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07 – Diario di Volo Elba Bastia Corsica

Un Risveglio Tardivo e una Sorpresa Inaspettata

l sole filtra già deciso attraverso le tende quando apriamo gli occhi. Le ore piccole trascorse alla Fortezza Falcone si fanno sentire, lasciandoci addosso una piacevole stanchezza. Ci scambiamo uno sguardo assonnato, poi ci affrettiamo: una colazione veloce, gli ultimi controlli e via a raccogliere i bagagli. L’appartamento di Procchio si svuota in pochi minuti ma il ritardo sulla tabella di marcia è ormai inevitabile. Poco male: anche se il nostro piano era di partire al mattino, decollare dopo pranzo ci consentirà comunque di raggiungere la Corsica nel primo pomeriggio.

All’aeroporto di Marina di Campo ci dividiamo i compiti per guadagnare tempo. Io mi occupo della riconsegna dell’auto a noleggio, mentre Veronika e Skippy si dirigono verso la piazzola per controllare il Cessna e iniziare i preparativi. Ognuno sa già cosa fare e il meccanismo ormai rodato del nostro team entra in azione senza bisogno di parole.

Mentre attraverso la hall dell’aeroporto, noto un capannello di persone raccolte attorno al banco informazioni. Le voci concitate e i volti tesi raccontano una storia di disagi e ritardi. Istintivamente, il mio sguardo vaga tra la folla e si posa su due figure familiari: la signora e la giovane nipote con cui abbiamo condiviso la cena alla Fortezza Falcone. Un incontro inatteso che, ne sono certo, porta con sé qualcosa di inaspettato.

È Amandine a notarmi per prima. I suoi occhi si accendono di sollievo e il suo saluto squillante squarcia l’aria carica di tensione.

«Camillo!»

Le sorrido avvicinandomi. «Amandine! Che sorpresa! Tutto bene?»

La sua espressione si spegne all’istante. Scuote la testa, poi si gira verso la zia in cerca di risposte. La donna alza lo sguardo su di me e accenna un sorriso forzato ma nei suoi occhi leggo stanchezza e preoccupazione.

«Non proprio» sospira. «Dovevamo partire stamattina presto ma il nostro charter ha un guasto serio. Dopo ore di attesa ci hanno appena informati che oggi non volerà affatto.»

La sua voce vacilla mentre aggiunge, con un filo di amarezza: «Oggi è il compleanno di mia figlia. Dovevamo essere a casa per pranzo, preparare la festa… e invece ora non so nemmeno se riusciremo ad arrivare in tempo.»

C’è qualcosa di amaro nella rassegnazione della signora, come se ormai avesse accettato l’inevitabile. I suoi occhi si posano per un attimo su Amandine, che gioca nervosamente con la cinghia dello zaino, lo sguardo perso nel vuoto.

«Dove dovete arrivare esattamente?» chiedo.

Lei alza appena le spalle, cercando di tenere a bada l’emozione. «Ovunque in Corsica» risponde con una speranza sottile nella voce. «Mio marito può venirci a prendere.»

Un sorriso mi si allarga sul viso. «Allora oggi è il vostro giorno fortunato. Anche noi stiamo andando in Corsica e abbiamo due posti liberi sul nostro Cessna. Se i vostri bagagli non sono troppi, potete venire con noi.»

Per un attimo la donna mi fissa, incredula. Poi la sua espressione si trasforma. Le labbra si schiudono in un sorriso, gli occhi si illuminano e, senza pensarci, mi stringe in un abbraccio spontaneo.

«Non ci posso credere. È incredibile. Non so davvero come ringraziarvi!»

Amandine, che fino a quel momento era rimasta in silenzio, esplode di gioia. «Possiamo davvero venire con voi? È fantastico!»

Rido, contagiato dal suo entusiasmo. «Certo! Dobbiamo solo assicurarci di arrivare in tempo per la festa.»

Attraversiamo insieme i controlli per i voli privati e ci dirigiamo verso la piazzola, mentre il sole riflette sull’asfalto caldo dell’aeroporto. In lontananza scorgo Veronika che alza lo sguardo nella nostra direzione, incuriosita. La sua espressione si fa interrogativa non appena nota le due nuove compagne di viaggio al mio fianco.

Anche Skippy, sempre vigile, percepisce qualcosa. Con un balzo si volta di scatto, le orecchie tese, poi riconosce Amandine e parte in corsa. La piccola fennec le salta letteralmente in braccio, facendola ridere di sorpresa mentre si stringono in un abbraccio spontaneo.

Veronika mi fissa con un sopracciglio sollevato, pronta a chiedere spiegazioni. Sorrido, già pregustando la sua reazione. A volte i piani cambiano all’improvviso e questa giornata sembra destinata a prendere una piega più interessante del previsto.

Mentre ci fermiamo accanto al Cessna, spiego rapidamente a Veronika la situazione. Ascolta con attenzione, poi un sorriso le illumina il volto.

«Che bello, è la prima volta che voliamo con dei passeggeri!» commenta, gettando uno sguardo complice alla signora. «Mi piace questa novità.»

C’è un entusiasmo sincero nella sua voce, la stessa energia che trasforma ogni imprevisto in un’occasione da cogliere. La signora annuisce, ancora incredula per l’inaspettato cambio di programma. Amandine, invece, è già rapita dalla vista dell’aereo, pronta a vivere l’avventura.

Mentre io e Veronika completiamo l’inserimento del piano di volo e gli ultimi controlli pre-partenza, Skippy si è già presa un ruolo da perfetta padrona di casa. Con un’energia contagiosa, trotterella intorno al Cessna, mostrando ad Amandine ogni dettaglio come se fosse un aereo di sua proprietà.

Lancia un’occhiata alla ragazzina, poi si mette in posa accanto all’elica, aspettandosi chiaramente un’ammirazione adeguata. Amandine ride, accarezzandola sulla testa. «È proprio un piccolo comandante, vero?»

Veronika, senza distogliere lo sguardo dal tablet di bordo, sorride. «Oh sì e prende il suo ruolo molto sul serio.»

Mentre Veronika termina gli ultimi controlli, apro la mappa di navigazione sul tablet e la mostro alla signora. «Ecco il nostro itinerario: partiremo sorvolando l’isola di Capraia, poi ci avvicineremo alla costa settentrionale della Corsica e atterreremo a Bastia-Poretta. Che ne pensa? È un percorso comodo per voi?»

La donna studia la rotta con attenzione, poi annuisce soddisfatta. «Perfetto, anzi, sarà interessante. Non ho mai visto Capraia dall’alto in questo modo. Sarà un’esperienza speciale.»

Amandine, che fino a quel momento è rimasta concentrata su Skippy, si sporge a guardare la mappa. «Passiamo davvero sopra Capraia?»

Le sorrido. «Preparati sarà un bel panorama.»

L’idea di vedere il profilo della Corsica emergere lentamente dal mare mi affascina sempre: c’è qualcosa di magnetico nelle isole quando le osservi dal cielo, come se raccontassero storie antiche scolpite nelle loro coste frastagliate.

in decollo dall’Elba a pieno carico (foto flight simulator 2024)

Sotto il cielo dell’Elba

La costa dell’Elba sfuma lentamente dietro di noi mentre il Cessna avanza deciso sopra il Mar Tirreno, puntando verso Capraia.

Amandine rimane per un attimo in silenzio, lasciandosi avvolgere dall’immensità del mare sotto di noi. Il suo entusiasmo di poco fa lascia spazio a una dolce riflessione, come se solo ora realizzasse appieno il privilegio di vedere la sua isola dall’alto.

«Vivere qui è speciale,» mormora, quasi tra sé e sé. «Ma vederla da quassù… è come riscoprirla con occhi nuovi. Non avevo mai realizzato quanto fosse davvero unica.»

Veronika le sorride, comprendendo perfettamente quella sensazione. «Sai, è una delle cose più belle del volare. Anche i posti che crediamo di conoscere bene, visti dall’alto, diventano nuovi. È come guardarli con una prospettiva completamente diversa.»

Amandine annuisce, mentre il suo sguardo si perde nel blu profondo del mare. Skippy, acciambellata tra le sue ginocchia, sembra percepire il cambio di atmosfera e si rannicchia ancora di più, quasi a volerle fare compagnia in quel momento di riflessione.

«Là davanti,» indico un punto lontano all’orizzonte, «si vede già Capraia

La sagoma dell’isola emerge dalle acque con le sue scogliere ripide e il profilo selvaggio, ancora più affascinante vista da questa prospettiva.

Veronika sfoglia la guida e legge ad alta voce. «Capraia è di origine vulcanica, molto diversa dall’Elba. La sua forma è stata modellata da eruzioni antiche, ed è per questo che le sue rocce hanno colori così particolari.»

Amandine la osserva con occhi nuovi. «Non ci ero mai stata… ma sembra così… solitaria.»

Annuisco. «Lo è. Ed è proprio questo il suo fascino. Un’isola quasi incontaminata, lontana dal turismo di massa, dove la natura detta ancora il ritmo della vita.»

Il Cessna prosegue sulla rotta, lasciandoci il tempo di goderci la vista. Il mare che ci circonda sembra infinito, un tappeto blu che collega le isole in un abbraccio silenzioso.

Poi, oltre Capraia, la costa della Corsica inizia a farsi sempre più visibile. Il nostro viaggio verso l’isola di Napoleone sta per entrare nel vivo.

Un’isola va vista anche dall’alto: ogni baia, ogni scoglio raccontano prospettive diverse.

sopra Fetovaia (foto flight simulator 2024)

Verso Capraia

L’isola di Capraia appare e scompare davanti a noi in un gioco con le nubi. Quando usciamo dall’ultima nuvola la sua forma compatta e selvaggia contrasta con le onde che ne accarezzano le scogliere scure. Amandine non distoglie lo sguardo dal finestrino, rapita dallo spettacolo che si avvicina. Skippy, accoccolata sulle sue ginocchia, sembra condividere lo stesso incanto, le orecchie vigili, come se anche lei percepisse l’energia dell’isola.

«Capraia!» esclama Amandine, il viso illuminato dall’entusiasmo mentre indica l’isola che si fa sempre più vicina. «Ogni volta che ci vado è un’avventura. È così diversa dall’Elba… più piccola, più selvaggia. Sembra un altro mondo.»

Veronika le lancia uno sguardo curioso. «Cosa la rende così diversa?» chiede, inclinando leggermente la testa.

«Prima di tutto è un’isola vulcanica!» spiega Amandine, con l’aria di chi sta svelando un segreto affascinante. «Le sue scogliere sono nere, quasi minacciose, come se appartenessero a un’epoca lontanissima. Mio zio una volta mi ha portata a Cala Rossa… sembra un paesaggio marziano! È tutta roccia lavica, rossa e nera, solidificata dopo l’ultima eruzione.»

Dal sedile posteriore, la signora interviene con un sorriso complice. «Cala Rossa è uno dei luoghi più straordinari di Capraia. Si racconta che proprio lì sia avvenuta l’ultima eruzione, migliaia di anni fa. Le rocce sembrano ancora conservare il calore del fuoco che le ha generate.»

«E poi c’è il porto!» prosegue Amandine con entusiasmo. «È sempre pieno di barche di pescatori. Una volta un vecchio signore mi ha insegnato a pulire i calamari appena pescati… sembrava una cosa complicatissima ma lui lo faceva con una facilità incredibile!»

Veronika sorride. «Quindi è un’isola di pescatori?»

Amandine riflette un attimo. «Sì ma non solo. C’è anche una fortezza, il Forte di San Giorgio. È in cima al paese e da lassù puoi vedere tutto il mare!»

«E la gente com’è?» domando incuriosito.

La signora risponde prima della nipote. «Molto legata alla propria terra. Vivere su un’isola così significa essere abituati alla solitudine ma anche a una comunità forte e unita.»

Amandine annuisce. «La mia mamma dice sempre che è come vivere in una grande famiglia… solo un po’ isolata.»

Il Cessna continua a sorvolare l’isola, lasciando Capraia sempre più indietro. Davanti a noi, l’orizzonte si apre sulla Corsica, ancora avvolta da una leggera foschia. Amandine accarezza Skippy che si è sistemata comodamente sulle sue gambe.

«Non vedo l’ora di vedere anche la Corsica dall’alto» dice con un sorriso sognante. «Chissà come sarà diversa vista da qui…»

Veronika le lancia un’occhiata complice. «Non ci resta che scoprirlo insieme.»
Il motore ruggisce dolcemente, davanti a noi, un’altra terra, un’altra storia, un altro viaggio che sta per iniziare.

Ci sono luoghi dove la natura è ancora padrona, dove il mare e il vento hanno scritto la storia prima dell’uomo.

l’isola di Capraia e Capraia Porto (foto flight simulator 2024)

Corsica: Terra di Storie e Contrasti

Mentre ci avviciniamo alla Corsica, il profilo del promontorio settentrionale emerge dall’orizzonte. Veronika si sporge leggermente in avanti, osservando il paesaggio che prende forma sotto di noi. «Da qui sembra così aspra, quasi inaccessibile…» commenta con curiosità.

Dal sedile posteriore, la signora annuisce con un sorriso consapevole. «La Corsica è sempre stata un’isola di contrasti. Tra mare e montagna, tra chi voleva conquistarla e chi voleva difenderla. È una terra che non si è mai lasciata piegare del tutto.»

Amandine la guarda con occhi attenti. «Mamma dice sempre che avrebbe potuto essere italiana…»
La signora si sistema meglio sulla seduta. «E non ha tutti i torti. La Corsica è stata parte della Repubblica di Genova per secoli. Nel Settecento, però, quando Genova non riuscì più a mantenere il controllo, la vendette alla Francia. Fu annessa ufficialmente nel 1769, pochi mesi prima che nascesse Napoleone Bonaparte. Ironia della sorte, no?»

Veronika si volta sorpresa. «Ecco perché Napoleone era corso di nascita ma francese di fatto.»
«Esatto» conferma la signora. «E lui non dimenticò mai le sue origini. Parlava corso in famiglia ma si formò come francese. Per molti corsi, però, la loro identità è sempre rimasta qualcosa di distinto dalla Francia.»

Sorvoliamo la costa settentrionale, seguendo il profilo frastagliato dell’isola. Il mare si infrange contro le rocce scolpite dal vento e dall’acqua.

«E tutta questa natura selvaggia? È incredibile…» chiede Veronika osservando le montagne che si innalzano nell’entroterra.

La signora sorride. «La Corsica è chiamata l’isola della bellezza per una ragione. Ha una biodiversità straordinaria: boschi di castagni e querce, laghi nascosti tra le montagne, riserve naturali che proteggono animali rari. Qui il tempo sembra essersi fermato.»

Il nostro volo prosegue lungo la costa, ogni isola ha la sua anima ma poche hanno il carattere indomito che sembra mostrare la Corsica, sospesa tra mare e montagna, tra radici antiche e un’identità ancora in lotta con il tempo.

Ogni terra ha la sua storia ma poche hanno il carattere ribelle della Corsica, sospesa tra mare e montagne, tra passato e presente.

la costa del promontorio settentrionale della Corsica

Bastia: Storia e Bellezza

«E quella città laggiù?» domando, indicando il profilo compatto di quella che sembra una cittadina più grande delle altre.

«Bastia,» risponde la signora con un tono che tradisce un legame profondo con quel luogo. «Un tempo era il cuore della Corsica genovese#Il_dominio_in_Corsica). La città è nata attorno alla sua fortezza, la bastiglia da cui prende il nome. Ma Bastia non è solo un porto: è memoria, orgoglio e tradizione.»
Sorvoliamo la costa, seguendo il profilo del Vieux Port, il vecchio porto.

«Quando ero bambina,» riprende la signora, «mia nonna mi portava al mercato di Saint-Nicolas. Mi diceva sempre: Per capire un popolo, devi guardare come mangia. Il mercato era un trionfo di profumi: il miele di castagno, la coppa affumicata, il formaggio brocciu ancora fresco…» Chiude per un attimo gli occhi, quasi assaporando quei ricordi.

Veronika sorride. «Skippy impazzirà con tutte queste nuove cose da assaggiare.»

La signora sorride. «Immagino di sì, non dimentichiamo il vino però. La Corsica ha vigneti tra i più antichi di Francia. Qui vicino si producono alcuni dei migliori vini corsi, come il Patrimonio, un vino che racchiude il carattere dell’isola: forte, deciso, con un’anima che non si piega.»

Sorvoliamo la Citadelle, il cuore antico di Bastia. Le mura sembrano scolpite dal vento e dal tempo, proteggendo i vicoli stretti e le chiese barocche nascoste tra le ombre.

«Vedete quella torre laggiù?» chiede la signora, indicando una costruzione di pietra affacciata sul mare. «È la Torre della Parata. Un tempo, queste torri erano le sentinelle dell’isola. I genovesi le costruirono per avvistare i pirati barbareschi che arrivavano dal mare. Bastava accendere un fuoco e l’allarme si propagava lungo tutta la costa.»

Amandine, che fino a quel momento è rimasta in silenzio, si sporge per osservare meglio. «Come un sistema di segnali?»

«Esatto,» conferma la zia. «E pensa che alcune di queste torri genovesi sono ancora in piedi dopo secoli. La Corsica non dimentica la sua storia. Ne vedrete sicuramente tante lungo la costa durante i vostri voli.»
«Vedi laggiù?» aggiunge la signora con un sorriso. «Quella è la strada che porta verso l’entroterra. Non molti sanno che i veri villaggi corsi non sono sulla costa ma arroccati sulle montagne, come quello dove viviamo noi. Un tempo, era troppo pericoloso vivere vicino al mare… troppi invasori, troppi predatori. La Corsica ha imparato a difendersi.»

Amandine la guarda con ammirazione. «Sai tantissime cose sulla tua isola.»

Lei sorride, lo sguardo che si perde sulle colline lontane. «Perché la Corsica non è solo un posto. È radici, è resistenza. Ed è casa.»

Ci avviciniamo all’aeroporto di Bastia-Poretta, che sorge poco oltre la bellissima laguna a sud di Bastia.

Ogni città porta i segni del tempo ma alcune li portano con fierezza. Bastia è una di queste.

Bastia vista dall’alto con i suoi porti. (foto flight simulator 2024)

Un Atterraggio e un Invito Speciale

Veronika prende contatto con la torre dell’aeroporto Bastia-Poretta. La sua voce è calma e sicura mentre comunica i dettagli del nostro arrivo. Dopo pochi secondi riceviamo l’autorizzazione all’atterraggio.
«Pista 34 autorizzati per l’atterraggio» ripete lei, rivolta a me. Annuisco, concentrato, mentre inizio il circuito di discesa. Il motore del Cessna si abbassa di tono e, con movimenti fluidi, allineo l’aereo alla pista.

Dal sedile posteriore, Amandine osserva ogni mio gesto con gli occhi spalancati. Dopo un attimo di esitazione, chiede: «Devi abbassare il carrello?»

Sorrido senza distogliere lo sguardo dagli strumenti. «No, nel nostro Cessna il carrello è fisso. Gli aerei più grandi hanno un carrello retrattile per ridurre la resistenza dell’aria ma per un velivolo piccolo come il nostro non è necessario.»

Lei annuisce, seguendo con attenzione i miei movimenti. «E quella parte delle ali che hai abbassato poco fa… a cosa servono?»

«Ottima domanda!» rispondo con un’occhiata veloce allo specchietto retrovisore per vederla meglio. «Si chiamano flap, aumentano la portanza e la resistenza. Diciamo che… permettono al nostro aereo di restare in aria anche a velocità più ridotta, come quando stiamo atterrando.»

Amandine scruta fuori dal finestrino, osservando i flap inclinati sul bordo d’uscita delle ali. Poi, con una punta di esitazione, aggiunge: «Ma… come fai a far salire e scendere l’aereo?»

Sorrido. «Questa specie di volantino si chiama cloche o yoke ed è come un joystick. Oltre a ruotarlo per virare, posso spingerlo avanti per abbassare il muso o tirarlo indietro per far salire l’aereo.» Per darle una dimostrazione, esercito una leggera pressione all’indietro e il muso del Cessna si alza appena, prima di tornare nella posizione corretta.

«Ohhh!» esclama lei, incantata dalla semplicità del movimento.

La signora le lancia uno sguardo divertito. «Attenta, Amandine… se rimani troppo affascinata, finirai per voler diventare pilota anche tu!»

Amandine ride. «Così posso venire da voi quando voglio, zia.» Poi torna a concentrarsi sulla pista che si avvicina rapidamente. Il silenzio si fa più denso quando entriamo nella fase finale della discesa.

L’ospitalità è il cuore di ogni viaggio: chi parte per scoprire il mondo, spesso scopre anche le persone.

l’atterraggio all’aeroporto di Bastia (foto flight simulator 2024)

Il Cessna si avvicina alla pista. Le ruote toccano l’asfalto con un leggero sobbalzo. Riduco la potenza e lascio che l’aereo rallenti naturalmente, mentre la pista scorre veloce sotto di noi.

Un applauso spontaneo esplode dal sedile posteriore. «Il mio primo atterraggio in un piccolo aereo!» esclama Amandine, radiosa.

Lascio la pista principale e mi dirigo verso l’area di parcheggio. Dopo aver spento il motore, un silenzio quasi irreale avvolge l’abitacolo.

La signora rompe la quiete con un sorriso caloroso. «Voglio che questa notte siate miei ospiti. Non voglio sentire ragioni. Avete reso possibile qualcosa che temevo fosse ormai perso: essere a casa in tempo per la festa di mia figlia. Non posso ringraziarvi abbastanza.»

Veronika si gira sorpresa. «Ma non vogliamo disturbare… davvero non c’è bisogno.»

La signora scuote la testa, decisa. «È già deciso. Dormirete da noi stanotte e domani vi accompagneremo volentieri all’aeroporto, magari dopo una visita a Bastia. Viviamo a Corte, una cittadina in montagna, piena di storia e tradizioni. È un posto unico e sono sicura che ve ne innamorerete.»

Veronika sorride, conquistata dalla sua energia. «Allora accettiamo con piacere. Saremo felici di darvi una mano per i preparativi della festa. Io e Skippy siamo ottime assistenti.»

Amandine esplode in un sorriso radioso. «Fantastico! Così potrò far conoscere Skippy a mia cugina. Ne sarà felicissima!»

Quando usciamo dall’aeroporto, troviamo un uomo che ci aspetta accanto a un grande SUV nero. È il marito della signora, che ci accoglie con una stretta di mano calorosa.

«Camillo e Veronika… grazie davvero» dice, prima di stringerci in un abbraccio spontaneo. «Non avremmo mai immaginato un gesto così generoso. Sarete i benvenuti nella nostra casa.»

Ci dirigiamo verso Corte, mentre le strade si snodano tra montagne imponenti e boschi fitti. La signora, ormai sollevata, racconta come questa giornata sia diventata speciale nonostante gli imprevisti. Veronika e Amandine discutono i piani per aiutare con i preparativi della festa, mentre io mi perdo nel paesaggio che scorre fuori dal finestrino.

L’ospitalità della famiglia ci fa sentire già a casa, pronti per una nuova avventura che inizia con la festa di stasera.

06 – Diario di Volo Piombino all’Elba

Un dolce risveglio

Ci svegliamo al profumo di caffè e biscotti appena sfornati. La signora Marina ci accoglie in cucina con un sorriso caloroso e un vassoio colmo di bontà fatte in casa. È un’immagine che scalda il cuore e che già so rimarrà impressa nella memoria. Mi avvicino, le passo un braccio intorno alle spalle e, con affetto sincero, le dico:

«Ma tu sei un angelo o cosa?»

Lei ride schermendosi con un gesto della mano ma il rossore sulle sue guance racconta quanto le faccia piacere il complimento. Seduti a tavola, tra una tazza di caffè e i suoi biscotti buonissimi, ricordiamo a Marina i nostri piani odierni.

«Oggi si vola verso l’Elba» le dico con entusiasmo. «Un giro che ci porterà sopra i luoghi che non siamo riusciti a vedere ieri. E poi una giornata sull’isola.»

Il suo sorriso si allarga. «L’Elba è bellissima vista dal cielo. Sarete fortunati a vederla così.»

Dopo colazione arriva il momento dei saluti. Marina ci stringe in un abbraccio caldo, poi si china verso Skippy che emette un piccolo verso emozionato. Accarezzandole il capo, le sorride con dolcezza. «Anche a te, mia piccola viaggiatrice speciale.»

Usciamo nel fresco del mattino e ci dirigiamo verso il piccolo campo di volo a due passi. Il Cessna 172 ci attende sotto un cielo che si sta aprendo dopo i giorni di maltempo.

Mentre mi preparo per il decollo il sole si alza alla nostra sinistra tingendo l’orizzonte di arancio e oro. Sono le otto del mattino e l’aria è fresca, quasi frizzante. Qualche nuvola qua e là ricorda le tempeste recenti ma il peggio sembra passato.

Accendo il motore. Veronika e Skippy si sistemano; la prima con lo sguardo puntato verso l’orizzonte, la seconda con le orecchie dritte pronta all’avventura.

«Andiamo» dico con un sorriso.

Il velivolo prende velocità lungo la pista d’erba. L’abbraccio di Marina si dissolve alle nostre spalle, mentre davanti a noi si apre il cielo e il richiamo dell’avventura.

Appena decollati indico a Veronika ciò che attira la mia attenzione.

«Guarda quanto sono grandi quelle pale eoliche vicino alle ciminiere sulla costa. Saranno parte del parco eolico tra Piombino e Follonica. Un contrasto interessante tra vecchio e nuovo.»

Ogni partenza porta con sé un addio ma anche la promessa di un nuovo inizio. Ogni incontro lascia un segno, ogni viaggio un ricordo da custodire.

pronti al decollo con la casetta di Marina come sfondo (foto flight simulator 2024)

Il Tempo di Fermarsi

Mentre voliamo verso Piombino, per un attimo, non mi concentro sulla rotta. Il mio pensiero torna a Marina. Alle sue parole semplici ma pesanti come sassi lanciati nell’acqua, capaci di creare onde che si allargano dentro di noi.

«Sai, Vero…» dico, rompendo il silenzio che si era creato mentre le pale eoliche scorrevano alla nostra sinistra. «Carlo e Irina ci hanno insegnato ad andare avanti, a puntare sempre al prossimo volo, alla prossima meta. Ma Marina… Marina ci ha mostrato un’altra cosa.»

Veronika si gira verso di me, l’aria assorda e pensierosa. «Cosa intendi?»

«Forse il viaggio non è solo andare avanti» dico, riflettendo a voce alta. «A volte, più che avanzare, serve fermarsi. Ascoltare. Respirare.»

Lei annuisce lentamente, come se stesse interiorizzando quelle parole. «Intendi come quando si legge un libro? Non puoi solo sfogliare le pagine in fretta per sapere come va a finire. Devi fermarti, rileggere un passaggio, lasciare che ti entri dentro.»

Sorrido. «Esatto. Marina non ci ha dato risposte. Ci ha dato tempo. Tempo per accettare quello che è successo. Per capire che ogni esperienza ha bisogno di sedimentare prima di poterci cambiare davvero.»

Veronika rimane in silenzio per qualche istante, poi guarda fuori dal finestrino. «Dovremmo ricordarcelo più spesso» dice infine. «Ogni viaggio lascia un segno ma quel segno diventa davvero parte di noi solo quando gli diamo spazio per esistere.»

La nostra rotta ci sta già portando avanti ma questa volta con qualcosa in più. Non solo il desiderio di scoprire ma la consapevolezza che ogni viaggio merita di essere ascoltato.

Arriviamo sopra Piombino e decido che oggi racconterò quel che ricordo a Skippy.

«Guarda lì» le dico indicandole il centro storico mentre lei si alza appena sul sedile con le orecchie dritte. «Quella è Piombino, una città con radici antiche.»

«Che tipo di radici?» chiede Veronika seguendo il mio sguardo.

«Beh, un tempo era un’importante base degli Etruschi» spiego. «Sai che la chiamavano Populonia? Era famosa per le sue fonderie di ferro. Pensa: qui si lavorava il minerale che arrivava dall’Isola d’Elba e si dice che i fuochi delle fornaci fossero visibili anche dall’altra parte del mare.»

«Non lo sapevo» dice Veronika. «E poi cosa accadde?»

«Con il tempo il ruolo di Piombino cambiò. Durante il Medioevo divenne un piccolo stato indipendente governato dalla famiglia Appiani che costruì gran parte della città che vediamo ancora oggi. Vedi quella fortezza laggiù? Quella è una delle loro eredità.»

Sorvoliamo la costa con il mare che si apre davanti a noi come una distesa infinita.

«Sai poi che…» aggiungo «durante la Seconda Guerra Mondiale Piombino è stata una delle prime città a opporsi ai nazisti. I suoi cittadini hanno combattuto per la libertà e oggi la città è decorata con la Medaglia d’Oro al Valor Militare

Veronika sorride. «Non mi avevi raccontato nulla di questo quando venimmo qui per imbarcarci.»

«L’ho letto sul traghetto ma ero più concentrato sulla moto e sul viaggio. Non ci ho pensato a raccontartelo, scusa.»

Il Cessna continua il suo percorso verso il mare aperto. Il blu intenso ci avvolge e, all’orizzonte, si vede chiaramente la costa dell’Elba.

«Là, sull’Elba, ci aspettano nuove storie» dico, guardando avanti. «Ma intanto… godiamoci questo momento.»

Il motore ronza costante mentre ci lasciamo alle spalle Piombino e ci dirigiamo verso l’isola.

Il viaggio non è solo movimento, è anche pausa. È nel tempo che ci concediamo per fermarci che comprendiamo davvero ciò che il cammino ci ha lasciato.”

l’isola d’Elba all’orizzonte (foto flight simulator 2024)

L’Elba Dall’Alto: Ricordi e Storie

Sorvoliamo il mare e la costa dell’isola si avvicina sempre di più.

«Quella è Cavo» dico indicando il piccolo porto. «Da quassù sembra quasi un disegno tutto così ordinato e tranquillo.»

Veronika si sporge appena verso il finestrino con un sorriso nostalgico. «Sai, Skippy, mi ricordo quando ci siamo arrivati in moto per la prima volta. Eravamo stanchi e affamati e quel minuscolo bar sulla spiaggia ci salvò. Cami, ricordi cosa ci disse il proprietario?»

«Non proprio» rispondo con aria interdetta, quasi scusandomi.

«Ci disse che Cavo era uno dei primi porti romani dell’isola, uno scalo per il trasporto di ferro e minerali. E che, lassù, c’era una villa con una terrazza affacciata sul mare. Mi sarebbe piaciuto vederla, immagina vivere lì, in un’epoca così lontana.»

Skippy si alza sulle zampe, osservando attentamente il promontorio.

«Anche lei è curiosa» commenta Veronika. «Chissà se riconosce qualcosa nel paesaggio!»

«Forse» rispondo sorridendo. «Io invece ricordo benissimo quella stradina sterrata che portava su in collina. Ci fermammo a scattare foto perché da lì si vedevano la Corsica e Capraia. Ma non la riconosco vista dall’alto.»

Ogni luogo racchiude storie che il tempo non ha cancellato.

arrivo sull’isola d’Elba sul porto di Cavo (foto flight simulator 2024)

Rio Marina: La Terra Rossa dell’Elba

Passiamo oltre, lasciando Cavo alle spalle, e la costa rossa di Rio Marina si svela sotto di noi.

«Guarda quelle scogliere» dico. «Brillano al sole, come se trattenessero ancora la memoria del ferro. Secoli di estrazioni hanno dato all’Elba la sua fama. I romani usavano questo minerale per forgiare armi e strumenti.»

«Esatto» risponde Veronika. «E poi vennero i Medici. Sotto il loro dominio l’attività mineraria raggiunse il culmine. Hai notato come si vedono ancora i segni delle cave? Sono come ferite antiche lasciate sulla terra.» Poi si perde a osservare il porto che da quassù sembra una cartolina.

«Lì ci siamo fermati a mangiare quel giorno, ricordi? Pesce freschissimo e vino bianco locale.»

«Ricordo con piacere la passeggiata sul molo» aggiungo. «Ho dei ricordi bellissimi.»

Mentre le prendo la mano, intreccio le nostre dita.

Le terre raccontano la loro storia attraverso i segni del tempo. Ogni scogliera, ogni miniera abbandonata è una pagina aperta su un passato che continua a vibrare nel presente.

Rio Marina vista dal Cessna (foto flight simulator 2024)

Porto Azzurro: La Baia dei Contrasti

La vista della baia di Porto Azzurro ci lascia per un attimo in silenzio. Le barche sono ormeggiate come se galleggiassero su un tappeto di cristallo.

«Porto Azzurro» dico con un sorriso. «Ricordi cosa ci raccontarono sul forte spagnolo?»

«Sì» risponde Veronika. «Il Forte San Giacomo fu costruito nel Seicento per difendere l’isola dai pirati. Disse che da lì si poteva controllare tutta la baia. Un punto strategico incredibile.»

«Pensare che oggi quel forte è un carcere crea un contrasto interessante, no? Da baluardo contro i pirati a prigione.»

Veronika si volta verso di me con gli occhi pieni di ricordi. «Ci sono così tante storie in ogni angolo di quest’isola e sono felice di avere anche tanti nostri ricordi che posso raccontare.»

«Già. Ora è bello vedere tutto da questa nuova prospettiva» rispondo. «Come se ogni luogo ci stesse svelando un lato diverso di sé.»

Il Cessna prosegue tranquillo verso Capoliveri, il borgo arroccato sulla collina che ospita alcuni dei ricordi più belli di quel viaggio in moto.

Ci prepariamo a scoprire come l’isola continuerà a sorprenderci.

Visto dall’alto Porto Azzurro ci ricorda che passato e presente convivono in un equilibrio sottile.

sulla costa verso Porto Azzurro (foto flight simulator 2024)

Capoliveri: Il Borgo tra Storia e Panorami

Capoliveri si staglia sulla cima della collina, circondato da vigneti e uliveti. Le sue case color pastello sembrano adagiate con cura, e le stradine che si arrampicano verso il cuore del paese disegnano un labirinto di storia e tradizioni.

Indicando la piazza principale mi lascio andare ai ricordi.

«Questo, Skippy, è il punto migliore dove abbiamo ammirato il tramonto sull’Elba. Da lì si vedeva il mare, la costa, persino Montecristo e Pianosa

Sorvoliamo lentamente il borgo, e il ricordo di quel tramonto si intreccia ai tetti colorati, come se il tempo avesse posato qui la sua luce dorata.

«Sai che Capoliveri ha origini etrusche?» aggiungo. «Il suo nome deriva probabilmente da Caput Liberum, che significa ‘collina sacra a Bacco’. La vite qui non è mai mancata, e i Romani continuarono la tradizione della produzione del vino.»

Veronika osserva il panorama sotto di noi.

«Non mi sorprende. I vigneti sono ovunque e anche oggi il vino elbano è famoso, e ricordo bene sia anche buonissimo.»

«Esatto. Pensa che il vino Aleatico dell’Elba è uno dei più antichi della Toscana. Si dice che Napoleone stesso ne fosse un grande estimatore.»

Sorvoliamo la piazza dove una volta sostammo per un aperitivo prima del tramonto. Da lì la vista si apre in un panorama stupendo.

«Ricordi quando ci raccontarono della leggenda di Capoliveri e del suo pozzo d’oro?»

«Vagamente» risponde Veronika, incuriosita.

«La leggenda narra di un pozzo nascosto nelle campagne che un tempo custodiva un tesoro. Si dice che gli abitanti lo abbiano sigillato per proteggerlo dai pirati saraceni. Nessuno l’ha mai trovato, ma storie come queste aggiungono un pizzico di magia al luogo.»

Passiamo sopra i vicoli stretti animati da negozi di artigianato e piccole botteghe.

«Anche Capoliveri era un importante centro minerario durante il Medioevo» aggiungo. «Non solo ferro, ma anche rame e pirite. I minatori lavoravano nelle gallerie scavate sotto la collina, e alcune di queste sono ancora visitabili oggi. La comunità qui è sempre stata forte e unita. Ogni festa, ogni evento sembrava un modo per celebrare la resilienza di questo borgo.»

A Capoliveri, il vino, le leggende e le miniere raccontano una terra che non ha mai smesso di resistere e trasformarsi.

il paesino di Capoliveri (foto flight simulator 2024)

Verso Lacona: Ricordi e Emozioni

Lasciamo il borgo lentamente alle spalle, iniziando la discesa verso Lacona. Superiamo il promontorio e il suo verde intenso.

«Ed eccola, la ‘nostra’ spiaggia, una delle più lunghe dell’isola» dico. «Arrivammo stanchi dal viaggio, piantammo la tenda e andammo in spiaggia che era quasi il tramonto.»

Veronika sorride. «E mangiammo la pizza in riva al mare, seduti sulla sabbia. Scattammo quella nostra foto che è una delle mie preferite.»

Il volo continua sereno, un clima completamente diverso da quello dei giorni scorsi avvolge la cabina. I ricordi e la vista di questi luoghi da questa nuova angolazione danno emozioni forti, e Skippy sembra entusiasta di ascoltare i nostri racconti.

Salgo di quota verso il passo che ci porterà a Portoferraio. Il mare riappare in lontananza dopo il crinale, un segno che l’Elba non smetterà mai di sorprendere chi sa guardarla con occhi curiosi.

Portoferraio: Il Cuore dell’Elba

Superato il passo, iniziamo la dolce discesa verso Portoferraio, il capoluogo dell’isola. Le case si arrampicano lungo la collina, abbracciate dalle mura medicee con i loro secoli di storia. Il porto riflette il sole che si abbassa lentamente sull’orizzonte.

«Qui arrivammo con il traghetto. La nostra moto era piena di bagagli e noi eravamo impazienti di scoprire l’isola.»

Veronika aggiunge. «Ricordo perfettamente quella giornata. Era estate piena e l’odore del mare si mescolava con il profumo di caffè dei bar lungo il molo. Era un’atmosfera che sembrava fatta apposta per accoglierci.»

Scendendo di quota, sorvoliamo il porto e il profilo delle Fortezze Medicee si fa più nitido.

«Skippy, pensa che queste mura furono volute da Cosimo I de’ Medici. Portoferraio era un punto strategico fondamentale per proteggere l’Arcipelago Toscano dalle incursioni dei pirati. Cosimo lo chiamava Cosmopolis, la sua città ideale.»

Veronika aggiunge. «È incredibile pensare a quanta cura abbiano messo nella sua costruzione. Non era solo una fortezza ma un vero gioiello di architettura militare.»

«Esatto. Le mura non solo proteggevano ma integravano la città. Forti come il Forte Stella, il Forte Falcone e la Torre della Linguella formavano un sistema difensivo che resiste ancora oggi.»

Il Cessna plana dolcemente mentre attraversiamo l’ultimo tratto di cielo sopra Portoferraio.

«Davvero l’anima dell’Elba» dico. «Un luogo che sa accoglierti, proteggerti e raccontarti la sua storia, tutto allo stesso tempo.»

Lasciamo il porto alle nostre spalle e la costa ci porta verso la parte più alta dell’isola.

“Portoferraio non è un intreccio di storie e strategie. Le sue mura raccontano di un passato di difesa, mentre le sue acque accolgono chi arriva, rivelando l’anima dell’Elba.”

Portoferraio visto dal cessna (foto flight simulator 2024)

L’Elba: Borghi e Panorami fino al Monte Capanne

Sorvoliamo la costa e Biodola con la sua spiaggia ampia e le acque limpide che sembrano invitarci a tuffarci.

«Che voglia di tornare a farmi un bagno lì» dico a Veronika indicando la baia sottostante. «Quella, Skippy, è una delle spiagge più famose dell’isola, ma in estate è spesso molto affollata.»

La rotta ci porta sopra Procchio, un altro gioiello incastonato sulla costa.

«Questa dovrebbe essere Procchio, dove abbiamo affittato la camera per questa notte. Da qui si vede che è piccola, ma ricordo una storia interessante letta sul sito dove ho prenotato. Si dice che proprio qui, al largo, siano stati trovati i resti di un’antica nave romana. Trasportava anfore piene di vino e olio, risalenti al II secolo a.C.»

Passiamo poi sopra Marciana Marina con il suo piccolo porto e la torre pisana che domina la scena. Non ricordo molto su questo borgo, così chiedo a Veronika:

«Hai letto qualcosa di interessante su Marciana Marina?»

Lei prende la guida e legge:

«Era uno dei borghi preferiti dagli artisti negli anni ’50. La sua tranquillità e la bellezza del paesaggio attiravano pittori e scrittori da tutta Europa.»

«Si capisce» rispondo osservando la costa che si tuffa dolcemente nel mare. «Ha un fascino autentico, senza tempo.»

Proseguiamo e inizio a prendere quota avvicinandomi al Monte Capanne, la vetta più alta dell’Elba, preparandoci a scoprire un panorama che lascia senza parole.

Monte Capanne: La Vetta dell’Elba

Dopo la salita, arrivati in corrispondenza della cima più alta dell’isola, a 1019 metri, mi lascio andare a un ricordo:

«L’ultima volta ci siamo arrivati con la cabinovia.»

Veronika ride. «Cabinovia? Quei cestini di metallo gialli sembravano appena abbastanza robusti da reggerci.»

«Un’esperienza intensa… ma che vista da lassù.»

Questa volta, però, la salita è stata diversa. Il panorama è mozzafiato: sotto di noi si stende l’intera Isola d’Elba, circondata da un mare che brilla come se fosse disseminato di gemme.

«Guarda a sinistra» dico a Veronika, indicando il pendio scosceso che si tuffa verso Marciana. «Da qui si vedono tutti i borghi che abbiamo sorvolato.»

Lei annuisce, gli occhi fissi sul panorama.

«È ancora più splendido di quanto ricordassi. Vedere tutto da qui, così… ti fa sentire piccolo ma in modo bellissimo.»

Il Monte Capanne si staglia maestoso, le sue rocce sembrano conservare le impronte del vento e le carezze del tempo.

«Là c’è Lacona» dico, indicando in lontananza. «E oltre, la costa che si perde nel blu.»

Iniziamo la discesa verso l’aeroporto con la bellezza di questo luogo che ci avvolge, lasciandoci in silenzio, mentre ci prepariamo per l’ultimo tratto del nostro volo sull’Elba.

Dall’alto del Monte Capanne l’Elba si svela in tutta la sua bellezza. Qui, tra rocce scolpite dal vento e orizzonti infiniti, la grandezza della natura ci ricorda quanto sia preziosa ogni prospettiva.

la vista dal monte Capanne (foto flight simulator 2024)

Il Ritorno a Terra

Durante la discesa dal Monte Capanne, indico un piccolo sentiero che serpeggia tra le rocce verso il mare.

«È quel percorso di trekking che ci consigliarono, ricordi? Dicevano che portava a una caletta nascosta.»

«Ricordo» risponde lei. «Non abbiamo mai avuto tempo per esplorarlo, ma forse Skippy sarà vogliosa di farlo oggi.»

Ci giriamo verso Skippy, che sgrana subito gli occhi, attenta com’è a evitare qualsiasi attività fisica non strettamente necessaria. Scoppiamo a ridere, poi Veronika conclude:

«Forse è meglio così. Alcuni segreti è bello lasciarli intatti.»

Scivoliamo dolcemente verso la costa sud-occidentale mentre mi allineo al piccolo aeroporto vicino La Pila, immerso tra il verde della pineta e il blu del mare.

«Eccolo, il nostro prossimo approdo» dico con un sorriso. «Da qui si conclude questo giro sull’Elba

Il Cessna si avvicina, il mare e il cielo si riflettono ancora negli occhi di Veronika, mentre Skippy osserva dal suo posto, con le orecchie dritte e lo sguardo attento. Sa che il volo sta per concludersi.

Le ruote toccano terra con un leggero sobbalzo e il motore ruggisce per un ultimo istante, prima che il velivolo rallenti lungo la pista. La sensazione di essere tornati a terra porta con sé una calma dolce, quasi una promessa che l’avventura non è finita, ma ha solo cambiato ritmo.

Spengo i motori e un silenzio ovattato ci avvolge. Veronika si slaccia la cintura e si gira verso di me.

«Sai, non importa da dove la guardiamo: dall’alto, dal mare o dalla terra… l’Elba riesce sempre a sorprendermi.»

Usciti dal velivolo, una brezza leggera ci accoglie. Scarichiamo i bagagli con calma, pronti per il resto della giornata sull’isola.

Ma prima, ci fermiamo un istante, guardando il cielo che sembra abbracciare l’Elba. È un momento di pura quiete, il perfetto epilogo di questo volo.

Ogni viaggio ci trasforma ma è nel momento in cui torniamo a terra che capiamo davvero ciò che abbiamo vissuto.

05 – Diario di volo Orbetello Piombino

Un risveglio ventoso

L’aria nella stanza è più fredda del solito. Il vento sbatte contro le tapparelle con colpi irregolari, quasi inquietanti. Un brivido inspiegabile mi attraversa la schiena mentre mi rigiro tra le lenzuola. È una di quelle mattine in cui senti che qualcosa non va ma non sai ancora cosa.
Allungo la mano verso il comodino, prendo il telefono e controllo subito le previsioni meteo: le notizie non sono incoraggianti. Nubi compatte e vento in aumento segnalano un peggioramento deciso ma c’è ancora una possibilità. Se ci muoviamo subito dovremmo riuscire a decollare prima delle 10 e raggiungere l’Elba entro un’ora in tempo per evitare il peggioramento previsto dopo pranzo.
Mi volto verso Veronika che dorme ancora tranquillamente accanto a me. «Vero, svegliati» le dico sottovoce cercando di non spaventarla. Lei si stiracchia lentamente aprendo appena gli occhi. «Tutto ok?» mi chiede con voce ancora impastata dal sonno.
«C’è vento e le condizioni meteo non sembrano il massimo» le rispondo mantenendo un tono calmo ma diretto «ma possiamo farcela ad arrivare all’Elba se ci muoviamo adesso.»
Lei annuisce tirandosi su e iniziando a prepararsi. L’atmosfera nella stanza è sospesa tra eccitazione e incertezza. Mentre raccogliamo le ultime cose Skippy, ancora assonnata, ci osserva seduta in un angolo del letto con lo sguardo che segue ogni nostro movimento. Una volta caricati gli zaini, lei ci trotterella dietro meno vivace del solito ma pronta ad affrontare la giornata.

Dopo aver caricato tutto nel taxi, ci mettiamo in viaggio verso il campo volo dove avevamo lasciato il Cessna. Il tragitto è breve ma il tempo sembra dilatarsi. Guardo il cielo più volte mentre viaggiamo: non sembra minaccioso, solo una leggera coltre di nubi che si muove veloce accompagnata da una brezza persistente. Eppure quella brezza sembra insinuarsi nei miei pensieri, riportandomi sempre alla stessa domanda: «Stiamo facendo la scelta giusta?»

Pronti al decollo

Arrivati all’aviosuperficie, il vento scuote le fronde degli alberi e solleva piccoli vortici di polvere lungo la pista. Non è il miglior scenario per decollare ma decido di concentrarmi su ciò che posso controllare.
Dopo aver lasciato Veronika e Skippy a sistemare l’aereo, mi prendo un momento da solo. Seduto in cabina con tablet in una mano e caffè caldo nell’altra, osservo la rotta, segno mentalmente punti di atterraggio d’emergenza e ripasso i dettagli del meteo. Dedico più tempo del solito a questo passaggio, con un vago senso di urgenza che non riesco a ignorare.

Veronika, nel frattempo, sistema gli zaini con meticolosa attenzione. Skippy, solitamente euforica prima di un volo, oggi si aggira silenziosa accanto a lei, le orecchie tese a ogni raffica di vento.
Esco dalla cabina e mi avvicino, osservando il cielo. «Che dici, ce la facciamo?»
Veronika si ferma, alza lo sguardo al cielo e poi verso di me. «Non mi piace questo vento» ammette. «Sembra stia portando qualcosa di più grande. Potremmo ridurre il tempo in volo e saltare qualche punto di interesse.»
Annuisco. «Sì, meglio accorciare. Però niente voli diretti sull’acqua con questa situazione. Restiamo vicini alla costa
«Giusto.» Fa scorrere la cinghia dello zaino con più forza del necessario. «Hai un piano B?»
Sorrido appena. «Ne ho segnati almeno cinque.»
Annuisce con un mezzo sorriso. La nostra intesa funziona sempre.
Skippy punta il musetto verso di me, il pelo mosso dalle raffiche di vento. Poi solleva una zampetta con decisione, come se volesse confermare la scelta.

Dopo questo breve briefing e una rapida valutazione delle opzioni, decidiamo di procedere. Salgo in cabina mentre Veronika sistema le ultime cose e prepara Skippy per il decollo. Una volta dentro controllo ancora una volta gli strumenti. Il cielo sembra immobile, come se stesse aspettando di decidere il prossimo passo. Faccio un respiro profondo. «Siamo pronti» mormoro, più a me stesso che agli altri.

Ci spostiamo lentamente per allinearci alla pista in erba. Il rombo del motore copre quasi del tutto il sibilo del vento ma ogni tanto qualche raffica più forte si fa sentire anche all’interno della cabina. Skippy è accovacciata sul sedile posteriore, con gli occhi fissi sul parabrezza, mentre Veronika, accanto a me, stringe le mani sulle ginocchia: è pronta ma sa bene cosa ci aspetta.

Osservo la pista. Sembra più corta di quanto ricordassi. «Non voglio rischiare» penso. Tengo il freno di stazionamento inserito e spingo la manetta per portare il motore al massimo dei giri, solo quando sento il rombo pieno del Cessna rilascio il freno. «Via» dico, sentendo l’aereo che si anima sotto di noi. Fra poco saremo in volo.

La tensione è palpabile ma il coraggio di prendere decisioni difficili segna il nostro passo verso una crescita.

decollo dalla pista in erba vicino Orbetello (foto flight simulator 2024)

In volo sopra la laguna

Decolliamo con una splendida vista sulla laguna di Orbetello che si apre di fronte a noi, accogliendoci appena le ruote si staccano da terra. Il cielo sopra di noi, pur con qualche nuvola, non appare minaccioso e il vento, sebbene presente, non crea difficoltà significative al controllo del Cessna. La luce del mattino filtra attraverso le nubi illuminando l’Argentario che ora scorre alla nostra sinistra con sfumature argentee.

All’inizio tutto procede senza intoppi ma non appena le prime raffiche, un po’ più forti, colpiscono il velivolo Veronika sussulta. «Va tutto bene» le dico cercando di trasmetterle tranquillità mentre le metto una mano sulla sua. Dentro di me cresce la tensione, il peso della responsabilità su ogni mio movimento. Lei annuisce ma le sue mani restano ancorate alle gambe, i pollici che si muovono in piccoli cerchi, un gesto inconscio per alleviare il nervosismo.

Dietro di noi Skippy si comporta in modo strano. Solitamente infatti, superata la fase di salita, si libera agilmente delle cinture e inizia a muoversi sui sedili posteriori, esplorando il panorama dai finestrini. Oggi, invece, è immobile. Il suo sguardo fisso sul parabrezza, il muso rigido e attento, tradisce una tensione che non riesce a nascondere. Non sembra felice dei movimenti irregolari dell’aereo e probabilmente percepisce il nervosismo mio e di Veronika. Ma, da pilota autoproclamata, fa del suo meglio per mantenere la calma.

«Guardate la laguna.» La superficie dell’acqua scintilla, riflettendo la luce diffusa del cielo coperto. «Bello vederla sotto una luce diversa.»

«È veramente magnifica» mormora Veronika, riuscendo finalmente a respirare e rilassarsi. Prende la fotocamera e scatta qualche foto catturando la laguna e l’Argentario sullo sfondo. Anche il tono della sua voce cambia avvicinandosi al suo solito entusiasmo.

La tensione cresce sotto il cielo apparentemente sereno, mentre ogni raffica di vento aumenta la responsabilità che grava sul pilota

la laguna di Orbetello (foto flight simulator 2024)

Verso la Maremma

Il volo procede silenzioso. La tensione è palpabile e ognuno di noi è immerso nei propri pensieri. Davanti a noi il Parco Regionale della Maremma inizia a prendere forma con le sue colline verdi che scivolano verso una costa frastagliata.

Talamone, arroccato sulla costa, con le sue antiche mura che si affacciano sul mare mi dà uno spunto per rompere il silenzio. Lo indico a Veronika «Guarda, quello è Talamone» le dico con tono calmo. «Un borgo piccolo ma con una storia immensa. Da qui partì Garibaldi con i Mille

Veronika osserva il borgo inclinando leggermente la testa. «Devo dire che è decisamente suggestiva.»
«Sì» continuo «e immagina Garibaldi mentre arriva qui nel 1860, deciso a partire per l’impresa di unificare l’Italia. La storia racconta che si fermò a Talamone per raccogliere armi e rinforzi, approfittando della posizione strategica del porto. Un punto così piccolo ma cruciale per il destino dell’Italia.»

«E non è solo il borgo» aggiungo, indicando le colline intorno. «Il Parco Regionale della Maremma che lo circonda è uno dei gioielli naturali della Toscana. È una riserva protetta, con spiagge selvagge, pinete e persino mandrie di bovini maremmani. Se ami la natura è un posto che non puoi perdere. Ci sono sentieri che portano fino alle torri di avvistamento lungo la costa, tutte risalenti al Medioevo
Lo sguardo di Veronika si perde tra il mare e le colline. «Dev’essere bello camminare qui tra la storia e la natura.»

Talamone, piccolo borgo testimone di un passato che ha scritto la storia d’Italia, si staglia sulla costa come un punto di riferimento per i sogni di unificare il paese.

Talomone visto dal Cessna (foto flight simulator 2024)

Proprio mentre superiamo la costa di Talamone il cielo sopra di noi comincia a ingrigirsi maggiormente. Le nuvole si abbassano lentamente e il vento aumenta di intensità scuotendo il Cessna con scossoni più decisi. Veronika si irrigidisce leggermente, le mani che si stringono sulle ginocchia, tuttavia resta composta.

Un sobbalzo improvviso ci scuote proprio mentre la radio rompe il silenzio. «Qui ATC Grosseto» arriva una voce ferma ma chiara. «SWA-172, suggeriamo salita a 2.000 piedi per evitare turbolenze in zona. Confermate?»

Veronika parla nel microfono con prontezza. «Confermiamo, ATC Grosseto. Procediamo con salita a 2.000 piedi» risponde con voce calma, ma sento la tensione nelle sue parole.
Inizio a salire inclinando leggermente il velivolo e virando verso Grosseto come indicato dal controllore. Il vento sopra le colline del parco è più insistente e ogni raffica richiede attenzione per mantenere l’assetto.

Il Cessna si comporta bene, siamo però consapevoli che il meteo sta rapidamente cambiando e che potrebbe riservarci ancora altre sorprese.

Un viaggio tra la storia e la natura, dove il Parco Regionale della Maremma ti invita a scoprire la sua essenza, tra colline verdi e spiagge selvagge

la costa del parco regionale della Maremma vista dal cessna (foto flight simulator 2024)

Sopra Grosseto: Una città stellata

«Quello è l’aeroporto militare di Grosseto, la sede del 4° Stormo Caccia. È uno dei reparti più prestigiosi e storici dell’Aeronautica Militare Italiana. Lo conosci?» chiedo a Veronika mentre ci avviciniamo a Grosseto.

Veronika osserva attentamente la lunga pista visibile tra i campi. «No, raccontami di più!»

Sorrido, felice di condividere ciò che so. «Il 4° Stormo è stato fondato nel 1931 ed è famoso per il suo simbolo: il Cavallino Rampante. È lo stesso che trovi sulla Scuderia Ferrari perché fu concesso da Francesco Baracca, un asso dell’aviazione durante la Prima Guerra Mondiale. Oggi il reparto è equipaggiato con gli Eurofighter Typhoon, caccia avanzati che si occupano sia della difesa dello spazio aereo italiano sia di missioni internazionali.»

«Che storia interessante» risponde Veronika. «Dev’essere incredibile pilotare quei velivoli.»

«Mi piacerebbe tantissimo» confesso. «Ogni decollo da qui è un esempio di precisione e preparazione. È uno dei luoghi chiave per la sicurezza dello spazio aereo italiano.»

«Guarda, quello invece è il centro storico di Grosseto. Le sue mura furono costruite dai Medici nel Cinquecento. Ieri prima di dormire ho letto che erano parte di un progetto di difesa per proteggere la città dai pirati e dagli attacchi esterni, soprattutto lungo la costa.»

Veronika osserva attentamente. «Sono incredibili. Quelle mura sembrano quasi moderne nella loro precisione geometrica.»

«Esatto, sono fortificazioni a pianta stellare, tra le migliori in Italia. Se non sbaglio facevano parte di un sistema difensivo voluto dai Medici per proteggere la città. Dentro quelle mura c’è anche il Cassero Senese, un baluardo militare che serviva come avamposto e punto di controllo. Oggi è un museo e credo racconti bene la storia difensiva della città. E poi c’è la Cattedrale di San Lorenzo, costruita sopra una chiesa più antica. Dev’essere interessante vederla, perché ha mescolato stili diversi nel tempo.»

Veronika con lo sguardo che tradisce ancora un velo di inquietudine. «Sì, mi piacerebbe. È incredibile pensare quanta storia ci sia in ogni angolo d’Italia.»

Il cielo sopra Grosseto racconta la storia di un passato che non smette mai di guardare avanti, tra la protezione delle mura e la difesa del nostro spazio aereo

vista delle mura del centro storico di Grosseto (foto flight simulator 2024)

«Che dici, continuiamo o facciamo un giro sopra la città?» le chiedo.

Veronika scuote leggermente la testa. «Meglio proseguire» risponde con convinzione. «Il cielo non promette bene e non possiamo rischiare.»

Viro verso la prossima meta, Follonica, e noto che il cielo sta cambiando rapidamente. Le nubi si abbassano e si fanno più dense assumendo tonalità grigio scuro che sembrano divorare la luce. Il vento aumenta di intensità colpendo il Cessna con raffiche improvvise che fanno oscillare il velivolo. Ogni scossone si fa più deciso e ogni movimento richiede correzioni più precise.

Veronika, seduta accanto a me, stringe le mani sulle gambe. Quando un colpo d’aria particolarmente forte scuote l’aereo, allunga la mano verso di me cercando un contatto rassicurante. Le sorrido, anche se dentro di me la tensione cresce come la sua. «Sta decisamente peggiorando» le dico mantenendo lo sguardo sugli strumenti. «Ma siamo ancora in grado di gestirlo. Il Cessna regge bene.»

Lei annuisce ma il suo silenzio dice più di mille parole. Gli scossoni si susseguono senza tregua e ogni rumore del vento che colpisce la fusoliera sembra amplificato nella cabina.

«Continuiamo verso Follonica» le dico, stringendo saldamente i comandi. La mia voce è ferma ma dentro sento una crescente inquietudine che spero di poter nascondere fino all’atterraggio. Il cielo si stringe intorno a noi e la luce diminuisce a ogni miglio percorso. So che stiamo entrando in un territorio incerto, dove ogni decisione sarà cruciale. Il margine di errore si fa sottile e la consapevolezza che il meteo potrebbe riservarci il peggio mi accompagna come un’ombra.

il cielo che minaccia tempesta (foto flight simulator 2024)

Verso Follonica

Mentre ci lasciamo Grosseto alle spalle, davanti a noi le colline di Punta Ala sembrano restringere il cielo, lasciandoci appena lo spazio per passare tra la terra e le nuvole che si abbassano minacciose. Il vento adesso scuote il Cessna con raffiche sempre più intense.

Veronika mi guarda, cercando di mascherare la preoccupazione. «Non pensavo fosse così… intenso.»

«Nemmeno io pensavo sarebbe peggiorato così in fretta» le rispondo, mantenendo un tono calmo mentre il vento cerca di spingere l’aereo fuori rotta. «Le montagne incanalano il vento, appena le superiamo potrebbe calmarsi un po’.»

Ma non succede.

Il Cessna sobbalza come una foglia nel vento. Le raffiche colpiscono la fusoliera da direzioni imprevedibili e, ogni volta che provo a correggere la rotta, il velivolo sembra ribellarsi. Le mie mani sono salde sui comandi ma sento il sudore scivolare lungo la schiena. Questa non è la solita turbolenza. Questo è qualcosa di più.

Arriviamo quasi a Follonica quando le prime gocce di pioggia iniziano a picchiettare sul parabrezza. «Ecco, ci siamo» mormoro, sapendo che la situazione sta per complicarsi. Nel giro di pochi minuti la pioggia si trasforma in un vero e proprio acquazzone, riducendo drasticamente la visibilità e rendendo ancora più evidente la forza del vento.

La cabina è avvolta in un’atmosfera tesa, con il suono martellante della pioggia che si mescola al ruggito del motore. Gli scossoni diventano più violenti, facendo oscillare l’aereo come se stesse lottando per ogni metro conquistato. Ogni controllo richiede uno sforzo maggiore e il timore di perdere il controllo si insinua nei miei pensieri. Skippy è immobile. Il suo sguardo è fisso sul parabrezza, come se capisse l’urgenza della situazione.

Veronika si sporge leggermente per guardare fuori. «Hai visto quel lampo?!» esclama, indicando un bagliore a distanza. Poco dopo, un forte tuono ci raggiunge facendo tremare la cabina.

«Li ho visti e li ho sentiti» rispondo, stringendo ancora di più i comandi. «Dobbiamo decidere presto come muoverci. Questo peggioramento è molto più rapido del previsto. Piombino è più avanti e poi dovremmo dirigerci verso l’Elba ma già ora non si vede per nulla, coperta dalle nuvole e dalla pioggia. Ci sono anche lampi minacciosi proprio in quella direzione.»

Il ruggito del motore sembra lottare contro il fragore dei tuoni mentre avanzo con cautela verso Follonica, come da piano di volo. Dentro di me so che ogni scelta da qui in avanti sarà cruciale. Ogni secondo è un passo più vicino a una decisione che potrebbe cambiare tutto.

Il cielo sopra Follonica ci costringe a prendere una decisione, ad agire lottando allo stesso tempo contro le nostre paure per restare lucidi.

pioggia sopra Follonica (foto flight simulator 2020)

Rotta verso Piombino

Superiamo Follonica seguendo la rotta prestabilita. Il mare sotto di noi è agitato, con onde alte che si infrangono contro la riva come se volessero divorare la terra. La pioggia, ormai costante, tamburella sul parabrezza mentre il vento scuote il Cessna con scatti improvvisi che ci fanno sobbalzare.

Non arriveremo all’Elba oggi.

Stringo i comandi e prendo fiato. «Dobbiamo cambiare piano. Veronika, imposta una nuova rotta per il campo volo fuori Piombino. È la nostra migliore opzione.»

Lei si volta verso di me con uno sguardo concentrato. Nei mesi prima di questo viaggio, mentre io prendevo il brevetto, lei studiava ogni procedura per poter aiutare. Ora è il momento di mettere tutto in pratica.

«Pensa a pilotare, ci penso io» dice, afferrando il tablet e lavorando rapidamente.

La cabina è avvolta in un silenzio inquietante, interrotto solo dalla pioggia e dal rombo del motore che lotta contro le raffiche. Ogni scossone aumenta la tensione, la visibilità si riduce sempre più. Un fulmine squarcia il cielo. Il tuono che segue fa vibrare la fusoliera.

«Rotta impostata» dice Veronika dopo pochi istanti, riposizionando il tablet. Controllo il Garmin G1000 e annuisco. «Perfetto» dico, inclinando il Cessna verso la nuova direzione. «Ottimo lavoro.»

Mentre ci riavviciniamo alla costa, le nuvole sembrano aprirsi appena. Qualche raggio di sole filtra tra gli strati di pioggia e, per un breve istante, un arcobaleno appare all’orizzonte. È un’immagine splendida, segno di un buon auspicio, tuttavia la tensione non cala.

Veronika stringe la mia gamba, quasi senza accorgersene.

Mi concentro. Ripasso mentalmente la posizione e la lunghezza della pista d’atterraggio. Oggi ogni dettaglio conta.

«Spero di identificarla al primo colpo» mormoro, gli occhi fissi sugli strumenti e sul terreno che si avvicina. «Non abbiamo margine per un errore.»

Ogni vibrazione, ogni raffica di vento ci mette alla prova. Ogni decisione è cruciale.

Piombino, tra la forza della natura e quella del nostro coraggio, ci spinge a trovare la rotta giusta, anche quando il cielo non è nostro alleato

momento in cui prendiamo la decisione di virare verso Piombino (foto flight simulator 2024)

Atterraggio d’emergenza

La pioggia diventa un muro quasi impenetrabile mentre ci avviciniamo al campo volo. La visibilità è ridotta al minimo e ogni goccia che si infrange sul parabrezza sembra voler rendere la mia giornata ancora più complicata. Il cielo sopra di noi è plumbeo, il vento continua a spingere il Cessna, eppure mi concentro sul terreno. Non posso permettermi di perdere la pista, di non vederla e non capire come allinearmi. Controllo il tablet che indica la posizione dell’aereo e della pista e cerco disperatamente, tra la pioggia, un punto di riferimento guardando fuori dal finestrino.

Ed eccola. O almeno credo. Intravedo un’area rettangolare tra il verde e il grigio della campagna. Non sono sicuro al cento per cento ma non ho alternative: quella deve essere la pista o comunque un campo idoneo per un atterraggio di emergenza, senza alberi di intralcio.

«Ci siamo» mormoro con un filo di voce.

Effettuo una virata decisa per allinearmi alla direzione del campo volo. Il cuore mi batte forte mentre scendo di quota cercando di mantenere il Cessna stabile nonostante la turbolenza.

Veronika è immobile. Le nocche bianche mentre stringe le ginocchia, gli occhi fissi davanti a sé. Ogni muscolo del suo corpo è teso. Quando il Cessna subisce uno scossone più forte, la sua mano scatta involontariamente verso di me, come se cercasse un appiglio nel vuoto.

Skippy non si muove. È accovacciata sul sedile posteriore, le orecchie incollate alla testa, gli occhi spalancati e persi su un punto indefinito davanti a sé. Respira piano, troppo piano. È la prima volta che la vedo davvero spaventata.

La pioggia, ora, sembra quasi volermi accecare. Ogni movimento richiede uno sforzo enorme e il timore di perdere la pista mi stringe lo stomaco. Durante la virata finale sento l’allarme sonoro:

«STALL, STALL.»

Il vento ci sta rallentando troppo. Un brivido mi attraversa ma stringo i comandi con fermezza. Sul finale noto una strada a ridosso della pista: passo appena sopra di essa e per un attimo temo di essere sceso troppo in basso.

E poi lo vedo chiaramente. Il fango.

La pista è piena di pozzanghere, l’acqua stagnante la trasforma in una superficie tutt’altro che ideale per un atterraggio. Non ci avevo pensato questa mattina durante lo studio delle carte. Non ci avevo pensato. Mi sento uno stupido. Un brivido mi percorre la schiena.

«Il fango…» esclamo, ma non posso più fare nulla. Siamo troppo vicini.

L’altimetro scende troppo in fretta. La pista è lì ma la pioggia la trasforma in un’illusione sfocata. Un colpo di vento ci spinge di lato e il mio cuore salta un battito. Correggo ma il fango sotto di noi aspetta, pronto a inghiottirci.

Un respiro profondo. Mi preparo all’impatto.

Il Cessna trema sotto le mani. Ogni muscolo del mio corpo è teso, le dita aggrappate ai comandi con una forza che mi fa male alle nocche. Il cuore martella nelle orecchie, più forte del motore. Poi, un’improvvisa raffica di vento ci spinge di lato e il tempo rallenta: il terreno sale troppo in fretta, la pista diventa una macchia indistinta di fango e pioggia. Correggo, correggo ancora. Il velivolo sobbalza, le vibrazioni si propagano lungo la struttura, rimbalzano nelle ossa.

Il contatto con il terreno è più duro di quanto mi aspettassi e immediatamente il velivolo inizia a ballare sulla pista. Le ruote scivolano nel fango, il Cessna oscilla da una parte all’altra come se stesse lottando per rimanere in piedi. Ogni correzione richiede una prontezza quasi istintiva.

Rallentiamo. Progressivamente. Ancora interi. Ancora in sicurezza.

Un silenzio irreale avvolge la cabina, interrotto solo dal ticchettio della pioggia sul tettuccio. Dopo qualche istante tiro un lungo respiro e chiudo gli occhi.

«Siamo a terra. Siamo vivi.»

Veronika si lascia andare contro il sedile, lo sguardo ancora fisso davanti a sé.

«Ce l’abbiamo fatta» mormoro, quasi incredulo, spegnendo lentamente il motore. Siamo al sicuro. Almeno per ora.

Un atterraggio che ci riporta a terra, dove ogni dettaglio, ogni scelta, fa la differenza per ritrovare la sicurezza in un mare di incertezze.

il momento poco prima dell’atterraggio (foto flight simulator 2024)

Un momento per respirare

Mi prendo un attimo per calmarmi. Il motore è spento, il rombo costante che ci ha accompagnati per tutto il viaggio è ormai un ricordo, ma la pioggia continua a tamburellare sul tettuccio del Cessna, riempiendo l’aria di un suono incessante. Mi volto verso Veronika, ancora tesa, lo sguardo fisso davanti a sé. Poi mi accorgo di qualcosa.

«E Skippy?»

Non l’ho più sentita muoversi o emettere un suono da un po’. Mi giro verso il sedile posteriore e la trovo lì, immobile, ancora con la cintura allacciata. Gli occhi fissi, il muso rigido. Anche la sua coda, di solito in perenne movimento, è completamente ferma.

«Skippy?» la chiamo piano. Nessuna reazione.

Veronika si volta e le accarezza la testa. Solo allora noto che sta tremando leggermente.

«È sotto shock» sussurra, come se avesse letto il mio pensiero.

Cerco di spezzare la tensione. «Ehi, siamo a terra» dico con un sorriso forzato. «Tutto passato. Non è stato facile, ma abbiamo fatto un ottimo lavoro.»

Skippy sbatte le palpebre, poi si lancia su di me, stringendosi forte al mio collo. Veronika, senza dire nulla, si avvicina e ci avvolge entrambi in un abbraccio, stringendoci come se volesse sigillare il momento. Restiamo così per qualche secondo, senza parlare, lasciando che la tensione scivoli via.

Un silenzio assoluto avvolge la cabina. Non il solito silenzio dopo l’atterraggio, ma uno denso, quasi irreale. Solo il respiro ancora affannato riempie lo spazio. Per un istante, tutto sembra sospeso, poi un suono familiare si insinua tra le pareti di metallo: la pioggia sul tettuccio. È lo stesso rumore di prima, eppure ora sembra diverso. Più lontano. Più innocuo. L’adrenalina inizia a scendere, lasciando spazio a una stanchezza improvvisa e travolgente.

Troviamo un rifugio

Fuori, la pioggia continua a trasformare il campo volo in una distesa di fango. Restare qui non è un’opzione.

Prendo il telefono e chiamo il gestore del campo. La sua voce è gentile, abituata a emergenze come questa. «Non si preoccupi, ho un’amica che vive a due passi. È una signora anziana, molto ospitale. Vi aiuterà. L’avviso subito.»

Segno il numero e aspetto qualche minuto prima di chiamarla, lasciando il tempo al gestore di informarla su di noi. Quando la contatto, risponde subito, la sua voce calda e rassicurante sembra quasi attutire il rumore della pioggia.

«Venite pure» dice con naturalezza, come se ci stesse già aspettando. «Vi preparo qualcosa di caldo.»

Aspettiamo che la pioggia si plachi un po’, poi ci incamminiamo con fatica nel fango. Il Cessna è al sicuro per la notte. Skippy, poco convinta di questa passeggiata nel pantano, mi si arrampica sulle spalle, stringendo le zampe al petto per non bagnarsi.

La casa è vicina, praticamente all’interno del campo volo, del quale sembra farne parte. La porta si apre prima ancora che possiamo bussare. La signora ci attende sulla soglia con un sorriso genuino, come se fossimo amici di vecchia data. Alle sue spalle, una luce calda illumina il corridoio e l’odore di erbe e legno bruciato si mescola all’umidità della pioggia. Anche prima di varcare la soglia, sappiamo di essere al sicuro.

Indossa un vecchio scialle di lana, avvolto attorno alle spalle con la naturalezza di chi ha visto molte stagioni passare da quella porta. I capelli, bianchi e raccolti in un morbido chignon, incorniciano un viso segnato dal tempo ma pieno di calore. Con un gesto automatico, allunga una mano verso Skippy, accarezzandole la testa senza esitazione, come se sapesse già che ha bisogno di quel contatto. «Coraggio, entrate» dice con un sorriso tranquillo «qui dentro c’è sempre posto per chi arriva dalla tempesta.»

Ci fermiamo un istante prima di varcare la soglia. Con gesti rapidi ci togliamo le scarpe infangate e le lasciamo fuori, pulendoci alla meglio prima di entrare. Non servono parole: è un piccolo segno di rispetto per chi ci sta accogliendo.

Non appena entriamo, il profumo di tisana e legno ci avvolge come una coperta calda. Il camino acceso getta bagliori dorati sul pavimento e il contrasto con il freddo e il caos della tempesta è quasi irreale.

Skippy si raggomitola su un tappeto vicino al fuoco, le orecchie basse, ancora un po’ tesa.

La pioggia tamburella ancora sul tetto, ma qui dentro è solo un suono lontano. Per la prima volta dopo ore, siamo davvero al sicuro.

04 – Diario di volo Siena Orbetello

Tra il silenzio e il volo

Quando arriviamo, l’aeroporto di Siena è immerso in una quiete irreale. L’aria è ancora calda del giorno appena trascorso, ma dentro di noi il vento è cambiato.

Mentre sistemo il Cessna 172 per il volo, il mio sguardo si sofferma su Veronika. Di solito è lei la prima a parlare, a riempire il tempo con osservazioni curiose o battute leggere. Oggi no. Sta ferma accanto all’ala dell’aereo, una mano che giocherella distrattamente con la cinghia dello zaino. Il suo sguardo vaga, perso nei pensieri.

Mi avvicino per aiutarla a sistemare l’attrezzatura, ma il mio gesto sembra spezzare qualcosa. Veronika solleva lo sguardo, mi osserva per un attimo con un sorriso appena accennato, poi torna a concentrarsi sui movimenti meccanici della preparazione al volo.

Anche Skippy è strana. È ferma accanto al finestrino, le orecchie abbassate, gli occhi fissi sulla spilletta di Carlo riflessa nel vetro. Sembra immersa nei suoi pensieri, come se quella piccola insegna dorata contenesse un significato solo per lei.

Per un attimo ho l’impulso di dirle qualcosa, di trovare le parole giuste per confortarle, ma non lo faccio. So che certe emozioni non vanno interrotte, devono semplicemente scorrere.

Come una squadra silenziosa completiamo i controlli. L’abitudine a quei gesti è l’unica cosa che ci ancora alla realtà.

Quando tutto è pronto, Veronika si occupa delle comunicazioni con la torre. La sua voce torna per un momento calma, professionale, ma io sento il peso che porta dentro. L’autorizzazione arriva in pochi secondi. Il Cessna ruggisce in risposta, pronto a riportarci in aria.

Le ruote si staccano dall’asfalto e per un attimo tutto si ferma.

Veronika chiude gli occhi.

Un respiro profondo, poi li riapre, lasciando che lo sguardo si perda tra le colline. Salutiamo Siena, la città che ci ha nuovamente accolti e che ora ci sta lasciando andare.

Dalla sua borsa spunta la fotocamera, sollevata con la precisione di sempre. Un gesto familiare, rassicurante. La osservo mentre inquadra il paesaggio, i suoi movimenti calcolati, il suo modo di guardare il mondo attraverso l’obiettivo sembra lo stesso di sempre, ma comunque con una sfumatura diversa.

Sta cercando di trattenere qualcosa.

Le Crete Senesi si aprono davanti a noi e con esse il nostro viaggio che continua.

Un passo alla volta, un volo dopo l’altro.

certe emozioni non vanno interrotte, devono semplicemente scorrere.

in volo sopra le Crete Senesi (foto flight simulator 2024)

Asciano: un rifugio tra le colline

Il volo sopra le Crete Senesi procede silenzioso. Piloto quasi automaticamente mentre il mio pensiero vaga. Il rombo del motore riempie l’aria, ma l’atmosfera in cabina è troppo pesante.

Poi lei rompe il silenzio.

«Sai…» sembra più un pensiero ad alta voce che una vera domanda. «Non avrei mai immaginato di affezionarmi così tanto a qualcuno incontrato per caso.»

La osservo un istante, poi torna a guardare fuori.

«Non è poi così strano.»

«A me sembra di sì.» Veronika sospira, stringendo la fotocamera tra le dita senza scattare. «Mi sento come se avessi lasciato qualcosa indietro. Come se ci fosse ancora qualcosa da dire, da fare.»

Cerco di confortarla. «Perché fanno parte di te, ormai.»

Lei mi guarda, incerta. «E cosa dovrei farci, con questa sensazione?»

Rifletto un momento, continuando a concentrarmi sul volo. «Accettarla. Non come un’assenza, ma come qualcosa che ti accompagna.»

Veronika abbassa lo sguardo. «E se invece fosse una mancanza? Se certe persone fossero destinate a restare?»

«Alcuni incontri sembrano fatti per durare solo un attimo, altri per accompagnarci più a lungo. Ma il tempo passato con qualcuno non è quello che conta davvero.»

«E cosa conta?»

Le accarezzo la gamba e le dico dolcemente: «Quello che ci resta, quello che ci cambia.»

Un movimento improvviso interrompe la conversazione. Skippy, dal suo posto, allunga il musetto contro il vetro, poi indica con la zampa qualcosa al di sotto di noi.

Veronika segue la sua direzione. «Hai ragione Skippy, scusa. Guarda, credo sia la Grancia di Cuna di cui leggevo prima.»

Abbasso leggermente il muso dell’aereo per osservare meglio la fortezza incastonata tra i campi dorati.

«Era un granaio fortificato» spiega Veronika. «I monaci di Monte Oliveto Maggiore lo costruirono per proteggere le scorte dai briganti. Serviva anche come rifugio per i pellegrini della Via Francigena.»

Osservo le alte mura che racchiudono l’edificio, solido e immutabile nel tempo. Protezione. Rifugio. Accoglienza.

Le parole di Veronika di poco fa riecheggiano ancora nella mia mente. Carlo e Irina sono stati questo per noi. Un porto sicuro. Una lezione su come affrontare il viaggio della vita. Un rifugio per le nostre paure su questa avventura.

La Grancia si allontana sotto di noi e con essa i pensieri ancora sospesi.

«Asciano è proprio davanti» dice Veronika, tornando a concentrarsi sulla guida.

Sorvoliamo il borgo compatto e armonioso, un piccolo centro che sembra abbracciarsi su se stesso.

«Asciano era un crocevia per il commercio del grano» continua Veronika. «Ha origini etrusche, ma nel Medioevo divenne un centro importante. C’è anche un museo con reperti storici e opere d’arte.»

La sua voce ha ritrovato un po’ della leggerezza di sempre, ma resta quell’alone di malinconia.

I luoghi possono essere rifugi ma non possiamo restare per sempre dentro le loro mura. La vita è fatta di partenze, anche di quelle che non vorremmo affrontare.

verso Asciano (foto di flight simulator 2024)

Montepulciano: il tempo e il valore degli incontri

Il volo prosegue tranquillo. Il sole continua ad abbassarsi, tingendo il paesaggio di una luce ancora più morbida, quasi pittorica.

Veronika è sempre assorta nei suoi pensieri. Le sue dita sfiorano la fotocamera senza alzare l’obiettivo, come se il paesaggio che stiamo sorvolando fosse solo uno sfondo per qualcosa di più grande che le sta passando per la mente.

Poi, come se seguisse un pensiero ad alta voce, chiede: «Secondo te, gli incontri che facciamo sono casuali o c’è sempre un motivo dietro?»

Rifletto per un momento. «Forse certe persone sono destinate a incrociare il nostro cammino, mentre altre le incontriamo perché scegliamo di aprirci a qualcosa di nuovo.»

Veronika tiene lo sguardo fisso sull’orizzonte. «E Carlo e Irina

Rifletto un attimo. «Forse non è stato il destino a portarci da loro, ma il fatto che eravamo pronti a lasciarci ispirare.»

Skippy, dal suo posto, inizia a emettere piccoli versi battendo leggermente una zampetta contro il finestrino per attirare la nostra attenzione. Io e Veronika siamo così presi dal nostro discorso che, all’inizio, non la notiamo.

Ma lei non si arrende: con un verso più deciso, quasi seccato, e un gesto esagerato della zampa, ci costringe a guardarci.

«Che c’è piccola? Cosa succede?» chiedo voltandomi verso di lei.

Skippy, con il muso premuto contro il finestrino, sembra dire: “Finalmente vi siete svegliati!”

Veronika si sporge per vedere meglio e scoppia a ridere. «Guarda, è **Montepulciano! La nostra piccola navigatrice ha ragione: non possiamo perdercelo.»

Rallento leggermente l’aereo per osservare meglio il borgo.

«Una chiesa mi cattura subito l’attenzione. E quella?»

Veronika mi risponde quasi subito. «Credo sia il Tempio di San Biagio, un capolavoro rinascimentale progettato da Antonio da Sangallo il Vecchio

«Ma Montepulciano non è solo arte» continua Veronika. «La guida dice che il Vino Nobile di Montepulciano è uno dei più antichi d’Italia. Lo sapevi? Più il vino invecchia, più diventa prezioso.»

Skippy, soddisfatta, si accoccola sul sedile con aria fiera.

Alcuni incontri sono come il buon vino: il loro valore si comprende solo con il tempo.

Montepulciano visto dal lato di Veronika (foto flight simulator 2024)

Pienza: la città perfetta e la realtà dell’imperfezione

La manovra per raggiungere Pienza ci porta a virare ampiamente, quasi tornando indietro, seguendo la rotta verso nord-est. Poi, all’orizzonte, la città emerge dal paesaggio con una geometria particolare, come se fosse stata modellata più dalla volontà di un artista che dalla mano del tempo.

Veronika sfoglia la guida, il suo sguardo assorto. «Sai che Pienza era in origine un villaggio chiamato Corsignano?» dice con voce bassa, ancora meno entusiasta del solito. «Poi Papa Pio II, nato proprio qui, decise di trasformarlo in un modello di città rinascimentale.»

Mantengo la rotta stabile e la osservo. «E ci è riuscito?»

«In un certo senso sì» risponde, voltando una pagina della guida. «Tutto qui è stato progettato per trasmettere equilibrio: la disposizione delle strade, la simmetria delle facciate, persino la Piazza Pio II, trapezoidale, che dà l’illusione di essere più ampia di quanto sia realmente.»

Sorvoliamo Pienza lentamente, lasciandoci avvolgere dalla sua armonia. Le sue strade ordinate scorrono sotto di noi come un disegno perfetto, ogni edificio sembra parte di una composizione studiata nei minimi dettagli.

Eppure Veronika continua a rimanere in silenzio. Poi, quasi parlando a sé stessa, mormora: «Irina… mi ha colpita così tanto. Non solo per quello che ha fatto nella sua vita, ma per come si muove, per come parla… sembra sapere sempre dove andare, cosa dire.»

Annuisco, confermando la sua stessa visione. «Sì, è una donna speciale.»

«E io… io non mi sento così. Io mi perdo in mille pensieri, ho sempre paura di sbagliare, di dire la cosa sbagliata.»

La guardo, poi torno agli strumenti con calma. «E pensi che Irina non sia mai stata così?»

Veronika esita. «Non lo so… non me la immagino diversa da come l’abbiamo conosciuta.»

«Forse anche lei ha avuto qualcuno che l’ha ispirata, esperienze che l’hanno fatta evolvere, prima di diventare la persona che è ora.»

Veronika mi osserva a lungo, come se quelle parole stessero trovando il loro posto nella sua mente. «Forse.»

Le prendo la mano. «E poi, chi ha detto che questo è un addio? Abbiamo i loro contatti. Ci rivedremo, in un modo o nell’altro.»

Veronika accenna un sorriso, ma ancora timido. «Dici?»

«Certo. E se anche passasse del tempo, sarà come se non fosse passato nemmeno un giorno.»

La vera perfezione non è ciò che possiamo trattenere ma ciò che lascia un segno dentro di noi.

sopra Pienza (foto flight simulator 2024)

San Quirico d’Orcia: i luoghi che ascoltano le nostre storie

Poco dopo siamo sopra San Quirico d’Orcia. Veronika osserva i giardini ben curati che si intravedono tra le mura, lo sguardo meno ombroso.

«Guarda laggiù, devono essere gli Horti Leonini. Un esempio perfetto di giardino all’italiana.»

Mi lascio trasportare dal suo tono, che questa volta non è triste e buio. Sorvoliamo lentamente San Quirico, mentre il sole accarezza le sue strade antiche.

«San Quirico era una tappa fondamentale per i pellegrini della Via Francigena» continua Veronika, sfogliando distrattamente la guida. «Gli Horti furono progettati nel XVI secolo per accogliere i viaggiatori. Oggi sono un’oasi di pace, un luogo perfetto per passeggiare e riflettere.»

La guardo mentre si sistema una ciocca di capelli.

«Riflettere…» ripeto piano, come se quella parola avesse un peso in più oggi.

Ci sono luoghi che non si limitano a esistere: sono lì per accogliere chi ha bisogno di essere ascoltato.

gli Horti Leonini di San Quirico d’Orcia (foto flight simulator 2024)

Oltre il Monte Amiata: il viaggio come crescita

Il Monte Amiata alla nostra destra è imponente e immobile, mentre il sole gli scorre dietro generando lunghe ombre sul terreno. Il paesaggio intorno cambia lentamente, le foreste scure contrastano con la luce calda del tramonto, come se la natura volesse raccontare una storia fatta di contrasti e trasformazioni.

Il silenzio torna per qualche istante, ma stavolta è più leggero.

Poi, quasi con noncuranza, le lancio un’idea: «E comunque, sai cosa potresti fare?»

Veronika mi guarda, incuriosita. «Cosa?»

«Scrivergli. Una cartolina ogni tanto, dai vari posti che visiteremo. Sarebbe una cosa carina e lascerebbe un ricordo nel tempo anche per Irina

Lei mi fissa per un istante, poi i suoi occhi si illuminano. «Una cartolina?»

Annuisco. «Perché no? Un modo per portarli con noi, per condividere il viaggio. Loro hanno viaggiato tanto prima di noi, ma ora siamo noi a essere in cammino. Sarebbe bello mandar loro qualche frammento della nostra avventura. Mantenere un legame.»

Il sorriso di Veronika si allarga. «Mi piace. Mi piace davvero.»

Sorrido soddisfatto. «Allora è deciso.»

Veronika si appoggia al sedile, rilassandosi. «Grazie! Sai, ora mi sento meglio.»

Le lancio un’occhiata complice. «E io che pensavo di essere solo bravo a pilotare.»

Veronika scoppia a ridere, scuotendo la testa. «Sei meglio di un navigatore. Trovi sempre la rotta giusta.»

Ridacchio. «E allora non perderti, che abbiamo ancora tanta strada davanti.»

Con questo pensiero, Veronika torna a sorridere davvero.

Cerco poi di distrarla e farla tornare nello spirito del viaggio: «Sai che ho visitato questa zona anni fa?» le dico con voce entusiasta. «Ero in moto. Un viaggio in solitaria tra Umbria e Toscana. Sono salito fino in cima al monte, cercando un po’ di fresco nel caldo estivo, ma all’epoca non sapevo che fosse un vulcano spento.»

Veronika si volta verso di me, sorpresa. «Un vulcano? Davvero?»

Annuisco. «Già, l’ho scoperto solo di recente in un documentario. È uno dei vulcani più grandi d’Italia, anche se ormai è inattivo. Le sue foreste di castagni e faggi sono immense, e in passato le castagne erano una risorsa fondamentale per le comunità locali.»

«Ma quello che mi ha colpito di più allora è stata la sensazione di pace. Non c’era nessuno per strada, solo io, il rumore del motore e il profumo del bosco. È un posto che mi ha fatto sentire piccolo, ma in un modo positivo. Mi ricordò che c’è qualcosa di più grande di noi.»

Lasciamo scorrere il Monte Amiata, lasciandoci alle spalle le sue foreste e il suo profilo imponente. Veronika ora guarda avanti, sembra più sollevata.

Forse ha trovato la sua risposta, o forse ha solo capito che non serve averne una subito.

Il vuoto che lasciano le persone è il segno che ci hanno cambiati.

altra angolazione del monte Amiata (foto flight simulator 2024)

La Rocca del Brigante: tra storia e teatro

All’orizzonte, isolata sulla sua collina come un guardiano solitario, appare la Rocca di Radicofani. La sua torre massiccia si staglia contro il cielo del pomeriggio, le mura spesse ancora intatte nonostante il passare dei secoli.

«Eccola» dico, riducendo la velocità e apprestandomi a effettuare la virata in circolo. «Immagina la vista che avevano da lassù.»

Veronika sfoglia rapidamente la guida. «Dice che la Rocca controllava la Via Francigena. Serviva a proteggere i viaggiatori ma anche a monitorare i mercanti… o derubarli. La cosa più interessante, infatti, è che fu il rifugio di un certo Ghino di Tacco

«Ghino di Tacco?» chiedo incuriosito. «Chi era?»

«Un brigante famoso, un po’ il Robin Hood italiano» spiega Veronika, sorridendo. «Rubava ai ricchi per aiutare i poveri e si rifugiava proprio nella Rocca. È citato sia nella Divina Commedia di Dante che nel Decameron di Boccaccio

Skippy si alza di scatto, con le orecchie dritte e lo sguardo determinato. Inizia a mimare gesti teatrali, afferrando un arco immaginario e lanciando frecce invisibili verso un nemico altrettanto invisibile. Poi lo punta verso di noi.

Io e Veronika ci blocchiamo, sorpresi dalla sua interpretazione.

«Guarda! Sta interpretando Ghino di Tacco!» esclama Veronika, scoppiando a ridere. Io cerco di mantenere la concentrazione sul volo, ma la scena è troppo divertente.

Skippy ci guarda con il musetto serio, aspettando il nostro coinvolgimento.

Le risate riempiono la cabina. «Va bene, hai vinto! Mi arrendo, ecco tutti i miei risparmi» le dico ridendo e mimando il gesto. «Da oggi sei ufficialmente il nostro brigante ufficiale.»

Skippy, soddisfatta del riconoscimento, si lascia cadere sul sedile, apparentemente fiera di averci distratti per un attimo dai nostri pensieri odierni.

Sorvoliamo lentamente la Rocca di Radicofani, lasciando che la sua ombra lunga si mescoli con la luce del tramonto.

Mantenendo lo sguardo fisso sugli strumenti, le dico: «Stavo pensando che forse non è importante quanto tempo passiamo con qualcuno, ma l’impronta che ci lascia.»

Prendo un respiro e la guardo.

«Non possiamo trattenerle, ma possiamo portarle con noi. Non come assenza, ma come parte di quello che siamo diventati.»

La terra ricorda chi l’ha vissuta. Alcuni nomi restano scolpiti nella pietra più di quelli nei libri di storia.

la rocca di Radicofani (foto flight simulator 2024)

Le acque magiche di Saturnia: un sorvolo tra sogno e realtà

La nuova rotta ci porta su un fiume che serpeggia dolcemente tra le valli: il Fiume Albegna. Le sue curve sembrano disegnare una melodia visiva che si sposa perfettamente con la calma di questo tratto di volo.

«Guarda laggiù!» esclama Veronika, indicando un punto poco più avanti. «Quelle devono essere le Terme di Saturnia.»

Abbasso leggermente la quota, rallentando per osservarle meglio. Le Cascate del Mulino sono ben distinguibili, una serie di vasche naturali scavate nella pietra, da cui si alzano leggere volute di vapore. Il bianco della schiuma contrasta con le rocce grigio-azzurre e il verde della vegetazione circostante.

«Incredibile» mormora Veronika. «Sembrano sculture create dall’acqua stessa.»

Sorvoliamo lentamente il sito, lasciandoci avvolgere dalla vista ipnotica dell’acqua che scorre senza sosta, modellando il paesaggio come farebbe un artista paziente. Per un attimo, mi immagino lì, immerso in una di quelle vasche mentre il calore dell’acqua scioglie ogni pensiero di questa giornata.

«Un giorno ci fermiamo qui, vero?» chiede Veronika, con un tono che è già una decisione.

Sorrido. «Lo faremo. Aggiungilo pure alla lista. Ci servirà un altro giro del mondo per spuntare poi tutte le voci di quella lista» le dico scherzando.

Le Cascate del Mulino restano impresse nei nostri occhi mentre le lasciamo scivolare dietro di noi. L’immagine del vapore che si solleva leggero nell’aria fresca sembra un invito a rallentare, a immergersi nel tempo anziché lasciarselo scorrere accanto.

Davanti a noi la costa si avvicina.

Alcuni luoghi non sono solo paesaggi ma promesse di momenti futuri ancora da vivere.

cascate del Mulino alle Terme di Saturnia (foto flight simulator 2024)

Orbetello e Porto d’Ercole: il riflesso del tempo

Il paesaggio cambia di colpo. Superata l’ultima collina, la laguna di Orbetello si apre davanti a noi come uno specchio che riflette il cielo viola del tramonto. I due sottili lembi di terra che collegano l’Argentario alla costa sembrano galleggiare sull’acqua, quasi irreali nella loro perfezione.

«Guarda lì» dico, indicando le due strisce che si allungano nel mare. «Sembrano sospese. Sono artificiali, vero?»

Veronika alza lo sguardo dal finestrino, sorpresa e incantata quanto me. «Aspetta, controllo…» sfoglia rapidamente la guida. «Sono i Tomboli della Feniglia e della Giannella. Non sono artificiali, si sono formati nei secoli grazie alle correnti e ai venti. Sono unici nel loro genere.»

Mi lascio incantare dalla loro geometria naturale. «È incredibile pensare che la natura costruisca confini meglio di qualsiasi architetto.»

Sorvoliamo il cuore di Orbetello, la città che sorge come un’isola sulla laguna. Le sue strade strette, le mura antiche, il profilo delle chiese immerse nella luce dorata del tramonto… c’è un non so che di magico.

«Qui il passato si stratifica» dice Veronika. «Gli Etruschi la fortificarono, i Romani ne fecero un porto strategico, gli Spagnoli la trasformarono in una roccaforte.»

Ci sono incontri che durano per sempre, altri si dissolvono nel tempo come un mistero mai risolto.

la laguna di Orbetello (foto flight simulator 2024)

Sorvoliamo lentamente la laguna, quando Porto Ercole appare poco dopo, abbracciato dalle colline dell’Argentario. Le sue case colorate si affacciano sul porto, mentre le antiche fortezze spagnole si ergono sopra di esso.

«Porto Ercole è famoso per le sue fortificazioni» dice Veronika. «Forte Stella, Forte Filippo e la Rocca Spagnola. Sono state costruite proprio dagli Spagnoli per difendere la costa dagli attacchi dei pirati.»

«Pirati e tempeste» aggiungo, osservando il porto rivolto verso la terraferma. «La posizione sembra studiata per proteggere non solo le persone, ma anche le navi.»

Veronika annuisce, poi si ferma su un altro paragrafo. «Aspetta, aspetta… c’è un’altra storia interessante: pare che Caravaggio sia morto proprio qui.»

«Caravaggio?» chiedo incuriosito. «Che ci faceva a Porto Ercole

«A quanto pare stava cercando di tornare a Roma» spiega lei. «Era in fuga da una condanna a morte e cercava il perdono papale, ma venne arrestato per errore vicino Palo Laziale. Quando lo rilasciarono, arrivò qui malato e indebolito, dove morì nel 1610. Non si sa esattamente dove sia stato sepolto, ma alcuni resti trovati in zona potrebbero essere i suoi.»

Resto in silenzio per un momento, osservando il borgo che scorre sotto di noi. Le luci del porto si riflettono sull’acqua, creando un’atmosfera calma e quasi irreale.

«È assurdo» dico infine. «Puoi lasciare un segno enorme nel mondo, cambiare la storia, eppure morire lontano da tutto, quasi dimenticato. La vita è imprevedibile, vero?»

Veronika annuisce pensierosa. «Forse è proprio questo che la rende unica. Non sai mai dove ti porterà né come si concluderà il tuo viaggio.»

Sorvoliamo Porto Ercole, virando lentamente verso la costa, con la laguna di Orbetello che si estende alla nostra sinistra.

La luce violacea del tramonto si riflette ancora sull’acqua, un ultimo saluto prima che il giorno ceda alla notte.

Puoi lasciare un segno indelebile nella storia eppure svanire nell’ombra, lontano da tutto. La vita è imprevedibile, proprio come il viaggio.

sorvolando Porto d’Ercole (foto flight simulator 2024)

Un atterraggio fuori dall’ordinario

Mentre Orbetello sfila lentamente alla nostra sinistra, avverto un leggero peso nello stomaco. L’idea di atterrare su una pista in erba mi preoccupa: è il primo campo di questo tipo da quando ho ottenuto il brevetto. La luce del tramonto è ormai fioca e la mancanza di segnali visivi chiari rende tutto più incerto. Controllo spesso il tablet alla mia destra, dove la rotta tracciata ci porta verso una piccola pista immersa nella natura, vicino al Lago di Burano.

«Tutto bene?» chiede Veronika, cogliendo la mia espressione tesa.

«Sì… o quasi» rispondo, cercando di sorridere. «È la prima volta che atterro su erba. L’asfalto è prevedibile, l’erba no. È più morbida, ma può nascondere insidie. Il Cessna 172 è progettato per questo, ma è comunque una prima volta per me.»

Veronika annuisce con un sorriso rassicurante. «Sei un ottimo pilota. Ce la farai.»

Mentre il Lago di Burano appare poco distante, Veronika scorre la guida tra le mani.

«Dice qui che è una riserva naturale del WWF, una delle più importanti d’Italia. Pare che ci siano tantissimi uccelli rari.»

«Sì, sì, molto interessante» rispondo, mantenendo lo sguardo fisso sulla rotta. «Magari ci torneremo un giorno per esplorarla meglio. Per ora, però, concentriamoci sull’atterraggio.»

La pista erbosa è difficile da individuare nella luce ormai calante. Mi affido ai riferimenti del tablet e agli strumenti, cercando di allinearmi correttamente.

Dal sedile posteriore, Skippy si raddrizza, le orecchie tese, lo sguardo fisso fuori dal finestrino. Poi mi lancia un’occhiata rapida, come se avesse percepito qualcosa nell’aria, una tensione nuova.

Veronika, che ha colto il nervosismo della nostra navigatrice, cerca di alleggerire l’atmosfera.

«Se vuoi, ti racconto una delle mie barzellette terribili.»

«Non peggioriamo la situazione» ridacchio, mentre riduco gradualmente la velocità.

Finalmente scorgo la pista. Stringo i comandi. Il contatto con l’erba è più morbido del previsto, ma il Cessna sobbalza. Mantengo il controllo, rallento dolcemente e alla fine ci fermiamo.

Un lungo sospiro si fa sentire dalla cabina: Skippy, rilassata, emette un suono esagerato che ci fa scoppiare a ridere tutti.

«Direi che qualcuno non si fidava di me» dico, osservandola mentre si lascia andare sul sedile, finalmente rilassata. Poi, con un gesto studiato, afferra gli occhialoni e se li sistema in testa con solennità.

Veronika scoppia a ridere. «Non ci posso credere. Sei proprio tremenda!»

Ogni atterraggio è un nuovo inizio. Ogni volo è un passo verso qualcosa di più grande.

atterrati sull’erba (foto flight simulator 2024)

Un nuovo orizzonte ci attende

Mettere in sicurezza l’aereo su una pista erbosa richiede qualche attenzione in più. Assicuro i freni con cura, posiziono i cunei sotto le ruote e controllo che tutto sia stabile. È diverso dall’asfalto, più irregolare, meno prevedibile, ma c’è una certa soddisfazione nel vedere il Cessna 172 fermo, pronto per la prossima partenza.

Veronika si avvicina, sistemando il suo zaino con gesti lenti ma precisi. Mi guarda con un sorriso che tradisce una nuova energia, quella che arriva quando riesci a metabolizzare qualcosa che ti rattristava.

Le sorrido, poi lasciamo l’aereo alle nostre spalle mentre il cielo si oscura lentamente.

Il vento della sera porta con sé la promessa di nuove avventure.

Ogni viaggio finisce con un atterraggio ma le vere avventure iniziano sempre con un nuovo decollo.

03 – Volo Pisa Siena

Decollo da Pisa

In aeroporto l’aria è densa di calore e odore di carburante. Il Cessna 172 è già pronto in piazzola, il muso rivolto verso l’orizzonte come un cavallo impaziente alla partenza.

Prima di salire a bordo, facciamo un rapido pit stop nei bagni dell’hangar. Lo specchio riflette occhiaie leggere e capelli spettinati dal vento. Veronika si osserva e sorride con un’alzata di spalle.

«Non vinceremo un premio per l’eleganza oggi.»

«Fortuna che non ci giudicano per questo» ribatto, aggiustandole un ricciolo ribelle. «E comunque, sei sempre bellissima.»

Lei scuote la testa divertita e mi spinge via con un sorriso.

Pochi minuti dopo siamo a bordo. La checklist scorre veloce, le mani seguono gesti ormai familiari, e poi… il ruggito del motore riempie la cabina. Il Cessna prende vita, accelera sulla pista e si stacca dal suolo con leggerezza.

L’Arno si srotola sotto di noi come un nastro liquido mentre Pisa si allontana lentamente. La Torre Pendente, ormai solo un piccolo tratto bianco nel mosaico della città, sembra inclinarci un ultimo saluto. Fragile e perfetta allo stesso tempo.

«Chissà se qualcuno riuscirà mai davvero a raddrizzarla» mormora Veronika.

«Spero di no» rispondo, lanciandole un’occhiata complice. «È bella proprio perché è imperfetta.»

Dietro di noi, Skippy osserva fuori dal finestrino con le orecchie dritte. Non resisto a coinvolgerla:

«Ehi, Skippy, vuoi venire qui davanti? Oggi voliamo in prima fila.»

Non serve ripeterlo. Scatta in piedi e con un salto si sistema sulle gambe di Veronika, visto che dal sedile il cruscotto è troppo alto. I suoi occhiali da pilota, che sembravano un gioco, ora brillano di serietà.

«Tutto sotto controllo, comandante?» chiedo scherzando.

Skippy muove appena un orecchio e mi lancia uno sguardo rapido, come a dire “Ovvio.”

Veronika ride. «Adesso sì che mi sento al sicuro.»

La scena ci strappa un momento di leggerezza mentre puntiamo verso Pontedera. Il cielo si fa più aperto e luminoso, come se volesse accompagnare il nostro volo.

“Ogni decollo è un nuovo inizio. Ogni volo da una prospettiva diversa.”

Pisa vista durante il decollo (foto flight simulator 2024)

Pontedera: la casa della Vespa

Pontedera a un primo sguardo non svela subito la sua importanza eppure è qui che è nata un’icona: la Vespa.

«Lo sapevi che qui è nata la Vespa?» chiedo a Veronika, indicando la città sotto di noi.

Lei si volta curiosa. «Davvero? Non lo sapevo.»

«Sì» rispondo con un sorriso. «La Piaggio ha inventato la Vespa proprio qui e negli anni ’50 ha cambiato il modo di muoversi degli italiani. Era economica, semplice da guidare e diventò un simbolo di libertà e rinascita dopo la guerra.»

«Davvero? Mai avrei detto che fosse nata qui.» risponde sorpresa.

«E pensa che è diventata famosa in tutto il mondo. Ti ricordi Vacanze Romane? Quella Vespa con Gregory Peck e Audrey Hepburn è ancora un simbolo.»

Un ricordo riaffiora e non riesco a trattenere un sorriso. «Sai, il mio primo scooter è stato proprio un Piaggio, per la precisione un Piaggio Zip Disk. Avevo 14 anni, era rosso fiammante. Sembrava che il mondo intero fosse mio.»

Veronika ride immaginandomi ragazzino. «Un Zip Disk? Racconta!»

«Non era il più veloce ma era perfetto, almeno per me» continuo. «Ricordo ancora il rombo del motore, l’aria in faccia e quella libertà assoluta. È stato il mio primo amore a due ruote… forse è da lì che è iniziato tutto.»

«E poi sei passato dalle due ruote alle ali» aggiunge Veronika con un sorriso complice.

«Già» rispondo ridendo. «Dalla strada al cielo: non ho mai smesso di esplorare.»

Sorvoliamo i capannoni della Piaggio e il ricordo mi strappa un sorriso malinconico. «Pensare che tutto è partito da qui mi fa sorridere. Credo che la Piaggio abbia persino un museo dove custodisce la storia di questa icona.»

Veronika guarda fuori. «Quasi quasi lo segno per il futuro.»

Skippy, dal suo posto di co-pilota, muove le orecchie come se volesse approvare. Veronika le accarezza la testa. «Aggiudicato. Museo della Vespa nella lista.»

Il Cessna 172 continua a scivolare nell’aria lasciandosi alle spalle Pontedera. La città si allontana lentamente ma questo piccolo sorvolo ci ha ricordato che ogni viaggio comincia sempre da un primo motore, da una prima ruota… o, a volte, da un primo volo.

Ogni viaggio inizia da un primo motore, da una prima ruota… o, a volte, da un primo volo.

i capannoni della Piaggio a Pontedera (foto flight simulator 2024)

L’antica Volterra: storie di pietra e luce

Volterra ci aspetta più avanti, un antico gioiello che domina la cima di una collina. Mentre la raggiungiamo, Veronika cerca di sfogliare la guida della Toscana con Skippy ancora in piedi sulle sue gambe, un po’ troppo coinvolta nel ruolo di co-pilota. La sua coda finisce puntualmente tra le pagine, rendendo ogni lettura una vera impresa.

«Skippy, fermati! Non riesco a leggere!» esclama Veronika, trattenendo una risata mentre cerca di spostarla delicatamente. «Cami, direi che oggi sarà dura.»

Guardo Skippy di sfuggita: è serissima, con le orecchie dritte e lo sguardo fisso fuori dal finestrino.

«Lasciala fare il suo lavoro» le dico con un sorriso, mantenendo stabile la rotta.

Veronika sorride e insiste. «Vediamo se riesco comunque a raccontarti qualcosa. Allora… Volterra è famosa per le sue origini etrusche…» Sposta la coda di Skippy. «…e per l’alabastro

«L’alabastro?» ripeto, lasciandole spazio per proseguire.

«Sì, una pietra bianca e traslucida, leggerissima e luminosa. Da secoli la lavorano per creare oggetti sottilissimi, lampade e vasi che sembrano prendere vita quando la luce li attraversa.»

La città si avvicina sempre di più.

«Volterra è anche una delle città più antiche della Toscana. Prima gli Etruschi, poi i Romani e infine il Medioevo con le mura e le torri che vediamo ancora oggi.»

Osservo Veronika intenta a leggere la guida, ormai rassegnata a convivere con Skippy e la sua coda.

«Parla anche di un teatro romano, vero?»

«Sì, uno dei meglio conservati d’Italia. Pensa che lo hanno scoperto solo negli anni ’50 nascosto sotto un campo. Era rimasto lì per secoli come un tesoro dimenticato.»

Veronika si sporge leggermente fissando la città dall’alto. «Dev’essere stato un momento incredibile quello di riportare alla luce una meraviglia così.»

Sorvoliamo lentamente Volterra per goderci ogni dettaglio. Le mura medievali formano un anello che abbraccia il borgo, come a proteggerne il cuore antico. Al centro spicca una Torre con un’imponente struttura in pietra che si staglia contro il cielo.

«Sembra che sia la Torre del Palazzo dei Priori, la torre civica più antica della Toscana» continua Veronika, indicando la costruzione. «Fu costruita nel XIII secolo e pare che abbia ispirato addirittura il Palazzo Vecchio di Firenze

«Sembra un set perfetto per un film storico.» pronuncio, osservando la piazza fuori dal finestrino.

«Infatti, Volterra non è solo una delle città più antiche d’Italia ma è anche diventata una meta turistica per la sua atmosfera unica. E non solo per la storia: ha attirato artisti, scrittori… e anche qualche fan dei vampiri.»

Mi giro incuriosito. «Vampiri?»

Lei mi sorride. «Sì, grazie alla saga di Twilight. Qui è ambientata la storia dei Volturi, un antico clan aristocratico di vampiri. Anche se le riprese sono state girate altrove, Volterra è diventata una meta di pellegrinaggio per i fan.»

«Quindi oltre agli Etruschi e ai Romani, adesso abbiamo anche i vampiri.» le rispondo con tono scherzoso.

«Esatto, un mix perfetto di storia e leggenda.»

Skippy, immobile e concentrata, osserva tutto con aria professionale, questa volta più attenta agli indicatori e al navigatore.

Completo un giro sopra la città, la sua bellezza ci cattura. C’è qualcosa che la fa sembrare sospesa nel tempo.

«Rotta verso San Gimignano?» chiedo poi, spezzando il silenzio.

«Andiamo» risponde Veronika con un sorriso, arrendendosi all’idea che leggere la guida oggi sarà impossibile. «Vediamo quante torri ci aspettano questa volta.»

Le colline toscane tornano a srotolarsi sotto di noi mentre il sole scende ancora un po’ verso l’orizzonte. Direzione San Gimignano.

“Volterra è una città sospesa nel tempo, dove la pietra racconta storie antiche e la luce trasforma ogni dettaglio in memoria.”

sopra Volterra (foto flight simulator 2024)

San Gimignano: la Manhattan del Medioevo

Le colline si srotolano sotto di noi mentre San Gimignano si avvicina, la sua silhouette inconfondibile si staglia contro l’orizzonte. Le torri si ergono ancora fiere nel cuore del borgo medievale.

«Quante torri ha San Gimignano?» chiede Veronika con tono di sfida, tenendo la guida aperta ma strategicamente nascosta alla mia vista.

Skippy, ora più calma, è impeccabile nel suo ruolo di navigatrice, dandole il tempo di leggere comodamente la guida.

«Una volta erano una settantina, se non sbaglio» rispondo, regolando quota e velocità per goderci meglio la vista.

«Bravo» replica Veronika con un sorriso soddisfatto. «Per la precisione, erano 72. Oggi ne restano solo 13, ma bastano per farle guadagnare il soprannome di Manhattan del Medioevo

Scatta una foto veloce, poi continua: «Incredibile pensare che ne abbiano costruite così tante, soprattutto all’epoca.»

«Era sempre una questione di prestigio» le ricordo, lasciando scorrere lo sguardo sul borgo. «Le famiglie più ricche si sfidavano a chi costruiva la torre più alta, esattamente come succedeva a Bologna. Solo che qui la competizione pare essere andata avanti molto più a lungo.»

«Più alta la torre, più potente la famiglia» commenta Veronika a bassa voce, osservando il profilo delle torri e le ombre lunghe che si proiettano sulle stradine medievali.

«E più gradini da salire, direi» aggiungo ridendo.

Lei ride a sua volta e poi indica una delle torri più imponenti. «Quella deve essere la Torre Grossa, la più alta della città.»

«E quella laggiù?» rispondo abbassando leggermente la quota. «Quella più bassa, con una forma un po’ strana.»

Veronika scorre la guida con un’espressione incuriosita. «Oh, questa è interessante. Si chiama Torre del Diavolo

«Del Diavolo?» ripeto, sorvolando la struttura con uno sguardo più attento.

Lei assume un’aria teatrale e inizia a leggere a voce alta, con una lentezza volutamente drammatica.

«Si racconta che, tanto tempo fa, un ricco mercante possedeva questa torre. Un uomo superbo e molto avaro. Un giorno partì per un lungo viaggio, lasciando la sua casa così com’era.» Fa una breve pausa, lasciando che le parole si depositino.

Skippy, immobile sulle sue zampe, mantiene un’aria concentrata sulla strumentazione, ma la tensione nelle sue orecchie tradisce il fatto che stia ascoltando ogni parola.

«Quando tornò…» Veronika abbassa leggermente la voce, come se stesse per svelare un segreto. «…qualcosa era cambiato. La torre non era più la stessa.»

Mi volto verso di lei. «In che senso?»

Veronika lascia scorrere lentamente un dito sulla guida. «Era più alta.»

Skippy muove appena un orecchio ma rimane composta, con lo sguardo fisso sugli strumenti, come se l’argomento non la riguardasse affatto.

«Il mercante non riusciva a spiegarsi come fosse possibile. Nessuno aveva avuto il permesso di modificarla, nessun operaio l’aveva toccata, eppure la torre si era allungata di diversi metri… come se fosse cresciuta da sola.»

L’aria nella cabina sembra improvvisamente più densa.

Veronika continua con voce più bassa. «Poi la gente iniziò a parlare. Qualcuno raccontò di strane ombre tra le pietre… altri dissero di aver sentito sussurri nelle notti senza luna. E c’era chi giurava che la torre stessa… fosse stata toccata da qualcosa di innaturale.»

Skippy deglutisce appena, le zampe sempre piantate sulle gambe di Veronika, il musetto impassibile ma la coda che si muove appena, segno inequivocabile che sta trattenendo la tensione.

Veronika la ignora e prosegue, rallentando ancora di più il ritmo.

«Ma la parte più inquietante è un’altra…»

Skippy rimane immobile.

«Una notte…» Veronika si interrompe un istante, poi allunga le mani in un movimento fulmineo e pizzica i fianchi di Skippy esclamando Boooh!

La reazione è istantanea. Skippy balza in aria con un salto incredibile, scappa sui sedili posteriori in un tripudio di zampe e occhialoni storti, prima di raggomitolarsi dietro lo zaino di Veronika come se potesse difenderla, con il cuore chiaramente accelerato.

Scoppiamo a ridere mentre lei, ancora in posizione di difesa, ci osserva con occhi spalancati e sospettosi.

«Skippy, stavo solo scherzando!» ride Veronika, cercando di allungare una mano per accarezzarla.

Ma Skippy non si fida più. Rimane immobile per qualche secondo, poi con grande dignità si sistema gli occhialoni, torna lentamente al suo posto di comando e si siede, fissando Veronika con aria severa e zampe conserte.

«Ok, credo che per oggi tu abbia perso una navigatrice» commento ridendo.

«Mi farò perdonare» sorride Veronika. «Magari con un po’ di biscotti.»

Skippy la osserva di sottecchi, con una lentezza studiata, poi si riposiziona sul suo sedile e appoggia le zampe sulla strumentazione come se nulla fosse accaduto, ma il musetto accigliato lascia intendere che la questione è tutt’altro che chiusa. Uno sguardo che sembra dire questa me la paghi.

Completo un lungo cerchio sopra il borgo. Da quassù le torri sembrano dita di pietra che tentano di raggiungere il cielo, testimoni silenziose di storie di rivalità e ambizioni scolpite nel tempo.

La luce del sole che si abbassa è il segnale che è ora di proseguire.

“San Gimignano si erge tra le colline come una sfida al tempo: torri che raccontano potere, rivalità e il desiderio eterno di toccare il cielo.”

Sopra San Gimignano (foto flight simulator 2024)

Monteriggioni: la corona di pietra

«Eccola!» esclamo avvistando Monteriggioni, che da quassù sembra davvero una corona di pietra con le sue mura medievali perfettamente conservate e le torri merlate che si alzano come guardiani silenziosi.

Veronika abbassa la fotocamera, quasi sorpresa. «È minuscola ma sembra incredibile!»

Annuisco, rallentando il velivolo. «È piccola, sì, ma strategica. Ci sono stato anni fa in moto. È uno di quei luoghi che ti restano impressi: cammini tra le mura e ti sembra che il tempo si sia fermato.»

Lei mi lancia uno sguardo curioso. «Quindi lo conosci bene.»

«Bene no, ma abbastanza da ricordare qualcosa della sua storia» rispondo con un sorriso. «I senesi lo costruirono nel XIII secolo per difendere la via Francigena. Era un avamposto militare per proteggersi dai fiorentini. Da qui potevano controllare tutti i movimenti.»

Veronika guarda fuori mentre il borgo si avvicina sempre di più. «Ma è vero che Dante ne parla nella Divina Commedia

«Sì» rispondo con una risata. «Descrive le torri come enormi giganti che emergono dalla terra. Da terra sembrano schiacciarti con la loro imponenza… ma da quassù sembra quasi che stiano ancora vegliando sulla valle, immobili da secoli.»

Skippy, dalla sua posizione di co-pilota, è tornata ad osservare tutto con estrema serietà, visibilmente più calma dopo lo scherzo di Veronika.

Girandole intorno, Monteriggioni si mostra in tutta la sua bellezza: mura tonde che formano un anello perfetto e torri che spiccano contro il cielo della sera.

Veronika scatta una raffica di foto. «Piccolo, raccolto ma con una storia che sembra enorme.»

«E pensa che è così iconico da essere finito perfino nei videogiochi. In Assassin’s Creed lo hanno ricostruito fedelmente: mura, torri e perfino la piazza centrale. Ti sembra di camminarci davvero.»

Veronika alza un sopracciglio. «Quindi sei stato qui anche nei panni di un assassino medievale?»

Sorrido. «Diciamo che ho esplorato le sue mura in modi alternativi.»

Veronika scuote la testa sorridendo. «Ogni volta scopro un tuo passato segreto.»

«Aspetta di sentire il prossimo.» Poi, guardando Skippy con un sorriso, le chiedo: «Capitano, rotta verso Siena

Skippy si sporge leggermente in avanti sfiorando il tablet con la zampetta. Veronika ride di gusto. «Credo che abbia deciso di diventare anche navigatrice.»

Virando dolcemente verso sud lasciamo Monteriggioni alle nostre spalle. Le sue mura si rimpiccioliscono lentamente ma restano scolpite nella nostra memoria come un piccolo capolavoro medievale.

«Che programmi abbiamo per domani?» chiede Veronika, riponendo la guida nello zaino.

Fingo di pensarci un attimo, mantenendo lo sguardo fisso sulla rotta. «Non ricordo… Controlliamo l’agenda quando atterriamo» rispondo con un sorriso enigmatico.

Lei scuote la testa divertita. «Sai essere davvero misterioso quando vuoi.»

“Monteriggioni è un frammento di Medioevo sospeso nel tempo: mura perfette, torri imponenti e una storia che risuona ancora tra le pietre antiche.”

Monteriggioni vista dall’alto (foto flight simulator 2024)

Siena: tra Memorie e Tradizioni

Veronika osserva fuori dal finestrino in silenzio, la fotocamera dimenticata sulle ginocchia. Lo sguardo perso e malinconico mi dice tutto.

«Stai pensando a quella volta, vero?» chiedo con dolcezza.

Lei si volta verso di me con un sorriso appena accennato. «Sì… a quella mattina. Non me lo scorderò mai.»

Anche io la ricordo bene. Eravamo arrivati a Siena per un weekend. La sera prima era stata perfetta: una passeggiata nel centro storico, le luci calde che accendevano ogni angolo, Piazza del Campo piena di vita e, infine, una cena in una trattoria nascosta. Uno di quei posti dove il tempo scorre più lento, dove l’oste ti accoglie con un sorriso e un bicchiere di vino già pronto per te.

Ricordo ancora il profumo della porchetta toscana e il sapore intenso del rosso che avevamo scelto.

«E poi quella mattina…» continua lei.

«Non dimenticherò mai la tua faccia quando mi hai detto che stavi male» dico con dolcezza.

Veronika scuote la testa, coprendosi il viso con una mano. «Ero distrutta. Mi sentivo in colpa per aver rovinato tutto.»

«Ora come quella mattina ti ripeto che non hai rovinato nulla» rispondo. «Avevamo solo bisogno di una scusa per tornare. E guarda un po’: eccoci qua.»

Lei abbassa la mano, mi prende la mia e finalmente sorride più serena. «Avevi promesso che saremmo tornati. E avevi ragione, hai mantenuto la promessa.»

Sorvoliamo la periferia e il centro storico inizia a svelarsi. Le torri del Duomo di Siena svettano nel cielo e Piazza del Campo si apre come un ventaglio perfetto nel cuore della città.

«Eccola…» mormora Veronika, sollevando finalmente la fotocamera.

Inizio un lungo giro sopra Siena, lasciando che ogni dettaglio si imprima nella memoria: i tetti rossi, le strade strette, le torri e i campanili che sembrano raccontare storie antiche.

«Ricordi cosa ci disse l’oste sulle contrade?» chiedo, cercando di coinvolgerla e farle pensare ad altro.

Veronika annuisce, il sorriso più vivo. «Ci spiegò che Siena è divisa in 17 contrade: l’Oca, il Drago, la Torre… ognuna con i propri colori, simboli e tradizioni, e che l’appartenenza a una contrada è quasi una questione di identità per i senesi.» Fa una piccola pausa, poi continua: «Ricordo anche che ci parlò delle rivalità storiche tra alcune di esse, rivalità che si accendono soprattutto durante il Palio.»

«Già» aggiungo. «Il Palio di Siena. La corsa di cavalli più famosa d’Italia. Più che una gara, è una battaglia d’onore.»

Faccio un altro giro sopra Piazza del Campo e mi torna in mente la voce profonda dell’oste che, con gesti teatrali, ci raccontava: «La città cambia completamente durante il Palio. Le strade si riempiono di bandiere, tamburi e canti, e ogni contradaiolo vive quei giorni con un’intensità unica.»

«Ricordo che ci raccontò delle rivalità» aggiunge Veronika. «Alcune contrade non si sopportano da secoli. Eppure, tra tutte le tensioni, ci sono anche alleanze, amicizie, legami che si tramandano di generazione in generazione.»

Skippy, che fino a quel momento sembrava disinteressata, all’improvviso gira la testa osservandoci e annusando l’aria con fare interrogativo.

«Secondo me vuole sapere se durante il Palio si mangia anche qualcosa» dico ridendo.

Veronika scoppia a ridere e le gratta la testa. «Probabilmente, piccola esploratrice. Dovrai attendere l’atterraggio però.»

Skippy inclina il musetto, riflettendo, poi torna a concentrarsi sugli strumenti con aria professionale.

«Chissà» dice Veronika, «forse un giorno potremo assistere al Palio di persona. Deve essere un’esperienza incredibile.»

«Sarebbe fantastico» rispondo. «Per ora godiamoci questa vista privilegiata su Siena

Il sole, ormai basso, tinge la città di sfumature dorate e allunga le ombre delle torri sulle strade medievali. È un momento perfetto, sospeso tra passato e presente.

Veronika osserva la città sotto di noi, poi si volta con un sorriso. «Sai, forse in fondo è proprio questo il bello dei viaggi.»

«Cosa?»

«Non si tratta solo di vedere posti nuovi. A volte si torna indietro ma con occhi diversi.»

Mi stringe la mano con dolcezza. «E con promesse che, a volte, portano più lontano di quanto si immagini.»

“Siena non è solo una città, è un’anima divisa in contrade, un cuore che batte al ritmo del Palio e una storia che si rinnova ogni giorno.”

Sopra Siena (foto flight simulator 2024)
NOTA la sfocatura è voluta perchè Siena non è riprodotta bene in FS24 ed era un peccato mostrarla male

Atterraggio e agriturismo

«Ok ragazze, prepariamoci all’atterraggio, la fame si fa sentire» annuncio, portando il Cessna 172 verso la pista. Il volo si conclude con un atterraggio leggero mentre il motore si spegne con il suo ultimo ruggito e il silenzio della sera ci accoglie.

Ultimate le pratiche aeroportuali, carichiamo gli zaini sull’auto a noleggio e in pochi minuti ci lasciamo l’aeroporto alle spalle. La strada si snoda tra colline e cipressi in un iconico paesaggio toscano. L’aria profuma di erba e di terra umida. Ogni curva sembra portarci più vicino alla quiete che stavamo cercando.

Dopo qualche minuto il nostro agriturismo compare in cima a una collina. Un casolare antico di pietra con le finestre illuminate che sembrano aspettarci.

Scendo dall’auto con gli zaini mentre Veronika si ferma per un momento a osservare il panorama. Il silenzio è quasi surreale, rotto solo dal fruscio del vento e dal canto dei grilli.

«Perfetto» mormora lei con un sorriso soddisfatto.

Skippy, già impegnata a ispezionare ogni angolo, si allontana di qualche metro con la coda alta, annusando l’aria con attenzione. Poi si gira verso di noi e inclina la testa, come per dire: “Bene, ma ora si mangia?”

«Credo che una doccia calda sarà il miglior finale per questa giornata» dico con tono stanco, mentre varchiamo l’ingresso dell’agriturismo. Il profumo di legno e di cucina toscana ci avvolge immediatamente, caldo e accogliente, come la promessa di un rifugio dove riprenderci dopo questa intensa giornata.

«Se il profumo della cucina è un indizio, direi che questa giornata avrà un finale perfetto.»

“Tra le colline di Siena il tempo rallenta e il silenzio della campagna diventa la voce più sincera del viaggio.”

02 – Volo Firenze Pisa

Decollo da Firenze: un ultimo sguardo alla città

In aeroporto il Cessna 172 ci attende sulla piazzola, pronto per il prossimo volo. Salire a bordo, rullare in pista, sentire il motore vibrare sotto le mani: un rituale che sta diventando naturale, fluido come il volo stesso.

L’autorizzazione dalla torre, un cenno d’intesa tra me e Veronika, il rombo del motore riempie la cabina e, in pochi istanti, siamo di nuovo in volo. Le ruote lasciano terra con leggerezza mentre Firenze si distende alla nostra destra, avvolta in quella luce dorata del tramonto che la rende quasi irreale.

“Non sembra vero di aver fatto così tante cose in un solo giorno” mormora Veronika, osservando la Cupola del Brunelleschi in lontananza. Resta in silenzio per un istante, poi sorride. “Chissà come la vedremo la prossima volta.”

“Firenze non cambia, siamo noi a vederla con occhi nuovi ogni volta che torniamo.”

Firenze in lontananza (foto da Flight Simulator 2024)

Sorvolo di Prato

Poco dopo Prato compare all’orizzonte: un intreccio ordinato di tetti e mura antiche. Io mantengo la rotta mentre Veronika, con la guida della Toscana aperta sulle ginocchia, alterna lettura all’osservazione fuori dal finestrino con la sua solita espressione attenta.

“Guarda laggiù” dice, indicando con la mano. “Qui parla del Castello dell’Imperatore… uno dei pochi di origine sveva in Italia. Lo fece costruire Federico II per consolidare il suo dominio sulla Toscana.”

“Svevo?” chiedo, cercando di ricordare bene il termine.

“Sì!” Veronika annuisce. “Venivano dal sud della Germania, gente pratica e senza troppi fronzoli. Se i castelli toscani sono eleganti signori rinascimentali con la barba curata, questi sono guerrieri con la mascella quadrata e la spada in mano. Pietra, linee dritte, funzionali e massicci, niente orpelli inutili.”

Skippy gonfia il petto, si mette in posa da guerriera sveva, poi guarda le sue zampette corte… e sospira rassegnata. La scena, più buffa che minacciosa, ci strappa una risata.

“Come un pezzo di Germania trapiantato in Toscana, quindi” commento, lanciando un’occhiata giù. Il Castello spicca per la sua forma geometrica e massiccia, un contrasto netto con il resto della città.

“Ma non c’è solo questo” aggiunge Veronika, scorrendo le righe della guida. “Prato ha sempre trasformato tessuti: prima con la lana rigenerata, oggi con il riciclo all’avanguardia.”

“Economia circolare prima che fosse di moda” osservo con un sorriso.

“Esatto!” ribatte lei, scattando una foto del panorama. “Chi lo avrebbe detto che da questa città partivano tessuti per tutta Europa?”

Nel frattempo Prato scorre sotto di noi e il Castello svanisce dalla vista, lasciando il posto alle colline morbide del Montalbano, distese tra vigneti e oliveti.

“Prato è sempre stata all’avanguardia: un tempo capitale del tessile, oggi esempio di economia circolare. Un’arte che trasforma e rinnova senza mai dimenticare la propria storia.”

Il Castello di Prato visto dall’alto (foto da Flight Simulator 2024)

Omaggio a Vinci: il volo del genio

Per superare le colline devo guadagnare quota: accelero leggermente e il Cessna 172 risponde con un ronzio più intenso. È un passaggio che ho già fatto ma ogni volta avverto quella sottile pressione alle orecchie che mi ricorda quanto velocemente stiamo salendo. Un paio di deglutizioni e il fastidio si scioglie, lasciando spazio solo alla meraviglia del panorama.

Superate le colline, Vinci ci accoglie sotto un cielo che sfuma nel viola. Sotto di noi il borgo appare piccolo e solenne con le luci dei lampioni già accese.

“Guardate” dico indicando il borgo che si svela tra i rilievi. “Eccola lì: Vinci. Veronika la ricordi?”

Lei abbassa la fotocamera e sorride. “Come potrei dimenticarla? Il nostro weekend in moto… Le stradine strette, il museo. Era come se Leonardo fosse ancora lì a osservare ogni visitatore.”

Lascio che lo sguardo si perda tra i tetti del borgo. Questa è la sua terra, il punto da cui tutto ha avuto inizio.

“La casa natale di Leonardo, piccola e solitaria tra le colline, aveva una finestra spalancata sulla sua ispirazione: la luce che mutava col giorno, il vento che accarezzava gli ulivi, gli uccelli che si libravano nel cielo. Bastava affacciarsi per capire da dove fosse nata la sua ossessione per il volo.”

Veronika sfoglia nuovamente la guida che tiene sempre sulle ginocchia. “Dice che Leonardo studiava gli uccelli fin da ragazzo, cercando di capire come riuscissero a sfruttare l’aria.”

Mi illumino. Leonardo non è mai stato solo un nome sui libri per me. È stato una scoperta continua, un’ispirazione senza tempo.

“Sì” rispondo con entusiasmo. “Da bambino ho letto e visto di tutto su di lui. Era ossessionato dal volo. Disegnava ali meccaniche, alianti e persino la vite aerea, un prototipo di elicottero. E pensa: tutto questo nel 1400. Parlava di resistenza dell’aria, di profili alari… stava costruendo il futuro senza nemmeno saperlo.”

Veronika osserva il borgo sotto di noi, quasi ipnotizzata. “Era avanti di secoli.”

“Molto più di un inventore” aggiungo, completando un primo giro sopra Vinci. “Leonardo non vedeva il volo solo come scienza ma come un sogno, una libertà conquistata. Ha scritto che ‘chiunque proverà il volo camminerà sulla terra con lo sguardo rivolto al cielo, perché là è stato e là desidererà tornare’. Non era solo ingegneria, era poesia.”

Un ultimo passaggio su Vinci, quasi un saluto al genio che sognava il volo prima che fosse realtà.

Davanti a noi i lampioni disegnano un sentiero luminoso nel crepuscolo, una linea perfetta che sembra indicarci la rotta.

“Guarda” dico a Veronika, indicando la strada che si distende sotto di noi. “È come se ci stesse mostrando la via.”

Lei segue il tracciato con lo sguardo, osservandolo dissolversi verso l’orizzonte, dritto e deciso. “E punta esattamente verso Lucca.”

Allineo il Cessna alla sua traiettoria, lasciando che la strada diventi il nostro riferimento naturale. Come se, da Vinci, il viaggio fosse già stato tracciato.

Davanti a noi Lucca ci aspetta, pronta a raccontarci la sua storia.

“Leonardo non si limitava a sognare il volo, cercava di capirlo. Ogni grande invenzione nasce prima da un’idea, poi dalla volontà di trasformarla in realtà.”

Omaggio a Leonardo (foto da leonardo.ai)

L’approdo a Lucca

Lucca, con nostra meraviglia, appare come un’isola incastonata tra i tetti rossi della Toscana, un gioiello sospeso nel tempo, protetto dal suo anello perfetto di mura cinquecentesche. La Lucca antica dall’alto, con la sua forma chiusa e compatta, si distingue da tutto il resto, come un mondo a sé.

“Guardala, sembra un’isola!” esclamo in cuffia mentre riduco la velocità per godermi la vista.

Veronika, immersa nella lettura della guida, annuisce. “Dice che queste mura sono tra le meglio conservate d’Italia. Un tempo servivano a difendere la città, oggi sono un parco dove la gente passeggia, corre e va in bicicletta.”

Osservo la cintura verde che abbraccia Lucca, perfetta nella sua geometria. “Un parco su una fortificazione… Leonardo avrebbe approvato.”

Quando siamo ormai prossimi al sorvolo, Veronika si ferma su un paragrafo e inclina leggermente la testa.

“Aspetta… qui dice che nel cuore della città c’è una piazza ovale, costruita esattamente sul perimetro di un antico anfiteatro romano. Ora è circondata da edifici che ne rispettano la forma.”

Chiude la guida e scruta la cittadina che ora scorre sotto di noi.

“Deve essere da qualche parte qui sotto…”

Riduco ancora la velocità, lasciandole il tempo di cercarla mentre eseguo una lunga virata sul centro cittadino. I vicoli si susseguono, le piazze si aprono e si chiudono tra i palazzi, fino a quando…

“Eccola!” esclama all’improvviso, puntando il dito con entusiasmo.

Sotto di noi un’ellisse perfetta si incastona nel tessuto urbano, come un’orma lasciata dal passato. I contorni dell’antico anfiteatro romano sono ancora lì, scolpiti nella città.

Piazza dell’Anfiteatro” dice, riconoscendola subito.

Osservo la sua forma e penso che un tempo riecheggiava delle voci della folla, degli spettacoli pubblici, delle celebrazioni, mentre oggi è un luogo di incontri e di vita.

Veronika osserva rapita la piazza che si apre sotto di noi.

“Deve essere bellissimo vederla da terra.”

Sorrido. “Lo sarà. Ti prometto che, una volta finita questa nostra avventura, ci torniamo insieme.”

Lei si volta verso di me con un sorriso che dice tutto.

“Ci conto.”

Dopo un paio di volteggi sulla città puntiamo il muso verso il fiume Serchio lasciando che ci guidi verso la prossima meta.

Veronika si appoggia allo schienale, soddisfatta.

“Vista così, l’Italia sembra ancora più bella.”

“Lucca è un’isola nel tempo, un luogo che ha saputo custodire la sua storia tra mura perfette e piazze che parlano del passato.”

Lucca che sembra un isola (foto da Flight Simulator 2024)

L’incanto di Pisa

Dopo un tratto di volo lineare e rilassante, che ci permette di imprimere nella mente ciò che abbiamo vissuto finora, all’orizzonte si accende Pisa. Le sue luci brillano come gemme nella notte, ma è la Piazza dei Miracoli a catturare i nostri sguardi. Avvolta nel suo alone dorato, emerge come un faro, distinta dal resto, perfettamente consapevole di essere il cuore di questa scena.

“Non è uno spettacolo?” chiedo indicando la piazza.

Veronika si sporge leggermente, la fotocamera già pronta. “Perfetta. Vederla così, dall’alto, la rende ancora più incredibile.”

“Abbiamo fatto bene a scegliere questo orario” aggiungo con un sorriso. “È il momento perfetto per ammirarla.”

Scivoliamo lentamente sopra la piazza, lasciandoci avvolgere dalla sua bellezza. La Torre Pendente, il Duomo di Pisa e il Battistero di San Giovanni brillano come sculture sospese nel tempo, le ombre si allungano sulle lastre di marmo, scolpendo i dettagli come un dipinto vivo. Sono lì da secoli, testimoni silenziosi di storie che ancora riecheggiano tra queste mura.

Per un attimo restiamo in silenzio, immersi nel panorama. Solo ora ci accorgiamo che qualcosa è insolito.

“Aspetta un attimo…” mormora Veronika, voltandosi verso il sedile posteriore. “Skippy è troppo silenziosa.”

Ci scambiamo un’occhiata. Fino ad ora non ce ne eravamo resi conto, rapiti dal paesaggio.

Mi giro e la trovo rannicchiata sul sedile, immersa in un sonno profondo. Il respiro lento, gli occhialoni scivolati sul muso, l’aria di chi ha combattuto eroicamente contro la stanchezza… e ha perso.

Veronika sorride con tenerezza, sfiorandole appena il pelo. “Si è addormentata senza che ce ne accorgessimo.”

Mi scappa una risata. “Credo che la giornata l’abbia messa KO.”

Skippy, che di solito osserva tutto con l’entusiasmo di un’esploratrice, stavolta si è lasciata cullare dal volo, dalla voce calma della radio, dal battito regolare dei pistoni dell’aereo. Forse, penso, è il modo in cui ci dimostra che si fida di noi, sapendo che qualunque sia la meta ci arriveremo insieme.

“Nessun problema” sussurra Veronika, “Vedrà tutto tra poco, anche se da terra.”

Torniamo a osservare la città, lasciando dormire beatamente la piccola esploratrice. La Torre Pendente si mostra in tutta la sua inclinazione impossibile, sfidando le leggi della fisica, eppure, contro ogni previsione, è rimasta in piedi per secoli diventando il simbolo di un’intera città.

“Sai che Galileo Galilei è nato qui?” dice Veronika, leggendo dalla guida.

“Non lo sapevi l’altra volta?” chiedo, imbarazzato e divertito.

“No!” risponde sorridendo. “È colpa tua che non mi dici le cose!” scherza colpendomi con un pugno leggero la spalla destra, poi aggiunge: “Dice che fece i suoi esperimenti proprio dalla Torre Pendente, facendo cadere oggetti per studiare la gravità.”

Mi fermo un istante a immaginare la scena: la piazza silenziosa, l’aria ferma del mattino, un uomo che lascia cadere due sfere dalla cima della Torre, sfidando le credenze di un’epoca intera.

“È strano pensare che da qui siano nate scoperte che hanno cambiato il mondo.” conclude.

“A Pisa la scienza ha sfidato la gravità e la storia ha lasciato un segno indelebile. Ogni pietra racconta una scoperta, ogni ombra conserva un’idea.”

Piazza dei Miracoli con la torre pendente (foto da Flight Simulator 2024)

Atterraggio

Appena le ruote toccano terra, dalla cabina si sente un lungo sbadiglio. Skippy si stiracchia come un gatto, gli occhialoni scivolano sul muso, poi ci guarda con lo sguardo di chi non ha ancora capito in che anno siamo.

Skippy solleva il musetto con aria confusa e spettinata, gli occhialoni scivolati di lato sulla testa. Ci guarda con uno sguardo stralunato, come se cercasse di capire dove si trova.

Veronika ride e le passa una mano sulla testa. “Sei sveglia, dormigliona? Tra poco vedremo la Torre Pendente.”

Skippy inclina la testa, sbattendo le palpebre come se la parola non avesse alcun senso per lei.

“Torre? Che torre?” sembra chiedere con lo sguardo.

Io e Veronika ci guardiamo per un attimo… poi scoppiamo a ridere.

Skippy sbatte le palpebre, confusa, poi lancia un lungo sospiro teatrale. Con una lentezza esasperata si sistema gli occhialoni, si stiracchia con la dignità di un’eroina stanca… e crolla di nuovo a dormire.

Fuori l’aria è fresca e Pisa si distende sotto un cielo trapunto di stelle. Il Cessna 172 riposa in piazzola, ma la città è ancora sveglia, pronta a regalarci un’ultima sorpresa.

“Ogni atterraggio segna la fine di una rotta ma l’inizio di una nuova avventura. E Pisa, sotto il cielo stellato, ci promette ancora una notte da ricordare.”

01 – Volo Bologna Firenze

Decollo da Ozzano

Siamo sulla pista dell’aviosuperficie di Ozzano, un piccolo aeroporto a pochi chilometri da Bologna, nel cuore dell’Italia settentrionale. L’aria del mattino è fresca e carica di promesse. Il sole illumina il Cessna 172, il suo profilo bianco e blu brilla come un invito al viaggio. Dentro di me, però, l’inquietudine del primo volo non mi abbandona: checklist, carburante, strumenti… tutto sembra in ordine, eppure controllo ancora una volta. È la nostra prima vera tappa, il primo momento in cui questo viaggio diventa realtà, non solo un’idea.

Veronika è sul lato sinistro dell’aereo, vicino al portello di carico, intenta a sistemare le borse con la sua solita precisione. Io sono appena fuori dal velivolo, eseguendo gli ultimi controlli pre-volo mentre Skippy, impaziente, è già nella cabina di pilotaggio.

In piedi sul sedile del copilota, le cuffie troppo grandi per lei, osserva il pannello strumenti con lo sguardo concentrato di chi si sente parte dell’equipaggio. Da giorni ha assorbito ogni informazione possibile sui voli e su questo specifico velivolo. Ora si muove con sicurezza tra i comandi, annuendo come se sapesse esattamente cosa fare.

Mi punta una zampetta contro, poi indica il serbatoio carburante con fare interrogativo.

“Controllato e confermato, Skippy!” rispondo con un sorriso.

Lei sembra soddisfatta della risposta e torna con lo sguardo fisso sul cruscotto. Poi, con grande serietà, alza una zampa e la punta verso uno dei pulsanti del Garmin 1000.

“No, no, no… quello no!” esclamo ma è troppo tardi.

Click.

Un istante dopo la cabina viene invasa da un suono acuto e penetrante. Il computer di bordo ha attivato un allarme di avviso, impostato al massimo volume, trasformando il silenzio mattutino in una sirena assordante.

Veronika sobbalza e si copre le orecchie con un gesto istintivo. Dall’esterno della cabina faccio segno di spegnerlo.

Skippy, colta di sorpresa, agita le zampe nel tentativo di rimediare ma, nel panico, preme un altro pulsante facendo apparire a schermo una schermata di diagnostica incomprensibile.

Scoppiamo tutti a ridere, Skippy compresa. Poi, con un finto broncio, si lascia cadere sulla poltrona da copilota e si volta di lato incrociando le braccia in un gesto teatrale.

“Grazie Skippy, il tuo contributo alla sicurezza del volo è inestimabile!” esclamo con un sorriso mentre ripristino la configurazione originale dell’aereo e disattivo l’allarme.

Con questo allegro siparietto la tensione si è sciolta del tutto. La sua spontaneità e il suo entusiasmo hanno involontariamente spezzato le nostre paure.

Ultimati i controlli e i preparativi saliamo, finalmente, tutti a bordo. Avvio il motore. Do un’ultima occhiata agli strumenti e spingo in avanti la leva del gas. Il motore ruggisce con una potenza che risuona nel petto. Acceleriamo veloci sulla pista, poi il momento magico: il carrello si stacca da terra. Per un istante sembra che il tempo si fermi. Siamo sospesi tra terra e cielo.

Allungo una mano verso Veronika che la stringe forte. Nei suoi occhi vedo la stessa emozione che sento dentro di me. È il nostro primo volo insieme, un momento che non dimenticheremo mai.

All’orizzonte Bologna si svela lentamente. I tetti rossi si mescolano al verde delle colline.

“È come aprire il primo capitolo di un libro ancora tutto da scrivere.”

Veronika pronta al primo decollo (foto da Flight Simulator 2024)

Oltre le torri: Bologna vista dal cielo

Sorvoliamo Bologna, una città che conosciamo a memoria ma che dall’alto sembra quasi nuova. Le strade, i palazzi, i vicoli stretti si trasformano in un intreccio perfetto, un mosaico di storia e modernità che da quassù assume contorni diversi.

Veronika indica la torre sottile che svetta nel cuore della città. “La Torre degli Asinelli!” esclama.

Skippy ci osserva con attenzione e mi viene spontaneo raccontarle. “Sai Skippy, nel XII secolo Bologna aveva più di cento torri. Ogni famiglia nobile costruiva la propria per mostrare il suo potere. Ora ne restano poche ma ognuna ha una storia unica. Quella indicata da Veronika è la più alta delle Due Torri simbolo della città. La Garisenda, più bassa e più inclinata, è ancora nascosta da questa angolazione.”

“L’anno scorso avevamo scoperto, con quella guida mentre salivamo sulla Torre degli Asinelli, che molte sono crollate o sono state demolite.” aggiunge ricordando Veronika.

“Sì, la Torre degli Asinelli però ha resistito. È stata prigione, magazzino e addirittura osservatorio. E la Garisenda? Persino Dante l’ha citata nella ‘Divina Commedia’.”

Skippy, avvistata la Garisenda, con una buffa teatralità si inclina di lato imitandone la pendenza e strappandoci una risata.

Una leggera virata ci porta a sorvolare ora Piazza Maggiore. “Là c’è la Basilica di San Petronio” mormoro, lasciando che lo sguardo si posi sulla sua imponente struttura mentre mantengo l’assetto. “Peccato abbiano fermato i lavori… Papa Pio IV bloccò tutto nel 1560 per paura che oscurasse la grandezza di San Pietro a Roma. Chissà quanto sarebbe stata straordinaria se l’avessero completata.”

Mi lascio avvolgere dal silenzio mentre la sua bellezza incompiuta racconta una storia di ambizione e sfide mai concluse. Poi aggiungo con un sorriso:

“Skippy ti racconto anche questa curiosità. All’interno della Basilica c’è una meridiana straordinaria. Un piccolo foro nella volta, a circa 27 metri d’altezza, lascia entrare un raggio di sole che, a mezzogiorno, proietta un punto luminoso sul pavimento. Questo punto, nei vari giorni dell’anno, si sposta lungo una linea di bronzo incastonata nel pavimento, indicando l’ora solare locale e permettendo di determinare anche la data. Con i suoi 67 metri è una delle meridiane più lunghe del mondo.”

Skippy sembra affascinata mentre osserva la città che continua a scorrere sotto di noi.

Piazza Maggiore con la Basilica di San Petronio (foto da Flight Simulator 2024)

La lunga virata ci ha portato ora sopra un’altra piazza. “Guarda, Vero: Piazza Santo Stefano” dico con un sorriso. “Per me resta sempre la piazza più bella di Bologna, quella dove ho maggiori ricordi.”

“Quella con le Sette Chiese?” chiede lei, incantata dal suo disegno unico visibile dall’alto.

“Proprio così” rispondo, indicando la geometria delle strutture che si intersecano. “È uno dei luoghi più affascinanti della città. Da terra è raccolta, quasi nascosta tra i palazzi, ma dall’alto si apre in tutta la sua armonia, come se fosse stata progettata per essere ammirata da qui.”

“Non sono davvero sette le chiese, giusto?” domanda Veronika, osservando il complesso.

“Esatto. Oggi sono quattro chiese collegate tra loro ma un tempo erano di più. Hanno attraversato secoli di trasformazioni eppure il fascino di questa piazza è rimasto intatto.”

Ci troviamo ad effettuare un ultimo passaggio sopra le Due Torri, lasciando che il cuore di Bologna si fissi nella nostra memoria. Da quassù tutto sembra diverso, quasi immobile, ma sappiamo che sotto di noi la città continua a vivere, a raccontare storie.

Scambio uno sguardo con Veronika e so che stiamo pensando la stessa cosa: ogni volo ci cambierà in modi che ancora non possiamo immaginare. Poi dirigo il Cessna verso il nostro prossimo obiettivo: il Santuario di San Luca.

“Bologna vista dall’alto è un intreccio di storia e modernità, dove le torri medievali incontrano le piazze rinascimentali, raccontando il passato di una città unica.”

Piazza Santo Stefano vista dall’alto (Foto da Flight Simulator 2024)

Il Santuario di San Luca e la metafora del viaggio

I Colli Bolognesi si avvicinano. Tra i profili morbidi delle colline si scorge subito la sagoma familiare del Santuario di San Luca, posato sulla cima come a vigilare sempre su Bologna e i suoi abitanti.

Veronika si sporge leggermente verso il finestrino. “Non importa quante volte lo veda, mi emoziona sempre” mormora.

Indicando il lungo serpente di arcate che si snoda fino alla sommità del colle, le chiedo: “Hai mai notato che sono 666 arcate? È il portico più lungo del mondo.”

Veronika alza un sopracciglio, incuriosita. “666? Non lo sapevo. È un numero un po’ strano per un’opera religiosa, non trovi?”

Accenno una risata. “Lo è. Alcuni dicono che il numero rappresenti il serpente, simbolo del male, mentre il portico simboleggia la sua sconfitta, con ogni arcata come un passo verso la protezione della Madonna di San Luca.”

“Interessante, non me lo avevi mai detto” commenta Veronika. “Beh, devo dire che hanno scelto un bel modo per trasmettere il messaggio.”

“Da quassù sembra quasi piccolo” osserva Veronika. “Eppure, quando sei lì sotto, ogni metro pesa sulle gambe. È la perfetta metafora del viaggio: da lontano tutto sembra semplice ma quando sei nel mezzo del cammino l’unica scelta è continuare a salire. E poi, quando finalmente arrivi in cima, capisci che ogni passo ne è valso la pena.”

Volteggiamo ancora un paio di volte sopra il Santuario, ammirandolo da questa prospettiva inedita. Poi, mentre ci allontaniamo, lascio che l’immagine del portico si imprima nella mente: una lunga salita che conduce a qualcosa di più grande.

“Il portico di San Luca è la perfetta metafora del viaggio: un percorso lungo e faticoso ma con una vista che ripaga ogni sforzo.”

San Luca vista dall’alto (foto da Flight Simulator 2024)

Attraversando gli Appennini: tra memoria e silenzi

Lasciato alle spalle il Colle della Guardia, che ospita il Santuario di San Luca, ci addentriamo nel cuore degli Appennini Tosco-Emiliani.

“È incredibile quanto cambi il paesaggio in così pochi chilometri” osserva Veronika, seguendo con lo sguardo le creste montuose.

“Questi monti non sono solo belli” dico, lasciando che lo sguardo scivoli sulle vallate sotto di noi. “Qui passava la Linea Gotica.”

Veronika mi lancia un’occhiata curiosa. “Linea Gotica?”

“Una barriera difensiva costruita dai tedeschi per fermare l’avanzata degli Alleati nella Seconda Guerra Mondiale. Prima di conoscerti ho esplorato questa zona con un gruppo. C’erano ancora bunker e trincee scavate nella roccia. La guida raccontò storie di uomini in fuga, di resistenza e disperazione.”

Le mie parole restano sospese nell’aria. Veronika guarda il paesaggio con occhi diversi mentre continuo, quasi parlando a me stesso. “Fa impressione pensare che questi sentieri, oggi così quieti, abbiano conosciuto il terrore. Qui riecheggiavano spari, ordini gridati, passi spezzati dalla paura. Dopo la guerra si diceva ‘mai più’ eppure continuiamo a riempire il mondo di confini tracciati col fuoco. Popoli fratelli si combattono, la storia si ripete, e noi? Abbiamo davvero imparato qualcosa o stiamo solo dimenticando più in fretta?”

Dietro di noi, Skippy abbassa le orecchie, come se quelle parole fossero troppo pesanti da portare. Veronika le sfiora appena, un gesto silenzioso di conforto.

Il motore ronza lieve, unico suono in questa distesa di memorie taciute. Sorvoliamo queste montagne e lasciamo che parlino loro. Non serve altro.

“Sorvolare gli Appennini significa anche attraversare la storia: ogni valle custodisce memoria e sacrificio, tra il silenzio della natura e le cicatrici del passato.”

Il lago di Bilancino in lontananza (foto da Flight Simulator 2024)

Mugello e Scarperia: velocità, tradizioni e ricordi

Arriviamo alle colline del Mugello quando, oltre una cresta, si rivela un’ampia distesa d’acqua che scintilla sotto il sole del mattino. “Guarda lì Skippy” dico, indicandola con un cenno. “Quello è il Lago di Bilancino.”

“Non l’avevo mai visto da questa prospettiva!” commenta Veronika, con leggero stupore. “È davvero grande!”

Skippy fissa l’acqua scintillante e mi viene da raccontarle una curiosità: “Sai Skippy, questo lago non è solo bello: è stato costruito negli anni ’90 per proteggere Firenze dalle alluvioni dell’Arno e per garantire l’acqua alla zona. Oggi, però, è anche un luogo di relax. Ci si può fare windsurf, canoa e in estate diventa una meta turistica molto amata offrendo una spiaggia attrezzata a pochi passi dalla città. Anche noi ci siamo venuti spesso con moto e tenda.”

Skippy si illumina per un istante, poi si accascia con una smorfia esagerata, come se solo l’idea di pagaiare fosse una fatica immensa.

Sorvolata l’ultima vetta appare un lungo serpente d’asfalto, perfettamente incastonato nel paesaggio. “Guarda lì” dico, indicando il Circuito del Mugello. “Uno dei tracciati più spettacolari al mondo.”

Veronika con tono scherzoso commenta: “Sembra una pista giocattolo, non ti pare?”

“E invece è il sogno di ogni pilota” rispondo. “Se non sbaglio è di proprietà della Ferrari, qui si svolgono gare importantissime dalla MotoGP ai test di Formula 1.”

Sorvoliamo il circuito e in un attimo siamo sopra Scarperia, un borgo medievale dominato da un edificio imponente.

“Quello è il Palazzo dei Vicari” spiego a Skippy. “Un gioiello del XIV secolo, il simbolo di Scarperia.”

Veronika si sporge per ammirarlo. “E poi ci sono i coltelli, giusto? Mi ricordo la nostra visita a quell’officina artigianale. Ogni pezzo era un’opera d’arte.”

“Proprio così” confermo. “Scarperia è rinomata in tutto il mondo per la produzione di coltelli artigianali. Una tradizione che risale al 1400 e che continua ancora oggi.”

Poco dopo siamo a ridosso del Lago di Bilancino, che continua a risplendere sotto il sole. L’acqua calma riflette il cielo e per un momento lasciamo che il silenzio parli.

“Il Circuito del Mugello racconta storie velocità, coraggio e follia”

Lago di Bilancino (foto da Flight Simulator 2024)

Fiesole: la madre di Firenze

Stiamo sorvolando ora le colline che conducono a Fiesole lasciandoci alle spalle il Lago di Bilancino. L’aria è calma e persino Skippy, di solito irrequieta, osserva tutto con la sua curiosità attenta, seguendo con lo sguardo i dolci rilievi che si susseguono sotto di noi.

“Ci stiamo avvicinando?” chiede Veronika, sporgendosi leggermente verso il finestrino in cerca di qualcosa.

Fiesole? Dovrebbe essere laggiù da qualche parte” rispondo, indicando un punto tra le colline. “Ma, a essere sincero, non so molto su Fiesole oltre al fatto che dovrebbe essere più antica di Firenze.”

Veronika annuisce e si allunga verso il sedile posteriore afferrando la piccola guida della Toscana che abbiamo portato con noi. La sfoglia rapidamente, cercando con le dita la pagina giusta.

Fiesole… aspetta un attimo… eccola!” esclama finalmente con un sorriso soddisfatto. “Dice che è una delle città più antiche della Toscana, fondata dagli Etruschi molto prima di Firenze. Poi è diventata importante sotto i Romani che ci hanno costruito un teatro, mura e templi.”

“E quindi possiamo dire che senza Fiesole, probabilmente, non ci sarebbe stata Firenze” commento mentre il borgo inizia a delinearsi davanti a noi.

“Esatto!” conferma Veronika. “Infatti sembra che per un periodo Firenze fosse addirittura sotto il controllo di Fiesole, finché non l’ha superata in importanza. E guarda qua: dice che c’è un Teatro Romano ancora ben conservato!”

Skippy, con l’entusiasmo di chi ha appena risolto un enigma, spalanca gli occhi, sbatte una zampetta contro il finestrino e indica freneticamente qualcosa in basso, come a dire: Eccolo, eccolo! Guardate lì!

Ridiamo entrambi. “Credo che abbia trovato il Teatro prima di noi” dico scherzando.

Sorvoliamo il borgo osservando la linea delle mura etrusche che ancora oggi lo abbracciano, poi punto il muso dell’aereo verso Firenze.

“Fiesole, più antica di Firenze, custodisce le sue radici etrusche e romane ricordando a ogni visitatore che la storia di una città inizia sempre da lontano.”

Sorvolo di Fiesole (foto da Flight Simulator 2024)

Firenze: tra arte e storia

Firenze si apre davanti a noi, rivelando il suo profilo unico e inconfondibile. Il Duomo, il Campanile di Giotto e il Battistero di San Giovanni spiccano e sembrano dipinti su una tela perfetta, incorniciati dall’Arno che brilla sotto il sole mattutino.

Restiamo in silenzio per un momento, rapiti dalla vista.

Mentre ci avviciniamo alla Cupola del Brunelleschi il mio sguardo rimane fisso su quella meraviglia architettonica. “È il capolavoro di Filippo Brunelleschi” inizio a dire ma Veronika, con la guida ancora aperta in mano, mi interrompe.

“Lo so!” esclama con entusiasmo, sfogliando rapidamente le pagine. “La costruì nel XV secolo ed è ancora oggi la più grande cupola in muratura mai realizzata. Dice qui che per costruirla Brunelleschi ideò tecniche completamente nuove, come il sistema a doppia calotta per ridurre il peso.”

Mi volto verso di lei, imbronciato. “Sembra che la guida sia più informata di me” dico scherzando.

Veronika sorride e continua a leggere, il tono di voce carico di ammirazione. “Nessuno, all’epoca, pensava fosse possibile costruire una cupola così grande. Brunelleschi aveva davvero un genio fuori dal comune.”

“Non si può non essere d’accordo” le rispondo, lasciando che lo sguardo torni sulla cupola che sembra dominare l’intero panorama. “Vederla da qui, così imponente, dà ancora più senso a tutto il lavoro che ha fatto.”

Poco più avanti un intreccio di casette arroccate su un ponte attira l’attenzione di Veronika.

“Guarda, il Ponte Vecchio!”

Non posso fare a meno di sorridere. “Questa la so!” esclamo, fingendo un’aria esperta. “Quello è il Ponte Vecchio, uno dei simboli di Firenze. Fu costruito nel XIV secolo ed è famoso per le botteghe di orafi e gioiellieri che si affacciano sul fiume. E conosco anche una curiosità. Durante la Seconda Guerra Mondiale fu l’unico ponte di Firenze a non essere distrutto dai tedeschi. Pare che sia stato Hitler stesso a ordinare di risparmiarlo.”

Veronika guardando fuori dal finestrino esclama: “Mamma mia quanta gente! Sembra impossibile camminarci sopra.”

“Non è una sorpresa” rispondo. “È uno dei luoghi più iconici della città, sempre pieno di turisti e artisti di strada.”

“Ora guarda là” dico, inclinando leggermente l’aereo per un passaggio più ampio sopra il centro. “Quella è Piazza della Signoria, il cuore politico di Firenze fin dai tempi della Repubblica. Il Palazzo Vecchio, con la sua torre, ha visto secoli di storia, intrighi e grandi decisioni.”

“Bellissima” osserva Veronika.

“Là in fondo invece c’è Santa Croce” aggiungo, indicando la grande basilica. “Ospita le tombe di alcuni dei più grandi italiani di sempre: Michelangelo, Galileo, Machiavelli. È un vero pantheon laico.”

Continuo la virata e rallento ulteriormente per goderci ancora qualche istante di Firenze dall’alto mentre ci avviciniamo all’Aeroporto di Peretola. “Firenze ha sempre qualcosa che ti cattura” dico. “Nonostante l’abbia vista così tante volte è una città che non finisce mai di stupirmi.”

“Sorvolare Firenze è come sfogliare un libro di storia e arte: ogni cupola, torre e piazza racconta secoli di genialità e bellezza.”

Duomo di Firenze (foto da Flight Simulator 2024)

Atterraggio e preparativi

Riduco gradualmente la velocità, lasciando che l’aereo scivoli dolcemente verso la pista. Un attimo di sospensione, poi il suono familiare del carrello che aderisce all’asfalto. Il motore ruggisce appena quando le ruote toccano terra con un leggero sobbalzo. La prima tappa del nostro viaggio è ufficialmente conclusa.

Mentre rulliamo verso la piazzola di sosta, lancio un’occhiata a Veronika: ha un sorriso soddisfatto. “Primo volo perfetto” commenta. “Siamo ufficialmente in viaggio.”

“E adesso tocca alla parte più noiosa” aggiungo scherzando mentre scendiamo per iniziare le operazioni di messa in sicurezza del Cessna 172.

Ci muoviamo con la naturalezza di chi ha già ripetuto questi gesti molte volte. Veronika e io sistemiamo le coperture mentre, con mia sorpresa, Skippy si dà subito da fare afferrando con le zampe i cunei e spingendoli sotto le ruote con espressione concentrata.

“Ma guarda chi sta prendendo il suo ruolo sul serio” esclamo, osservandola con un sorriso. “Forse abbiamo trovato una perfetta addetta alla sicurezza!”

Skippy inclina il muso con aria compiaciuta, poi si batte le zampe sul petto con fierezza, facendo scivolare leggermente gli occhialoni da pilota che tiene sempre poggiati sulla testa. Veronika ride mentre lei si affretta a sistemarseli come se nulla fosse successo.

Mi sorprendo a pensare a quanto sembriamo già una squadra affiatata. È solo la prima tappa eppure ognuno di noi sta già trovando il proprio posto, come se tutto fosse perfettamente sincronizzato. Mi scappa un sorriso: è un bel modo di iniziare questa avventura.

Finito tutto mi asciugo la fronte con il dorso della mano e guardo Veronika. “Tutto pronto!” annuncio con entusiasmo. “Andiamo, Firenze ci aspetta.”

“Il primo volo è concluso ma ogni atterraggio è solo l’inizio di una nuova avventura.”