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un enigma senza risposte

Diario di Volo

Lu Brandali
S. Teresa di G.

Dopo giorni di attesa, partiamo per il sito archeologico di Lu Brandali, sperando di trovare un collegamento con il misterioso simbolo scoperto a Bonifacio. Tuttavia, le nostre aspettative si infrangono davanti a una realtà diversa. Mentre la delusione si fa sentire, un incontro inatteso con la guida del sito riaccende la speranza: una donna di nome Gavina, un’ex archeologa, potrebbe avere informazioni cruciali. Ora la nostra prossima tappa è Alghero.

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    Lu Brandali
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    Lu Brandali

    Entusiasmo e Aspettative

    Skippy saltella impaziente attorno a noi, il musetto sollevato, le orecchie tese come se già captasse l’energia del luogo che stiamo per visitare. Vorrebbe correre al sito archeologico subito.

    «Prima pensiamo al Cessna» le ricordo «Poi puoi lanciarti all’avventura.»

    Lei mi restituisce un’occhiata infastidita, poi si rassegna e si mette all’opera per posizionare i cunei sotto le ruote.

    L’aria è ancora fresca, il vento scivola tra l’erba della pista e la macchia mediterranea. Le cinghie delle coperture che stiamo posizionando scattano con un rumore secco.

    Quando finalmente terminiamo Skippy si piazza davanti a noi, braccia incrociate e zampa che tamburella nervosa. Poi spalanca le braccia e gesticola con enfasi. Il messaggio è chiaro: «Basta, muovetevi!»

    Veronika chiude il vano di carico e si gira verso di me, il volto illuminato dall’eccitazione.

    «Pronto?»

    Metto lo zaino in spalla, lanciando un’ultima occhiata al Cessna.

    «Pronto. Andiamo a vedere questi Giganti.»

    Il sito archeologico di Lu Brandali è a pochi minuti di distanza ma l’attesa ci rende impazienti. Saliti a bordo del taxi, l’energia nell’abitacolo è tangibile. Veronika scorre veloce le pagine, gli occhi che brillano. Sta ricontrollando tutto: date, simboli, leggende. Cerca connessioni, conferme, qualcosa che renda tutto ancora più chiaro.

    «Non riesco a credere che siamo davvero qui» dice, senza sollevare gli occhi dallo schermo. La sua voce vibra di eccitazione. «Ho letto tanto in questi giorni su questo posto, sulle Tombe dei Giganti, i simboli incisi nelle pietre… Se quello che abbiamo trovato ha anche solo un piccolo collegamento con tutto questo, potrebbe essere incredibile!»

    Il suo entusiasmo è contagioso. «Vediamo se la realtà è all’altezza delle aspettative.»

    Quando arriviamo Skippy si piazza in testa al gruppo, trotterellando avanti con il musetto in su, il naso che si muove rapido nell’aria: annusa avventura.

    Mentre avanza sul sentiero sterrato, Skippy si ferma di colpo. Con le zampe scava leggermente nella terra asciutta e tira fuori un piccolo sasso levigato dal tempo, di un colore rossastro, con venature bianche che sembrano disegni incisi dalla natura. Lo osserva con attenzione, poi lo stringe tra le zampette e lo infila nella sua piccola tasca laterale dello zainetto. Un trofeo, un pezzo di storia tutto suo.

    La strada sterrata che conduce al sito è circondata dalla macchia mediterranea. Il cielo sopra di noi è di un azzurro intenso, privo di nuvole.

    Ogni passo ci avvicina alla storia. A un luogo che potrebbe nascondere risposte sepolte nel tempo.

    Sembra una giornata perfetta.

    Ogni grande avventura comincia con un passo deciso… e un cuore pieno di possibilità

    il piccolo sasso preso da Skippy (foto Dall-E)

    Lu Brandali

    Il vento che arriva dal mare scivola tra le fronde dei sugheri, un sussurro discreto che accompagna il nostro passo lungo il sentiero sterrato. L’aria sa di sale e terra calda, un mix che profuma di antico.

    Veronika cammina a passo svelto, gli occhi che saltano da un dettaglio all’altro, come se ogni pietra potesse già rivelarle qualcosa. L’entusiasmo le vibra nella voce.

    «Ci siamo quasi.» Fa un respiro profondo, cercando di trattenere l’emozione. «Se il simbolo è qui, lo troveremo.»

    Davanti a noi il cancello d’ingresso del sito è semplice, in legno, quasi a voler sottolineare che la vera barriera non è fisica ma temporale.

    Ci accoglie una guida locale, un uomo sulla cinquantina, con uno sguardo che racconta anni di esplorazioni tra queste rovine. Il suo sorriso è aperto, genuino, nel tono della sua voce c’è l’orgoglio di chi non sta solo spiegando la storia ma la sta raccontando con passione.

    «Benvenuti a Lu Brandali.» Allarga un braccio, indicando il sito che si estende oltre il cancello. «Questa è una delle testimonianze più affascinanti della civiltà nuragica qui nel nord della Sardegna.»

    Veronika si avvicina, incapace di contenere la sua curiosità.

    «Non ho mai visto un sito del genere dal vivo» dice, con un lampo negli occhi. «Sono molto interessata soprattutto a capire di più sulle Tombe dei Giganti

    La guida annuisce con un sorriso compiaciuto, lo sguardo che si accende di entusiasmo.

    «Ah, i Giganti. Una storia che affascina tutti. Seguitemi.»

    Ogni pietra ha una storia da raccontare, basta saperla ascoltare.

    Lu Brandali (foto tripadvisor.it)

    Tra storia e mito

    Seguiamo la guida su un sentiero che si insinua tra antiche capanne nuragiche, alcune ancora ben visibili nella loro forma circolare. Il tempo ha smussato i contorni delle pietre ma il villaggio di Lu Brandali conserva ancora la sua imponenza.

    La guida si ferma, allarga le braccia come per abbracciare il panorama antico.

    «Quello che vedete attorno a voi è un villaggio nuragico, abitato tra il XIV e il IX secolo a.C.» indica le strutture con entusiasmo. «Un’epoca lontana, in cui la Sardegna era abitata da un popolo che ha lasciato segni profondissimi della sua esistenza: i Nuragici appunto.»

    Si volta verso di noi, il viso illuminato da un sorriso.

    «Sapete da cosa deriva il nome ‘nuragico’? Dai nuraghi, ovviamente.»

    Sorride indicando un punto lontano tra la vegetazione.

    «Quella torre laggiù, ad esempio, è un nuraghe. Uno dei migliaia disseminati su tutta l’isola.»

    Ci fermiamo ad osservare la struttura appena visibile tra gli alberi.

    «I nuraghi erano fortezze ma anche centri abitativi, templi, forse osservatori astronomici. Alcuni hanno una struttura complessa con torri concentriche, cunicoli, pozzi sacri. Pensate: ne esistono più di settemila e, ancora oggi, non conosciamo del tutto la loro funzione.»

    Veronika annuisce, affascinata. «Settemila? Quindi era una civiltà molto più avanzata di quanto si pensasse.»

    La guida si illumina.

    «Esattamente. Per secoli si è pensato che i nuragici fossero una popolazione isolata e primitiva. Oggi però sappiamo che commerciavano con il mondo mediterraneo, influenzando e venendo influenzati da altre culture.»

    Si ferma accanto a un’imponente lastra di pietra verticale levigata dal tempo. La superficie è segnata da segni quasi impercettibili, consumati dal vento e dalla pioggia.

    «Questa è una delle strutture più importanti del sito.»

    Si volta verso di noi e abbassa la voce, quasi con rispetto.

    «La Tomba dei Giganti

    Settemila torri di pietra e un mistero ancora da svelare.

    Tomba dei Giganti (foto nurnet.net)

    La leggenda dei Giganti

    Ci voltiamo di scatto, come rispondendo a una chiamata silenziosa del passato.

    Davanti a noi si erge una lunga sepoltura collettiva, il suo corridoio funerario ormai scoperto, incorniciato da grandi pietre disposte a semicerchio. Il tempo sembra rallentare.

    «Le chiamano Tombe dei Giganti» continua la guida «perché le loro dimensioni imponenti hanno alimentato la leggenda che qui fossero sepolti esseri giganteschi.»

    Skippy inclina la testa, affascinata.

    La guida si avvicina alla pietra più grande e posa una mano sulla superficie ruvida.

    «La realtà è diversa» spiega con tono appassionato «ma non meno affascinante. Queste tombe erano destinate ai membri più importanti della comunità nuragica.»

    Indica il corridoio centrale scoperto.

    «Guardate qui. Era un luogo di sepoltura, sì, ma anche di culto. Gli antichi nuragici credevano nella continuità tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Qui si riunivano per rendere omaggio agli antenati, lasciavano offerte, celebravano riti per chiedere protezione o conoscenza.»

    Veronika si avvicina, le dita sfiorano la pietra più grande, come se potesse risalire indietro nel tempo solo toccandola.

    «E i Giganti di Mont’e Prama?» chiede, con un filo di eccitazione nella voce. «Potrebbero essere collegati a queste tombe?»

    La guida incrocia le braccia e sorride, quasi aspettandosi la domanda.

    «Ah, la grande domanda.»

    Si ferma un istante, assaporando il momento.

    «I Giganti di Mont’e Prama sono un mistero. Statue nuragiche alte fino a tre metri trovate vicino a Cabras.»

    Si avvicina a noi e abbassa la voce.

    «Nessuno sa con certezza chi rappresentassero: guerrieri? Divinità? Campioni di giochi sacri? Sono unici nel loro genere, non abbiamo trovato nulla di simile in altre civiltà antiche.»

    Veronika si sporge leggermente in avanti. «Quindi… potrebbero essere la prova che la civiltà nuragica aveva una cultura più complessa di quanto si pensasse?»

    La guida annuisce con un sorriso enigmatico.

    «La prova o almeno un indizio.»

    Fa una pausa, poi aggiunge con tono più basso, quasi a voler accentuare il peso di quelle parole.

    «Alcuni studiosi credono che siano la prima rappresentazione a grandezza naturale di esseri umani mai realizzata nel Mediterraneo. Se così fosse, sarebbero più antichi dei kouroi greci, scolpiti secoli dopo.»

    Mi scappa un’esclamazione sorpresa.

    «A grandezza naturale? Tre metri, per l’epoca, erano davvero misure da giganti!»

    La guida si gira verso di me, con uno sguardo che mescola entusiasmo e mistero.

    «Esattamente. Pensateci: fino a quel momento, nessuna civiltà conosciuta aveva scolpito esseri umani a dimensioni così monumentali. Gli Egizi avevano statue colossali ma raffiguravano divinità e faraoni. I Greci, invece, ancora non avevano sviluppato la loro scultura classica.»

    Si ferma un istante, lasciando che il concetto si depositi.

    «Se queste statue fossero davvero le prime rappresentazioni a grandezza naturale di uomini, cambierebbe tutto ciò che sappiamo sulla storia dell’arte e della scultura nel Mediterraneo.»

    Veronika mi lancia un’occhiata rapida. Skippy è immobile, gli occhi spalancati.

    L’entusiasmo è alle stelle.

    Giganti o antenati? La leggenda scolpita nella pietra continua a sfidare il tempo.

    Giganti di Mont’e Prama (foto artemagazine.it)

    Il Momento della Verità

    Il sentiero si stringe man mano che lasciamo la Tomba dei Giganti alle nostre spalle. La guida ci fa segno di seguirlo senza dire una parola. Le rocce scolpite dal tempo emergono dalla terra come reliquie dimenticate, testimoni di un passato che non ha ancora svelato tutti i suoi segreti. L’aria si fa più densa, il vento ha smesso di soffiare, come se anche la natura trattenesse il respiro.

    Veronika cammina avanti, il passo deciso, gli occhi incollati all’orizzonte. Non parla ma il suo corpo tradisce l’agitazione. Sta aspettando. Sta cercando qualcosa.

    Poi, all’improvviso, si blocca. Davanti a noi una grande roccia spunta dal terreno.

    È quella della foto.

    Accelera il passo, il tablet saldo tra le mani. Osserva la superficie, scansiona ogni linea, ogni imperfezione.

    Per un attimo, tutto sembra perfetto. Poi, qualcosa cambia.

    Veronika si blocca.

    Il silenzio si fa denso, quasi tangibile.

    «Che succede?» chiedo, avvicinandomi.

    Le sue mani tremano leggermente mentre stringe il tablet. Lo sguardo salta dalla foto alla pietra. La sua espressione cambia: prima sorpresa, poi confusione, infine… incredulità.

    Il simbolo è simile ma le linee non combaciano.

    Skippy abbassa lentamente le orecchie, come se potesse percepire il peso della delusione. La guida ci osserva, incuriosita.

    «C’è qualcosa che non va?»

    Veronika deglutisce. La sua voce è rotta, come se le parole le pesassero sulle labbra.

    «Pensavamo di aver trovato qualcosa di importante.»

    La guida inclina la testa, il tono più cauto.

    «Sul web abbiamo trovato una foto di questa roccia. Si vedeva questo simbolo inciso sopra. L’immagine era di pessima qualità e sgranata ma credevamo fosse identico a un simbolo scoperto in un antiquario a Bonifacio…»

    Fa un respiro profondo.

    «Ma ora, vedendola dal vivo, mi rendo conto che è solo simile.»

    La guida si avvicina, posa una mano sulla pietra. Le sue dita scorrono lentamente sulla superficie, tracciando le linee del tempo.

    Annuisce. «Capisco… sì, capisco bene.» Si volta verso Veronika, con un sorriso che non è di derisione ma di comprensione. «Sapete, l’archeologia è così. A volte trovi quello che cerchi. Altre volte trovi solo nuove domande.»

    Veronika non si arrende. Con un gesto deciso, tira fuori la stoffa trovata a Bonifacio e la porge alla guida.

    «Guardi. Su questo tessuto, oltre al simbolo, c’è una scritta. Pensavamo potesse essere un collegamento.»

    La guida la osserva con attenzione. Passa le dita sulle lettere sbiadite, indugia su ogni segno.

    Il silenzio si allunga.

    «Effettivamente…» mormora infine grattandosi il mento. «Ci sono delle similitudini.» Il suo tono si fa più incerto. «Avrebbe tratto in inganno anche me.»

    Uno spiraglio di speranza. Veronika trattiene il fiato.

    «Quindi… potrebbe significare qualcosa?»

    La guida sospira. Ci pensa un attimo, poi le restituisce la stoffa.

    «Vorrei dirvi di sì ma non posso. Se ci fosse un collegamento… sarebbe una scoperta straordinaria. Tuttavia non ho elementi per confermarlo.»

    Veronika stringe la stoffa tra le dita, come se potesse ancora rivelarle qualcosa.

    La guida abbassa lo sguardo. «Mi dispiace.»

    Silenzio.

    Poi il vento torna a soffiare. Portandosi via, forse, anche un pezzo del nostro entusiasmo.

    A volte la verità è sfuggente quanto il tempo che l’ha sepolta.

    il simbolo sulla stoffa (foto Dall-E)

    Una sentinella solitaria

    Lasciamo il sito archeologico con passi più lenti.

    Skippy cammina accanto a Veronika, le orecchie basse, la coda immobile. Non saltella, non lancia sguardi curiosi ai cespugli o agli uccelli che passano sopra di noi. Di solito evita ogni sforzo inutile ma ora procede come per inerzia.

    Veronika scorre le immagini sul tablet ma so che non sta davvero guardando. È come se cercasse una risposta che ormai sa di non trovare.

    Mi avvicino e le sfioro la spalla.

    «Forse non era la pista giusta… ma magari stiamo solo guardando nel posto sbagliato.»

    Lei non dice nulla, si limita ad annuire, lo sguardo ancora perso nel vuoto.

    Ci allontaniamo senza parlare. Il sentiero si snoda lungo la costa, tra scogliere a picco sul mare. Il suono delle onde riempie il silenzio tra noi. Veronika ha lo sguardo perso all’orizzonte ma so che sta guardando ben oltre. Sta cercando qualcosa. Sta cercando un senso.

    Io non so cosa dirle.

    Il faro di Capo Testa si staglia davanti a noi, bianco, immobile, affacciato sull’orizzonte aperto. Un tempo la sua luce guidava i marinai tra queste acque insidiose. Oggi sembra solo vegliare sui pensieri di chi lo osserva.

    Veronika si appoggia alla ringhiera, fissando il mare. «E se avessimo sbagliato tutto?»

    La sua voce è bassa. Non cerca una risposta. Cerca una certezza.

    Per un attimo vorrei trovarla anch’io ma non so se esista. Respiro a fondo. L’odore del mare riempie i polmoni. Un’onda si infrange contro le rocce, schizzando in alto, come se volesse raggiungerci.

    Rimaniamo lì, fermi, in silenzio. La luce del giorno comincia ad abbassarsi. Le ombre si allungano sulle scogliere, il cielo assume sfumature dorate.

    Guardo il mare con lei. Le onde continuano a infrangersi, indifferenti alla nostra frustrazione.

    Poi, senza voltarmi, cerco di alleggerire l’aria.

    «Andiamo a mangiare qualcosa di tipico?»

    Di solito, queste parole basterebbero a riportarla alla realtà, a farle brillare gli occhi.

    Oggi non funziona.

    Lei non si muove, non alza lo sguardo. La sua mente è ancora persa tra quelle pietre e simboli incomprensibili.

    Come il faro veglia sul mare, anche i dubbi restano immobili, in attesa di una nuova rotta.

    Faro di Capo Testa (foto discovergallura.it)

    tra storia e mare

    Arriviamo a Santa Teresa di Gallura, le case bianche e basse, tipiche dell’architettura mediterranea, si affacciano sulle viuzze strette, immerse tra fioriere e terrazze colorate. Le strade, pavimentate con pietra chiara, riflettono la luce dorata del tramonto.

    L’aria profuma di salsedine e cucina casalinga. Dalle finestre aperte escono voci e risate, mescolandosi al suono del vento che porta con sé il respiro del mare.

    Santa Teresa ha un fascino discreto, un piccolo borgo affacciato su un passato di marinai, pescatori e commercianti. La sua storia è legata a Bonifacio, la città corsa che si intravede all’orizzonte nelle giornate limpide e nella quale abbiamo passato gli ultimi giorni.

    Ora sembra così lontana.

    Fu fondata da Vittorio Emanuele I di Savoia per difendere questa costa dalle incursioni piratesche e rafforzare il controllo sardo su queste acque instabili.

    Oggi è un luogo dove il turismo si mescola alle tradizioni locali, dove ogni via sembra accoglierti con il calore di un paese che ha imparato a vivere tra mare e vento.

    Ma noi non siamo qui per il turismo.

    Siamo qui per cercare risposte.

    E oggi, quelle risposte non sono arrivate.

    A volte le risposte sembrano così vicine da poterle sfiorare ma restano comunque irraggiungibili, come una città sull’orizzonte.

    Santa Teresa di Gallura (foto sardegna.info)

    il cielo della Sardegna

    Propongo un ristorantino che sembra promettente ma Veronika si ferma.

    «Preferisco prendere qualcosa da asporto. Poi, scusa ma non ho proprio fame.»

    La sua voce è piatta, senza energia. Capisco come si sente. Non ha voglia di stare seduta in un ristorante, così continuiamo a camminare tra i vicoli, senza una meta precisa.

    Troviamo un piccolo localino che serve pane carasau caldo con pecorino fuso e miele, una specialità semplice ma perfetta da mangiare passeggiando. Prendiamo anche una porzione di seadas, il tipico dolce fritto ripieno di formaggio, per addolcire l’amarezza della giornata.

    Camminando arriviamo fino alla spiaggia di Rena Bianca a pochi passi dal centro. Scendiamo verso la battigia, il rumore delle onde che si infrangono sulla sabbia chiara ci avvolge.

    Ci sediamo, il mare davanti a noi immenso e indifferente ai nostri pensieri.

    Veronika prende un morso dal pane ma lo mastica distrattamente. Poi abbassa lo sguardo.

    «Mi dispiace.»

    La sua voce è un soffio.

    Mi volto verso di lei, sorpreso. «Per cosa?»

    «Per averti portato fin qui… per averti fatto credere che questa fosse una pista sicura.»

    Scuoto la testa. Non è così che voglio che la veda.

    «Veronika, anche io volevo questa avventura. E comunque…» Fisso l’orizzonte per un istante, poi la guardo e sorrido. «Ti seguirei ovunque.»

    Veronika mi osserva, il tramonto riflesso nei suoi occhi chiari. Per un attimo, il peso della giornata sembra alleggerirsi. Skippy si accoccola tra noi, il musetto rivolto verso il mare. Senza pensarci, ci stringiamo tutti e tre, lasciando che il rumore delle onde ci avvolga.

    Restiamo così per un po’, ascoltando solo il respiro del mare. Non abbiamo trovato quello che cercavamo ma siamo ancora insieme.

    E forse, per ora, è abbastanza.

    Le onde portano storie da lontano ma alcune risposte restano sepolte nella sabbia del tempo.

    Spiaggia di Rena Bianca (foto sardegnaturismo.it)

    Incontro inaspettato

    Torniamo verso il centro. Veronika, anche se è ancora presto, vuole rientrare in albergo. Cammina in silenzio, le braccia strette attorno a sé, persa nei suoi pensieri.

    Il brusio della cittadina si affievolisce man mano che ci addentriamo nei vicoli. L’aria è più fresca ora, la brezza marina si insinua tra le strade strette, mescolandosi ai profumi delle cucine che cominciano a riempirsi di voci e risate.

    Poi, mentre giriamo un angolo, qualcuno ci nota e si blocca.

    «Voi…»

    La voce ci coglie di sorpresa. Ci giriamo e vediamo una sagoma nel crepuscolo. La poca luce del tramonto non ci permette di distinguere bene il volto ma la postura, il modo in cui si aggiusta la tracolla sulla spalla, ci sono familiari.

    Solo quando si avvicina abbastanza lo riconosciamo. È la guida del sito archeologico.

    Ci scruta per un istante, poi si passa una mano sulla nuca, come chi sta valutando se parlare o lasciar perdere.

    «Non pensavo di incontrarvi di nuovo» dice infine, con un mezzo sorriso incerto. «Ma vi ho pensato tutto il tempo, quando siete andati via mi è venuta in mente una cosa e… forse potrebbe interessarvi.»

    Esita un attimo, poi prosegue.

    «Una mia collega, ora in pensione… Gavina, se non ricordo male. Anni fa seguiva una pista simile alla vostra o almeno qualcosa di collegato a quei simboli.»

    Veronika si illumina all’istante. L’energia che sembrava spenta per tutta la serata riaffiora nei suoi occhi.

    «Dove possiamo trovarla?» chiede senza esitazione.

    Lui scuote la testa.

    «Non lo so con certezza.» Si passa una mano tra i capelli, pensieroso. «Dopo il pensionamento ho perso le sue tracce. So solo che viveva qui a Santa Teresa di Gallura. Forse è ancora in zona.»

    Veronika annuisce. Il suo sguardo è già proiettato altrove, la sua mente sta già cercando una soluzione.

    «Grazie.»

    La guida ci osserva un istante, poi sorride appena.

    «Mi sembrava giusto dirvelo. Forse non è nulla… o forse vi porterà più lontano di quanto pensiate.»

    Ci stringiamo la mano e lo salutiamo. Lui riprende il cammino, perdendosi tra le ombre della sera, mentre noi proseguiamo verso l’albergo.

    Appena entriamo in camera Veronika si lascia cadere sul letto e, senza dire nulla, apre il tablet. Skippy, attenta, si sistema accanto a lei.

    Io le osservo per un attimo, sorridendo tra me. Le rivedo finalmente speranzose e questo basta per farmi sentire meglio.

    Prendo il necessario e decido di farmi una doccia. L’acqua calda mi scorre sulla pelle, sciogliendo la tensione accumulata durante la giornata. Mi prendo il mio tempo, lasciando che il rumore dell’acqua copra i pensieri.

    Quando esco dal bagno, Veronika è ancora lì, lo sguardo incollato al tablet.

    «L’ho trovata.»

    Mi fermo un attimo, asciugamano ancora tra le mani.

    «E le hai scritto?»

    «Sì ma ancora nessuna risposta.»

    Mi siedo accanto a lei e le passo una mano sulla spalla.

    «Diamo tempo al tempo.» Le sorrido, cercando di rassicurarla.

    Veronika annuisce ma il suo sguardo non si stacca dallo schermo.

    Aspetta. Sperando che qualcosa cambi.

    A volte le risposte non vanno cercate, sono loro a trovare te, quando meno te lo aspetti

    La Guida di Lu Brandali (foto leonardo.ai)

    La risposta che non arriva

    La stanza è immersa in una calma irreale. Veronika continua a scorrere il tablet, anche se ormai ha controllato tutto più volte.
    Skippy, stanca di aspettare, si è accoccolata accanto a lei ma tiene ancora un occhio aperto, come se anche lei fosse in attesa di qualcosa.

    Mi stiracchio, pronto a spegnere la luce.
    «Dai, dormiamoci su…»

    Veronika esita. Il pollice sospeso a mezz’aria sopra lo schermo. Guarda ancora il tablet, poi sbuffa piano e chiude la chat, le dita lente sul touchscreen.
    «Hai ragione…» sussurra.

    Si appoggia allo schienale, lasciando che la stanchezza la avvolga.
    Skippy si stiracchia con un lungo sbadiglio e le si accoccola accanto, in silenzio.

    Le luci si abbassano, la stanza scivola nel buio.
    Veronika sospira, chiude gli occhi per un momento. Poi li riapre. Allunga la mano verso il tablet, indecisa se dare un ultimo sguardo.

    Si ferma.

    Poi, lentamente, spegne lo schermo.

    Nessuno lo dice. Ma stiamo tutti aspettando solo una cosa.

    Risponderà?

    Riassunto

    Dopo l’atterraggio a Santa Teresa di Gallura, l’energia è alle stelle. L’attesa per la visita al sito archeologico di Lu Brandali è elettrizzante: Veronika ripassa i dettagli sul misterioso simbolo trovato a Bonifacio, Skippy scalpita impaziente.

    Accompagnati da una guida locale, esplorano il villaggio nuragico e la Tomba dei Giganti, immergendosi nei misteri della civiltà nuragica. Quando finalmente raggiungono la pietra con l’incisione, l’attesa si trasforma in delusione: il simbolo non combacia. Simile, ma non uguale. La guida conferma che non può dare certezze, solo nuove domande. Un sogno si frantuma.

    Camminano in silenzio fino al faro di Capo Testa, Veronika è abbattuta, Camillo cerca di rincuorarla. La serata scorre lenta tra le strade di Santa Teresa, senza più l’entusiasmo iniziale. Mangiano qualcosa di semplice sulla spiaggia di Rena Bianca, ma il sapore della sconfitta è più forte di qualsiasi dolce.

    Poi, un incontro inaspettato. La guida li incrocia per caso e si ricorda di qualcosa. Una sua ex collega, Gavina, seguiva una pista simile alla loro. Forse potrebbe aiutarli. Veronika si butta immediatamente alla ricerca.

    Dopo ore di attesa, quando ormai stanno per spegnere tutto, arriva una notifica. Gavina risponde: si è trasferita ad Alghero, ma è disposta a incontrarli.

    L’entusiasmo torna, la stanchezza svanisce. Domani si riparte.