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arrivo in Sardegna

VIDEO RIASSUNTO

Diario di Volo

Figari
S. Teresa di G.

Sorvolando la Sardegna il viaggio si trasforma da esplorazione turistica a indagine storica. Tra indizi misteriosi e antiche leggende, l’atterraggio a Santa Teresa di Gallura segna l’inizio di una nuova avventura.

Punti di interesse sorvolati

    VIDEO RIASSUNTO

    Figari

    LFKF

    • Equip. – 2
    • Velivoli – 1
    • Passeg. – 0
    • Italia
    • Equipaggio – 2
    • Velivoli – 1
    • Passeggeri – 0
    • Paese – Italia

    S. Teresa di G.

    LIOR

    • Time – 45 min
    • Dist – 125 KM
    • POI – 6
    • Città – 4
    • Durata – 45 min
    • Percorse – 125 KM
    • POI sorvolati – 6
    • Città sorvolate – 4

    da Figari a Santa Teresa di Gallura

    Decollo da Firgi

    Il pannello del motore è ancora aperto, le mani si muovono con gesti ormai automatici mentre eseguo gli ultimi controlli. Un’occhiata all’olio, ai cablaggi, agli scarichi. Tutto in ordine. L’aria del mattino è ferma, carica di quella tensione elettrica che precede ogni decollo.
    Alzo lo sguardo e osservo il Cessna 172, immobile sulla piazzola dell’aeroporto di Figari Sud-Corse, pochi chilometri a nord di Bonifacio. Dopo giorni di manutenzione e attesa è finalmente arrivato il momento di ripartire. Questa non è solo una tappa, è l’inizio di un nuovo viaggio. Una nuova direzione, senza un piano definito. Abbiamo deciso solo la prima destinazione. Il resto lo scopriremo strada facendo, come sempre.

    Mi giro verso Veronika che, con un panno ormai annerito dall’uso, sta passando l’ennesima mano sulla carlinga. Un gesto quasi inconsapevole, la testa persa in qualche pensiero.
    Alzo un sopracciglio e le sorrido. “Direi che può bastare. Se continua così, penseranno che l’abbiamo appena ritirato dalla fabbrica.”

    Lei sorride imbarazzata, tornando al mondo reale, lasciando finalmente il panno. Nei suoi occhi brilla quella scintilla particolare che conosco bene. Non è solo l’emozione di ripartire. È la frenesia della scoperta. Il simbolo inciso su quel pezzo di stoffa, il mistero che avvolge il suo significato, il collegamento con la Sardegna… tutto la spinge avanti. Prova a dissimulare ma lo percepisco in ogni suo gesto.

    Un movimento all’interno della cabina cattura la mia attenzione. Skippy, la nostra piccola mascotte, è già al posto del copilota, intenta a controllare la checklist pre-volo a modo suo. Le sue grandi orecchie da fennec vibrano leggere a ogni suono, gli occhialoni da pilota spinti sulla fronte come quelli di un aviatore d’altri tempi.

    “Skippy, cominciamo con i controlli.”

    Si raddrizza di scatto, concentrata. Ha imparato a memoria alcune procedure e, nei limiti del possibile, mi aiuta nei controlli mentre io concludo l’ispezione esterna.
    Ad ogni mia richiesta, effettua il controllo e poi alza la zampa per confermarmi che tutto è ok.
    Sorrido. Mi piace quest’atmosfera da squadra affiatata, dove ognuno ha il proprio compito e lo svolge con precisione.

    Finiti i controlli chiudo il pannello del motore, do un’ultima occhiata attorno e salgo in cabina. Skippy esegue un piccolo balzo sui sedili posteriori e si allaccia la cintura. Veronika si sistema accanto a me, indossa le cuffie e comunica per radio.

    Figari Ground, Cessna November 172SW, richiediamo autorizzazione all’accensione motore e al rullaggio.”
    La risposta arriva pochi istanti dopo, un suono ovattato nelle cuffie. Siamo autorizzati a rullare verso la pista 23.

    Veronika mi fa un cenno con la mano. Posso accendere il motore.
    Indosso anche io le cuffie, respiro profondamente poi giro la chiave d’accensione.

    L’elica inizia a muoversi. Il suono del motore cresce, un rombo profondo e familiare che risuona nel petto. Un suono che segna la fine dell’attesa.
    Rilascio i freni. L’aereo scivola sulla taxiway, dirigendosi verso la pista di decollo. Ci muoviamo lentamente ma in cabina l’energia è palpabile.

    Veronika controlla il tablet di bordo, ancora rapita dall’idea di ripartire. Skippy ha il musetto appoggiato al vetro, completamente immersa nel momento. Io, invece, sento il peso della responsabilità che mi scorre lungo la schiena.
    Essere il pilota significa essere responsabile. Sempre. Ogni volo porta con sé un carico di concentrazione, ogni decollo è una promessa di portare a destinazione il mio equipaggio sano e salvo. Eppure c’è anche l’adrenalina.
    L’emozione che cresce, quella vibrazione nel petto che dice che stiamo andando verso l’ignoto.

    Ci fermiamo prima dell’ingresso in pista, come da procedura. Attendiamo l’autorizzazione all’accesso, regolato per garantire la massima sicurezza e impedire possibili collisioni.

    Guardo Veronika, lei guarda me.

    Per un istante nessuno parla. C’è emozione nei suoi occhi, la stessa che so essere nei miei. Ci prendiamo la mano, un gesto semplice ma che porta con sé tutta la forza di cui abbiamo bisogno.

    Poi, finalmente, la voce della torre rompe l’attesa.

    “Cessna November 172SW, autorizzati al decollo, pista 23, direzione sud-est.”

    Ci siamo.

    Entro in pista e spingo la manetta in avanti.
    Il rumore del motore cresce di intensità, le vibrazioni aumentano mentre l’aereo prende velocità, la pista scorre sotto di noi.

    Controllo l’indicatore della velocità. 40… 50… a 65 nodi, tiro leggermente il volantino verso di me.

    C’è quel momento perfetto, sospeso tra il suolo e il cielo, in cui il peso dell’aereo non è più sostenuto dalle ruote ma ancora non siamo del tutto in volo.

    Poi il momento in cui tutto cambia. Le ruote lasciano la pista.

    Siamo in aria.

    Lascio che l’aereo guadagni quota, il profilo della Corsica inizia a rimpicciolirsi sotto di noi.

    Una nuova avventura è appena iniziata.

    Ogni ripartenza porta con sé il brivido dell’ignoto e la promessa di nuove scoperte.

    il Cessna con le protezioni in attesa sulla piazzola (foto flight simulator 2024)

    Saluto alla Corsica

    Virando dolcemente verso sud allineo il muso del Cessna 172 in direzione della nostra meta: la Sardegna. Il sole del mattino illumina il mare sotto di noi, creando un contrasto quasi surreale tra il blu profondo dell’acqua e il bianco delle falesie di Bonifacio che si stagliano come una muraglia naturale.

    Siamo stati qui per giorni, abbiamo camminato lungo quei bastioni, abbiamo respirato la storia di questa cittadella medievale. Eppure, vederla ancora dall’alto le restituisce un fascino diverso.

    “Guarda il porto” dice Veronika, indicando in basso. “Non sembra quasi sparire dentro le rocce?”

    Abbasso lo sguardo e osservo il piccolo fiordo naturale che ospita il porto di Bonifacio. Un rifugio perfetto, nascosto tra le falesie, quasi invisibile dal mare aperto. Da terra sembrava già incredibile, con le sue acque placide incastonate tra pareti di pietra ma, da quassù, la sua forma si rivela ancora più sorprendente.

    “Non c’è da stupirsi che fosse un punto strategico perfetto” rispondo. “Difficile da vedere, facile da difendere. Chiunque cercasse di assediare la città doveva prima trovare il modo di entrare.”

    Sorvoliamo lentamente la cittadella. Le case si affacciano a picco sul vuoto, alcune così vicine al bordo che sembrano sospese nell’aria.

    “Sai cosa ho letto che mi sono dimenticata di dirti?” riprende Veronika. “Le falesie sono in costante arretramento. Il vento e il mare le erodono giorno dopo giorno.”

    “Immaginavo… ma quanto possono essere cambiate?”

    “Abbastanza da inghiottire una casa intera.” Fa una pausa, poi continua: “Nel 1966 un intero tratto di costa crollò improvvisamente. Una casa, con dentro i suoi abitanti, finì giù insieme a una parte delle fortificazioni originali.”

    Resto in silenzio per un istante, lasciando che il peso di quelle parole si depositi tra noi. Bonifacio, con la sua imponenza, sembra eterna. E invece anche le pietre che la sorreggono sono vulnerabili.

    Scambiamo un ultimo sguardo con la città che ci ha ospitati. Bonifacio è stata la nostra tappa di arrivo, il punto in cui le prime dieci tappe del nostro viaggio si sono concluse. Ora, vederla allontanarsi sotto di noi segna davvero la fine di quel capitolo.

    Veronika sospira e appoggia la testa al sedile. “Mi mancherà un po’” ammette con un sorriso malinconico. Poi scuote la testa e aggiunge con leggerezza: “Ma devo essere sincera… cominciavo ad annoiarmi.”

    Sorrido, perché in fondo la penso allo stesso modo. Abbiamo atteso fin troppo per ripartire. Ora, con la rotta puntata a sud, tutto sembra di nuovo possibile.

    Dal cielo ogni luogo svela una nuova anima: Bonifacio non fa eccezione.

    Il Porto di Bonifacio visto dal Cessna (foto flight simulator 2024)

    Bocche di Bonifacio

    Il tratto di mare che separa la Corsica dalla Sardegna: le famose Bocche di Bonifacio si staglia ora avanti a noi. Un passaggio breve, meno di 12 chilometri di mare aperto, eppure insidioso. Le correnti qui sono imprevedibili, il vento può cambiare direzione in un istante. Anche dall’alto il mare sembra quasi avere una sua volontà, con scie bianche di schiuma che si formano e si dissolvono senza un apparente ordine.

    “Non è un caso che queste acque siano tra le più temute dai marinai” dico, ricordando le parole di un pescatore di Bonifacio.

    Veronika annuisce. “Leggevo anche che alcuni storici pensano che Ulisse sia passato proprio di qui. Lo sapevi?”

    La guardo con curiosità.

    “Davvero?”

    “Sì. Nell’Odissea, l’episodio dei Lestrigoni – i giganti cannibali che distrussero la flotta di Ulisse – potrebbe essere ambientato in queste acque. Bonifacio, con le sue pareti a strapiombo, ricorda proprio la descrizione della terra dei Lestrigoni, con un porto stretto e nascosto tra le rocce.”

    Dalle mie spalle Skippy si allunga verso il finestrino, le zampette premute sulla cornice, il musetto quasi incollato al vetro. Al solo sentire la parola “giganti” ha drizzato le orecchie, l’eccitazione evidente nel piccolo fremito della coda. Prova a contenersi, proprio come Veronika, ma ormai la conosco troppo bene per non notarlo. Sta aspettando, paziente, che ci dirigiamo verso quello che davvero la interessa.

    Faccio finta di nulla e osservo ancora il mare sotto di noi. Immagino quelle antiche navi, intrappolate tra le falesie, i marinai presi dal panico mentre le imbarcazioni venivano fatte a pezzi da enormi massi scagliati dall’alto.

    “Beh, se fosse vero, direi che abbiamo fatto bene a sorvolarlo invece che ad affrontarlo via mare” commento con un sorriso.

    Veronika ride, poi il suo sguardo si sposta a est, la sua espressione cambia. “Quella invece è l’Isola di Lavezzi. Un puntino di terra circondato da scogli affioranti, un luogo che da quassù sembra tranquillo… ma che cela una delle tragedie più drammatiche della storia della navigazione.” Fa una pausa. I suoi occhi restano fissi sull’isola, poi riprende. “Lì, nel 1855, la fregata francese Sémillante, una nave della Marina imperiale, si schiantò sugli scogli durante una tempesta. A bordo c’erano circa 700 uomini. Nessuno si salvò.”

    Rimane in silenzio per un attimo, come se potesse sentire il peso di quella storia.

    “I pescatori della zona evitano ancora l’isola nelle notti di tempesta” riprende dopo un attimo di riflessione. “Dicono che, in quelle notti, il vento porti ancora i lamenti dei naufraghi.”

    Una raffica improvvisa scuote l’aereo, spezzando per un attimo il silenzio. Per un istante, lasciamo che sia solo il rumore del motore a riempire la cabina. Il mare sotto di noi continua a cambiare, mostrando vortici e correnti che sembrano disegnare sentieri invisibili sulla superficie dell’acqua.

    “Eccola” dico, stringendo leggermente i comandi. “Ci siamo quasi.”

    Tra gli scogli della Lavezzi riecheggia il passato: il vento non dimentica le tragedie del mare.

    la piccola isola di Lavezzi (foto flight simulator 2024)

    L’Arcipelago della Maddalena

    Le scogliere imponenti della Corsica lasciano spazio alle dolci colline sarde, punteggiate da macchia mediterranea e interrotte dai massicci granitici che si tuffano nel mare. Il passaggio è netto, quasi come se il mare separasse non solo due terre ma due mondi.

    L’Arcipelago della Maddalena si dispiega come un mosaico di isole e calette immerse in un mare che varia dal turchese al verde smeraldo. Sette isole principali e una miriade di isolotti più piccoli, un paradiso che per secoli ha visto passare navigatori, eserciti e avventurieri.

    “Guarda lì sotto.”

    Quasi grido per l’emozione a Veronika in cuffia mentre sorvoliamo Budelli, con la sua leggendaria Spiaggia Rosa. Un angolo di paradiso unico al mondo, protetto per impedirne il degrado.

    “Quella è la Spiaggia Rosa di cui mi parlavi?” chiede Veronika.

    Annuisco. “Sì. Il suo colore viene da minuscoli frammenti di conchiglie e coralli. Un tempo la sabbia era ancora più rosa ma il turismo incontrollato l’ha rovinata. Le persone portavano via la sabbia come ricordo. Per questo oggi è vietato avvicinarsi: nel 1994, con l’istituzione del Parco Nazionale dell’Arcipelago della Maddalena, l’intera area è stata protetta per preservarne la bellezza.”

    Veronika osserva ancora per qualche secondo l’isola che scivola sotto di noi. “Forse è meglio così. Alcune cose dovrebbero restare intatte. Soprattutto se non si ha la capacità di rispettarle.”

    Proseguiamo sopra Caprera, l’isola che ospitò l’ultimo capitolo della vita di Giuseppe Garibaldi.

    “Là sotto, tra la macchia mediterranea, c’è la Casa di Garibaldi.” dico, poi mi giro verso Skippy. “Sai chi era?”

    Lei scuote la testa poi la inclina curiosa, le orecchie ben dritte.

    “Un grande condottiero” continuo. “Uno di quei personaggi che hanno segnato la storia italiana. Ha combattuto per unificare l’Italia ma, dopo anni di guerre e battaglie, ha scelto di ritirarsi qui, lontano dalla politica e dalle tensioni del nuovo Stato.”

    “Perché proprio qui?” chiede Veronika.

    “Sembra che Garibaldi visitò Caprera per la prima volta nel 1855 e se ne innamorò. Comprò un pezzo di terra e costruì la sua casa. Dopo la presa di Roma nel 1870, quando ormai il suo sogno di un’Italia unita si era realizzato, scelse di ritirarsi definitivamente qui, lontano dalla politica e dalle guerre.”

    Skippy inclina la testa, perplessa. Poi lancia uno sguardo rapido verso Veronika, come a cercare conferma.

    “È vero” dice lei sorridendo. “E pensa che per un periodo i governi europei lo consideravano un pericolo, perché ovunque andasse c’era una rivoluzione.”

    Skippy sbatte le palpebre, perplessa.

    “Prima dell’Italia ha combattuto in Sud America” aggiungo. “In Brasile, in Uruguay… sempre dalla parte di chi voleva libertà e giustizia. Ovunque andasse la sua camicia rossa diventava il simbolo della rivolta. Per questo lo chiamavano ‘l’Eroe dei Due Mondi’.”

    Skippy fissa l’isola ancora per un po’, poi torna a incollarsi al finestrino, osservando l’acqua sotto di noi come se volesse imprimere nella memoria ogni sfumatura di quel mare.

    “Abbiamo ufficialmente raggiunto la Sardegna” annuncio. “Ora inizia davvero il nostro viaggio.”

    Tra due mondi divisi dal mare, abbiamo trovato un luogo che chiede solo di essere rispettato.

    l’Isola di Caprera (foto flight simulator 2024)

    Costa Smeralda

    Il paesaggio inizia a cambiare mentre seguiamo la costa della Gallura.

    Veronika ha preso la sua immancabile guida e ha iniziato a scorrerne le pagine da quando abbiamo lasciato Caprera.

    “Siamo sulla Costa Smeralda dice, leggendo. “O meglio, in quello che fino a pochi decenni fa era solo un angolo isolato della Sardegna.” Fa scorrere lo sguardo sulle righe successive, poi riprende. “Fino agli anni ’60 qui c’erano solo pascoli e stazzi, le tradizionali fattorie sarde. Non c’erano strade, né porti turistici, né ville. Solo terra dura, vento e greggi di pecore. A quanto pare tutto cambiò quando il principe Karim Aga Khan IV, facente parte dell’élite internazionale e, sembra, discendente del profeta Maometto, scoprì questa costa e decise di trasformarla in una meta esclusiva per miliardari e celebrità.”

    “È stato questo principe a volerla rendere un paradiso per i ricchi?” chiedo curioso.

    Lei scorre il dito sul testo. “Sembra proprio di sì e ha subito attirato investitori e architetti da tutto il mondo. Ah, senti questa. Il nome ‘Costa Smeralda’ non è stato scelto solo per il colore dell’acqua. Uno degli imprenditori coinvolti nel progetto, Giuseppe ‘Kerry’ Mentasti, voleva chiamarla ‘Costa Esmeralda’, in onore di sua figlia Esmeralda. Poi si decise di togliere la ‘E’ per renderlo più elegante e più italiano.”

    Guardo giù ascoltandola, proprio mentre sorvoliamo lentamente l’Hotel Cala di Volpe, una delle icone della Costa Smeralda. La sua architettura è inconfondibile, con forme arrotondate e dettagli che ricordano un antico borgo.

    Veronika aggrotta la fronte, leggendo un passaggio. “Aspetta… qui dice che vicino all’hotel ci sono delle rovine medievali.” Poi si ferma e sorride. “Senti questa, sono rovine false, create ad arte. La guida dice che furono progettate dall’architetto Jacques Couëlle. Pensava che un’aria di antichità avrebbe reso tutto più esclusivo, così ha costruito delle finte rovine medievali accanto all’hotel.”

    Scoppio a ridere. “Quindi… hanno letteralmente inventato una storia per rendere il posto più esclusivo.”

    “E non è l’unica cosa surreale successa qui. Negli anni, in Costa Smeralda si sono organizzate le cose più assurde: gare di cavalli sulla spiaggia, feste su yacht da milioni di euro, persino James Bond ci è passato nel 1977, nel film La spia che mi amava.” Prosegue, divertita. “Abbiamo appena sorvolato spiagge protette dove è vietato persino camminare per non rovinare la sabbia… e qui sotto c’è gente che atterra in elicottero per prendere un caffè da 50 euro.”

    Sorrido. “Due mondi diversi, separati da pochi chilometri.”

    Il contrasto tra la natura selvaggia della Gallura e l’opulenza della Costa Smeralda è evidente mentre sorvoliamo la costa. Poi, con una virata lenta, iniziamo a lasciarci alle spalle il lusso sfrenato, puntando verso la nostra prossima destinazione.

    Bastano pochi chilometri per passare dal selvaggio al lusso ma il vero viaggio è saper riconoscere entrambi.

    Porto Cervo visto dal Cessna (foto flight simulator 2024)

    Crescendo di emozioni

    Tornando verso nord il lusso e l’eleganza della Costa Smeralda lasciano spazio a una natura più selvaggia e autentica. Le spiagge affollate scompaiono, sostituite da insenature rocciose e tratti di costa quasi inaccessibili.

    Dopo Cala di Volpe in cabina è calato un silenzio quasi strano. Veronika è rimasta assorta nei suoi pensieri, lo sguardo fisso sull’orizzonte. La conosco bene: sta aspettando il momento giusto per dire qualcosa che le gira in testa.

    Penso di sapere cosa ma comunque non devo aspettare molto.

    “Alloraaaaaa” dice all’improvviso, rompendo il silenzio “torniamo a parlare di cose serie?”

    Prima che possa risponderle Skippy salta in avanti con un piccolo balzo e si sistema sulle gambe di Veronika, incrociando le braccia mentre mi osserva.

    Sorrido “Ma quindi è tutto un complotto? Stavate aspettando di essere lontane dal giro turistico per tornare all’attacco?”

    Veronika sorride “Ti abbiamo fatto vedere le cose che volevi tanto osservare dall’alto. Ora tieni pure il tuo scetticismo per un po’” dice, scrollando le spalle. “Ma sentimi bene…”

    Sospiro con esagerazione, come se stessi per ascoltare una teoria improbabile, anche se in realtà sono curioso di sapere dove vuole arrivare.

    Lei prende il pezzo di stoffa con il simbolo che abbiamo trovato e lo indica con il dito.

    “Okay, quindi?”

    “Quindi questo simbolo non è casuale.”

    Veronika si ferma un attimo, come se stesse cercando le parole giuste. Poi, con un gesto deciso, rigira il tessuto e lo inclina leggermente verso la luce del finestrino.

    “E non c’è solo il simbolo” continua. “Ricordi la scritta?”

    Ricordo le parole spezzate, incomplete ma con un senso chiaro:

    “…su tempus… nos eramus… su tempus… torneremos…”

    Veronika incrocia le braccia. “Nel tempo eravamo, nel tempo torneremo. Se lo colleghiamo al simbolo… potrebbe essere un riferimento ai Giganti.”

    Sollevo un sopracciglio. “Ai Giganti di Mont’e Prama?

    Lei annuisce con convinzione. “Alcuni sostengono che la loro civiltà sia molto più antica di quanto pensiamo. E se questo fosse un indizio che qualcuno di loro è sopravvissuto più a lungo?”

    Mi appoggio allo schienale e sorridendo le chiedo “Se erano giganti… perché la scritta è così piccola?”

    Skippy sbuffa e si gira di scatto, la coda che si muove seccata. È chiaro: per lei sono senza speranza.

    Veronika sospira. “Sei insopportabile quando fai così.”

    Rido. “Mi stai dicendo che dei colossi alti tre metri incidevano testi in miniatura?”

    Lei mi lancia un’occhiataccia, poi guarda il pezzo di stoffa, come se cercasse una nuova chiave di lettura. “Forse non erano loro a scriverlo… ma qualcuno che conosceva la loro storia.”

    Ora ha la mia attenzione, anche se cerco di non darlo a vedere.

    “Stai dicendo che potremmo trovare un altro pezzo di questo puzzle in questo sito archeologico che vuoi visitare?”

    “Non lo sto dicendo io. Lo dice la storia. Lo dicono queste immagini.” Avvicina di nuovo la stoffa allo schermo, sovrapponendola all’immagine.

    Skippy batte la zampa prima contro la stoffa, poi contro il tablet, approvando con entusiasmo la teoria di Veronika.

    Rido e scuoto la testa. “E così siamo passati dal viaggio turistico alla caccia al tesoro?”

    Veronika si gira verso di me, gli occhi brillano. “No, Camillo. Siamo passati dal turismo all’indagine storica. Questa potrebbe essere una scoperta importante.”

    Guardo di nuovo l’immagine sul tablet, poi osservo la costa sotto di noi. Santa Teresa di Gallura è ormai vicina.

    Inspiro profondamente. Non so ancora cosa stiamo cercando ma so che ormai non posso più ignorarlo. Il loro entusiasmo è contagioso… e ora sono dentro anch’io.

    Ogni indizio è una porta sul passato ma solo chi sa guardare oltre può trovarne la chiave.

    Santa Teresa di Gallura vista dal Cessna (foto flight simulator 2024)

    Santa Teresa di Gallura

    Arriviamo a Santa Teresa di Gallura, adagiata sulla costa settentrionale della Sardegna. Il porto, con le sue barche ordinate e le strade perfettamente allineate danno alla cittadina un’aria quasi ligure, un dettaglio che si nota subito dall’alto.

    Guardo di sfuggita Veronika. Sorride, gli occhi fissi sulla terra che si avvicina, il tablet ancora tra le mani, come se già stesse immaginando cosa troveremo laggiù.

    Skippy, invece, è decisamente meno discreta. È appoggiata con tutto il musetto al vetro, la coda che oscilla con impazienza. Il messaggio è chiaro: atterriamo e muoviamoci.

    Sorrido. Anche se non lo ammetterò mai, mi stanno contagiando.

    Un ultimo sguardo al porto, poi mi dirigo verso la pista che è più davanti. Mi concentro sulla discesa. La pista è un semplice campo volo con fondo in erba ed fatico ad individuarla. Niente cemento o asfalto questa volta, nulla che non abbia già affrontato ma richiede comunque più attenzione di un normale atterraggio su pista.

    Finalmente la vedo, effettuo una virata e abbasso la velocità, il muso del Cessna si inclina dolcemente mentre allineo l’aereo alla traiettoria finale. L’erba si avvicina rapidamente.

    Le ruote toccano terra con un leggero sobbalzo e il rumore dell’erba sotto di noi è più ovattato rispetto all’asfalto. Rallento con delicatezza mentre il velivolo scivola sulla superficie naturale, lasciando una scia sottile tra i fili d’erba mossi dal vento.

    Silenzio.

    Poi, un suono inconfondibile:

    Skippy che stacca le cinture con un gesto deciso, pronta a scattare fuori anche se l’aereo è ancora in movimento.

    Veronika ridacchia. “Siamo sicuri che riesca ad aspettare che spegniamo il motore?”

    Skippy si gira verso di me, sbuffa e incrocia le braccia, chiaramente esasperata dalla nostra lentezza.

    Scuoto la testa, ridendo. Spengo il motore, tiro i freni di parcheggio e mi giro di nuovo verso di lei.

    “Adesso puoi.”

    Neanche il tempo di finire la frase. Veronika allunga la mano, la portiera si apre di scatto e Skippy schizza fuori come un proiettile.

    Io e Veronika ci guardiamo.

    Sospiro, scuoto la testa e slaccio la cintura.

    “Bene… immagino che la nostra esplorazione sia ufficialmente iniziata.”

    l’avventura continua anche quando mettiamo piede a terra.

    Atterrati a Santa Teresa di Gallura (foto flight simulator 2024)

    Riassunto

    Dopo giorni di manutenzione e attesa, finalmente ripartiamo dalla Corsica, lasciandoci alle spalle Bonifacio e le sue falesie spettacolari. Il volo attraverso le Bocche di Bonifacio ci porta a sorvolare le acque turbolente che separano l’isola francese dalla Sardegna, attraversando uno dei passaggi marittimi più insidiosi del Mediterraneo. Veronika, leggendo la sua guida, racconta di come alcuni storici abbiano ipotizzato che Ulisse fosse passato proprio in queste acque, facendo nascere un primo spunto di riflessione sul nostro viaggio.

    Sorvoliamo l’Arcipelago della Maddalena, dove ammiriamo la leggendaria Spiaggia Rosa di Budelli e l’isola di Caprera, l’ultimo rifugio di Garibaldi, il celebre condottiero che ha vissuto qui i suoi ultimi anni. Il volo prosegue verso la Costa Smeralda, un tempo terra di pastori e stazzi poi trasformata negli anni ‘60 in una meta esclusiva per miliardari grazie al principe Karim Aga Khan IV. Scopriamo come l’intera area sia stata costruita su misura per il lusso, con aneddoti curiosi come le rovine medievali false dell’Hotel Cala di Volpe, realizzate per aumentare il fascino del luogo.

    Mentre ci allontaniamo dalle località più turistiche, il paesaggio cambia radicalmente: le ville sfarzose lasciano spazio a una natura più selvaggia e autentica. È in questo momento che Veronika decide di tornare su un argomento che la tormenta da giorni: il misterioso frammento di stoffa trovato in Corsica. Dopo averlo confrontato con un’immagine sul tablet, inizia a ipotizzare un collegamento con i Giganti di Mont’e Prama, le enigmatiche statue nuragiche della Sardegna. Le parole incise sul tessuto – su tempus nos eramus, su tempus torneremos – sembrano suggerire una continuità storica che potrebbe riscrivere parte del nostro passato.

    Inizialmente scettico mi lascio coinvolgere dal loro entusiasmo: il viaggio si trasforma da semplice esplorazione turistica a una vera e propria indagine storica. Arriviamo a Santa Teresa di Gallura, dove atterriamo su una pista in erba poco fuori dal centro abitato. Skippy, impaziente di iniziare l’esplorazione non perde un secondo per lanciarsi fuori dall’aereo, sancendo ufficialmente l’inizio di questa nuova fase del viaggio. Non sappiamo ancora cosa troveremo ma ormai siamo dentro fino in fondo: il passato sembra volerci parlare, e noi siamo pronti ad ascoltarlo.

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    Il video del volo completo è senza commenti, pensato per offrire il punto di vista del pilota. Puoi saltare tra i capitoli per rivedere dall’alto i luoghi descritti nei diari. È presente solo per completezza: non è necessario per seguire il progetto.