologo 02
Il vento del mattino soffia leggero tra i vicoli di Bonifacio, trasportando con sé il profumo salmastro delle scogliere e quello più dolce delle boulangerie appena aperte. La luce del sole, ancora bassa, entra a strisce nel piccolo terrazzo dove stiamo facendo colazione.
Il caffè caldo fuma nella mia tazza mentre un pezzo di baguette croccante attende di essere intinto nel miele. Potrebbe essere un momento perfetto se non fosse per quel rumore.
Thump. Thump. Thump.
Alzo lo sguardo dal tablet aggrottando le sopracciglia. Skippy è ferma accanto al muro, sta sbattendo piano la testa contro la pietra con un ritmo ipnotico. Mi fermo con il cucchiaino a mezz’aria e mi volto verso Veronika. “È impazzita?”
Lei sospira e si lascia cadere sulla sedia con un movimento teatrale. “Sta impazzendo come me.” Il tintinnio del suo cucchiaino contro la tazza sottolinea l’esasperazione nella sua voce. “Sono giorni, Camillo. Giorni che siamo fermi qui a Bonifacio. Abbiamo sistemato l’aereo, fatto manutenzione su tutto, ripulito persino le cuffie radio. Io e Skippy vogliamo viaggiare.”
Scrollo le spalle. “La manutenzione era necessaria. Tra oggi e domani arriva il ricambio per il Cessna e saremo pronti a partire. Non si scherza con la sicurezza.”
Veronika sbuffa. “Lo so. Ma noi non ne possiamo più.”
Come per darle ragione Skippy smette di sbattere la testa solo per fissarmi con occhi da martire… poi riprende con ancora più convinzione e più teatralità.
Sospiro e alzo lo sguardo al cielo. Capisco il loro punto di vista. Anche se abbiamo sfruttato questi giorni per mettere a punto ogni dettaglio, la sensazione di immobilità inizia a pesare anche su di me.
“Va bene. Cosa volete fare oggi?”
Veronika si illumina all’istante. “Quella zona con gli antiquari dove non sei voluto andare.”
Ci penso su. In effetti non è una cattiva idea per passare la giornata.
“Va bene. Andiamo.”
Veronika sorride. “Perfetto. Poi magari troviamo qualcosa di buono da mangiare.”
Skippy si blocca all’istante. Le orecchie dritte, lo sguardo vigile. Il richiamo del cibo ha avuto il suo effetto.
L’antiquario
Poco dopo passeggiamo tra le viuzze del borgo vecchio, dove le case di pietra hanno persiane sbiadite e panni stesi tra un balcone e l’altro. Veronika si ferma di colpo. Davanti a noi un’insegna consunta recita: “Antiquités et Curiosités de la Mer.”
Lei sorride. Io no.
L’aria polverosa della bottega mi pizzica la gola non appena varchiamo la soglia. Lo spazio è angusto, traboccante di oggetti accatastati senza alcuna logica apparente. Mappe ingiallite, strumenti nautici arrugginiti, casse misteriosamente sigillate.
Veronika ha già gli occhi che brillano. Io, invece, sento il bisogno di tornare a respirare aria fresca.
“Dai, almeno diamo un’occhiata!” insiste Veronika.
Ma io, che non voglio passare più di due minuti lì dentro, le rispondo: “Va bene, hai visto. Ora possiamo uscire?” prendendola delicatamente per un braccio.
Non faccio in tempo a finire la frase che Skippy si anima di colpo. Con le orecchie tese e la coda vibrante, fissa qualcosa in cima a uno scaffale.
Un secondo dopo balza in avanti.
“Skippy, NO!”
Il tempo rallenta.
Skippy salta su una sedia, rimbalza su un vecchio baule, si arrampica sulla libreria e atterra in malo modo su una pila di oggetti precariamente impilati. Un tonfo secco. Un vecchio manufatto cade a terra e si spacca.
Per un attimo nessuno parla. Poi il negoziante esplode.
“Nom de Dieu! Mais vous êtes fous?!”
Io e Veronika ci affrettiamo a rimettere in piedi gli oggetti ribaltati, mentre Skippy ha infilato la testa dentro il buco da cui è sparito il piccolo topolino che stava inseguendo.
Il negoziante continua a gesticolare e urlare in francese, lamentandosi come se avessimo distrutto un reperto inestimabile.
Io sbuffo, capendo l’antifona. “Ok ok. Le pagheremo i danni.”
Estraggo qualche banconota e la lascio cadere sul bancone fino a quando non percepisco, nei suoi occhi, di aver raggiunto un valore soddisfacente. Poi, con un gesto veloce, raccolgo i cocci e li infilo nello zaino.
“Andiamocene prima che cambi idea.”
Esco dalla bottega con passo deciso, lo zaino più pesante ora che contiene i cocci del manufatto. L’aria fresca mi colpisce il viso ma non basta a far svanire il nervoso.
“Skippy, vieni qui” la chiamo, con un tono più severo del solito.
Lei esce trotterellando ma quando incrocia il mio sguardo abbassa le orecchie e si nasconde dietro Veronika.
“Non puoi combinare guai ovunque andiamo” borbotto, incrociando le braccia.
Veronika prova a calmarmi. “Dai è stato un incidente. Si è solo lasciata prendere dall’istinto, tutto qui.”
“E nel frattempo io ho pagato cento euro per un mucchio di cocci” ribatto.
Lei incrocia le braccia e inclina la testa di lato. “Oh, andiamo! Skippy è stata ferma giorni. Si sta annoiando da morire, poverina.”
Skippy alza appena la testa, annuendo convinta come se volesse ribadire il concetto.
Sospiro e mi passo una mano sul viso, cercando di allentare la tensione. “Lasciamo stare… Ho bisogno di qualcosa di dolce che mi calmi.”
Veronika sorride, cogliendo al volo il cambio di tono. “Allora direi che è il momento perfetto per un gelato.”
Skippy si solleva di scatto io la guardo “non penso proprio che tu lo meriti”.
Gelateria
Dopo qualche minuto troviamo finalmente una gelateria con i tavolini all’ombra affacciati sul porto. Ordiniamo tre coni, quando ci sediamo Skippy si lecca i baffi mentre attende che le diamo il suo cono ma Veronika la guarda: “Prima ti scusi.”
Skippy la fissa per qualche secondo, fissa il cono, poi abbassa la testa e appoggia le zampine sul tavolo, guardandomi con aria colpevole.
Io sbuffo. “Patetica.”
Veronika ridacchia e le allunga il gelato. “Ora puoi mangiarlo.”
Finito il gelato infilo una mano nello zaino per prendere dei fazzoletti ma le dita sfiorano qualcosa di freddo e irregolare. Mi blocco un istante. Poi ricordo: i cocci del manufatto rotto.
Scuotendo la testa. “Ci pensi? Ho pagato cento euro per un mucchio di roba rotta.”
Veronika si sistema meglio sulla sedia. “Vediamo almeno cosa abbiamo comprato.”
Apre lo zaino e tira fuori i frammenti. Ora, sotto la luce del sole, c’è qualcosa di strano tra i pezzi di ceramica scheggiata e di legno. Un dettaglio che prima non avevamo notato.
Veronika inclina la testa e, con delicatezza, apre quello che sembra un doppiofondo nel quale si intravedeva qualcosa. Solleva un pezzo di stoffa, non un semplice pezzo di stoffa: è sottile, logoro ai bordi ma ha una strana lucentezza che lo rende unico.
Veronika lo rigira tra le mani maneggiandolo con cura. Il suo sguardo cambia quando nota il simbolo al centro.
“Aspetta un attimo…”
Skippy si blocca. Le sue orecchie si drizzano, come se avesse captato qualcosa di interessante.
Io continuo a sbuffare ma il silenzio improvviso di Veronika mi spinge a guardarla meglio.
Sta fissando il pezzo di stoffa con un’intensità che non le ho mai visto prima.
“Guarda questo simbolo.”
Passiamo il resto del pomeriggio a passeggiare per Bonifacio ma Veronika sembra avere in mente solo una cosa. Continua a fissare la stoffa, rigirandola tra le mani ogni volta che ci fermiamo. Mi passo una mano sul viso e accelero il passo. Non ho ancora deciso se questa storia mi diverte o mi irrita.
Spoiler: mi irrita.
Prima di rientrare si ferma e mi guarda. “Sento che che potremmo aver trovato qualcosa di importante?”
Notte insonne
Mi sveglio di soprassalto. Veronika non è accanto a me.
Un bagliore fioco filtra dalla porta socchiusa della cucina. Mi passo una mano sul viso, ancora mezzo addormentato. Bonifacio è avvolta nel silenzio, l’unico suono è il fruscio del vento che scivola tra le fessure delle finestre.
Mi alzo con cautela, cercando di non inciampare su Skippy che dorme distesa sul pavimento con la coda avvolta attorno a sé. Quando le passo accanto un asse del vecchio pavimento scricchiola, lei apre un occhio, mi lancia uno sguardo torvo e sbuffa. Poi, con aria teatrale, si rigira dall’altra parte e torna a dormire.
Quando arrivo in cucina trovo Veronika. Seduta al tavolo, un gomito appoggiato sulla superficie di legno, lo sguardo fisso sul tablet. Accanto a lei, un quaderno aperto, pagine piene di annotazioni scritte in fretta, righe sottolineate e schemi mentali che sembrano intrecciarsi come un labirinto.
Mi gratto la testa. “Sono le quattro di notte. Che diavolo stai facendo?”
Lei solleva appena lo sguardo. Gli occhi le brillano di entusiasmo. O forse è solo il risultato di troppe ore senza dormire.
“Devi vedere una cosa.”
La sua voce è carica di eccitazione. Decisamente troppa per quell’ora.
Alzo una mano, categorico. “No, ti prego. Ora no. Domani… promesso.”
Veronika si blocca, le labbra semiaperte, come se avesse già pronto un fiume di parole da riversarmi addosso. La fisso con l’espressione più ferma che riesco a trovare a quest’ora indecente.
Lei sospira. “Va bene. Ma domani mattina devi ascoltarmi.”
“Domani mattina” ripeto, girandomi sui talloni per tornare a letto.
Quando arrivo in camera mi fermo sulla soglia e stringo gli occhi al buio. Qualcosa non torna.
Skippy è sul letto. Ed ha occupato il mio lato.
Sbuffo e, senza nemmeno provare a spostarla, mi infilo dalla parte di Veronika. Tanto so già che lei non tornerà a dormire.
L’alba delle scoperte
Quando mi sveglio l’odore del caffè aleggia già nell’aria. E questo vuol dire solo una cosa: Veronika è ancora sveglia.
Mi trascino in cucina. Stavolta non è sola.
Skippy è accanto a lei sul tavolo, le zampe anteriori posate sul tablet come se stesse leggendo anche lei.
Alzo un sopracciglio. “Dimmi che almeno un po’ hai dormito.”
Veronika scuote la testa, lo sguardo acceso dall’adrenalina.
“Ho trovato qualcosa.” mi dice entusiasta.
Io sbadiglio e mi avvicino alla caffettiera. “Se mi dici che hai trovato l’Arca dell’Alleanza, giuro che torno a letto.”
Lei ignora completamente il mio sarcasmo e mi mette davanti il pezzo di stoffa che abbiamo trovato nella bottega.
“Guarda questo simbolo.”
Lo fisso. Il tessuto è sottile, logoro, ma il segno inciso è ancora visibile.
Veronika prende il pezzo di stoffa e me lo passa con delicatezza. “Guardalo sotto la luce” dice, con quella voce che usa quando sa di avere in mano qualcosa di grosso.
La osservo, scettico, ma faccio come dice.
Avvicino il tessuto alla lampada, inclinando leggermente il polso. La stoffa logora lascia filtrare la luce tra le fibre consumate… e poi vedo qualcosa.
Una linea sottile. Poi un’altra.
Strizzo gli occhi. Non è usura. Non è un caso. Sono lettere.
Parole dimenticate dal tempo.
Mi sfrego gli occhi, come se la stanchezza mi stesse giocando un brutto scherzo. Ma no. Le lettere sono lì. Bene impresse, come un messaggio lasciato apposta per essere trovato nel tempo giusto.
“…su tempus… nos eramus… su tempus… torneremos…”
Allargo gli occhi. “Aspetta… ma ieri non c’era niente del genere. Che significa?”
“Nel tempo eravamo, nel tempo torneremo.” commenta con entusiasmo Veronika, poi aggiunge “Si vede solo in controluce. L’ho scoperto stanotte.”
Mi avvicino e leggo di nuovo: ‘…su tempus… nos eramus… su tempus… torneremos…’ Mi fermo un attimo a riflettere. ‘Nel tempo eravamo, nel tempo torneremo.’ Per la prima volta non so cosa rispondere.
Veronika allarga lo schermo del tablet. Sul display compare una vecchia foto sgranata di un’incisione su roccia trovata in un articolo su Lu Brandali.
«E adesso guarda qui.»
L’immagine è poco chiara ma il simbolo inciso sulla pietra ha delle somiglianze con quello sulla stoffa.
“Il simbolo è molto simile a questo che ho trovato in questa foto di una stele nel sito archeologico di Lu Brandali, vicino Santa Teresa di Gallura. Se fosse legata ai Giganti di Mont’e Prama, sarebbe incredibile. Potrebbe anche essere qualcosa di più recente. Qualcosa che ha lasciato traccia ma che nessuno ha mai collegato prima.” continua lei.
Skippy picchietta la zampa sulla foto, poi mi guarda, poi di nuovo sullo schermo. Continua così, come se non capisse perché ancora non siamo già in volo.
Io sorseggio il caffè con aria scettica. “E quindi?”
Veronika scorre altre immagini. “Secondo alcuni studi, queste incisioni potrebbero essere legate a un culto arcaico. C’è chi le collega ai Giganti di Mont’e Prama, chi alle leggende sulle fate sarde.”
Skippy picchietta la zampa sul tavolo con enfasi, come se avesse già deciso che i giganti sono reali.
Io annuisco lentamente. Non perché abbia capito tutto ma perché ho bisogno che il caffè faccia effetto prima di elaborare qualsiasi teoria.
“E quindi?” ripeto.
“E quindi dobbiamo andare lì!”
Sospiro. “Ma dai Vero. Avevamo deciso di volare su Olbia.”
Lei si sporge in avanti. “Possiamo comunque sorvolare la Costa Smeralda. Facciamo una deviazione, vediamo il sito archeologico e poi riprendiamo la rotta. Ho controllato, si può fare e sarà un’avventura incredibile!”
Skippy batte la zampetta sulla foto. Io sbuffo.
Le osservo. Uno sguardo a Veronika, uno a Skippy.
Veronika ha negli occhi quella luce che so già che non si spegnerà finché non avrà trovato una risposta. Skippy è praticamente un blocco di energia compressa, pronta a esplodere.
Io sono in minoranza.
Anche la mia tazza di caffè se ne rende conto ma purtroppo non ha diritto di voto.
Appoggio la tazza sul tavolo. “Va bene. Prima Santa Teresa, poi Olbia.”
Veronika esulta. Skippy saltella sul tavolo.
Sospiro e mi passo una mano sul viso, rassegnato. Poi do un’occhiata a Veronika, al suo sguardo acceso, a Skippy che ancora fissa il tablet con enfasi. Alla fine mi arrendo: Non lo ammetterò mai ad alta voce ma parte di me sa già che questa deviazione cambierà tutto.