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tra leggende e nuove domande

VIDEO RIASSUNTO

Diario di Volo

Alghero
Oristano

Decolliamo da Alghero all’alba con Gavina a bordo, sorvolando siti sacri e tombe millenarie. Tra misteri, risate e il risveglio comico di Skippy, atterriamo a Oristano con una domanda che resta sospesa: cosa ci aspetta davvero in quel museo?

Punti di interesse sorvolati

    VIDEO RIASSUNTO

    Alghero

    LIEA

    • Equip. – 2
    • Velivoli – 1
    • Passeg. – 1
    • Italia
    • Equipaggio – 2
    • Velivoli – 1
    • Passeggeri – 1
    • Paese – Italia

    Oristano

    LIER

    • Time – 35 min
    • Dist – 105 KM
    • POI – 8
    • Città – 3
    • Durata – 35 min
    • Percorse – 105 KM
    • POI sorvolati – 8
    • Città sorvolate – 3

    da Alghero ad Oristano

    Risveglio difficile

    La casa di Gavina è immersa nel silenzio. Fuori la notte sta cedendo lentamente al primo chiarore dell’alba ma dentro le stanze tutto è ancora fermo, quasi sospeso nel tepore del sonno.

    Ci muoviamo con discrezione, cercando di non fare troppo rumore mentre raccogliamo le nostre cose e beviamo al volo un caffè. Il tempo è prezioso: dobbiamo decollare presto per raggiungere il museo a Oristano in mattinata e avere tempo per approfondire ogni dettaglio.

    Solo una di noi non sembra avere alcuna intenzione di alzarsi. Skippy, la nostra piccola fennec, è completamente abbandonata su un cuscino, le zampe allungate, le orecchie rilassate.

    E russa. Forte.

    Veronika si avvicina e la osserva con un sorriso divertito. «Povera piccolina, l’ho vista girarsi e rigirarsi nel sonno queste ultime notti. Aveva sicuramente bisogno di recuperare.»

    Gavina suggerisce una soluzione: «Lasciatela dormire, la portiamo così com’è.»

    E così, con la delicatezza di chi trasporta un vaso antico, adagiamo Skippy nello zaino di Veronika, lasciandole la testolina fuori come fa di solito quando non vuole camminare. Il tutto mentre lei continua a russare beata, del tutto ignara della missione di recupero che ha richiesto tre adulti.

    Anche chi viaggia tra cielo e storia ha bisogno di dormire come un cucciolo che si finge eroe.

    preparativi pre volo (foto flight simulator 2024)

    Preparativi prima del volo

    Il piccolo aeroporto di Alghero è tranquillo a quest’ora del mattino. L’aria è ancora fresca e il cielo si tinge di sfumature rosa e arancioni mentre ci avviciniamo al nostro Cessna parcheggiato ordinatamente nella piazzola in cui l’avevamo lasciato.

    Mentre io effettuo i controlli pre-volo, Veronika si occupa di rimuovere le protezioni del velivolo, spiegando ogni passaggio a Gavina che la osserva con curiosità.

    «Questa è la copertura del pitot» indica, sollevando il piccolo tappo rosso attaccato a un nastrino con la scritta “remove before flight” che pende dall’ala sinistra. «Serve a proteggere il tubo di Pitot, quello che ci fornisce la velocità dell’aria. Se ci entra sporco o insetti, potrebbe dare letture sbagliate e non è il massimo quando sei in volo.»

    «Ah!» esclama Gavina, visibilmente interessata. «Quindi è una protezione per gli strumenti?»

    «Esatto» annuisce Veronika, mentre si sposta verso il carrello anteriore. «E questi invece sono i blocchi delle ruote, i cunei. Servono per tenere fermo l’aereo quando è parcheggiato, soprattutto se c’è vento.» Si ferma un attimo, poi ridacchia. «Di solito se ne occupa Skippy ma credo che oggi tocchi a me.»

    Quando passano accanto al finestrino posteriore, sentono un suono familiare. Skippy sta ancora russando. «Si sveglierà quando accenderemo il motore.» dice Veronika scherzando.

    Gavina ride a sua volta e scuote il capo. «Sembra proprio che si fidi completamente di voi.»

    «O che sia completamente distrutta» aggiunge Veronika con un sorriso mentre ripiega le coperture del motore.

    Tutto è pronto. Salgo a bordo, accendo la strumentazione e faccio scorrere le ultime checklist.
    Il sole si è ormai alzato sopra l’orizzonte, illuminando la pista con una luce dorata. È ora di partire.

    Ogni volo inizia con piccoli rituali, sorrisi, complicità e tecnica.

    decollo da Alghero (foto flight simulator 2024)

    Primo volo su un Cessna

    Il motore del Cessna 172 prende vita con il suo ruggito familiare, oggi gareggia col russare di Skippy. Un suono rassicurante per noi ma probabilmente non per Gavina. La nostra passeggera cerca di apparire composta ma il suo sguardo tradisce l’emozione. Le mani stringono con discrezione le ginocchia mentre gli occhi guizzano rapidi tra il cruscotto e l’orizzonte oltre il parabrezza.

    «E quindi… ehm… com’è che si fa a sapere se… insomma, se tutto è pronto per decollare?» chiede, cercando di mascherare la sua agitazione con un tono curioso.

    Sorrido mentre completo gli ultimi controlli, scorrendo con lo sguardo gli strumenti di bordo. «Abbiamo già verificato tutto. Ora aspettiamo l’autorizzazione e poi ci allineiamo in pista.»

    Gavina annuisce ma l’espressione sul suo viso suggerisce che sta elaborando una valanga di domande.

    «E… il vento? Cioè, cambia qualcosa se c’è vento?»

    «Sì, certo» risponde Veronika cercando di avere un tono rassicurante. «Decolliamo sempre controvento per avere più portanza sulle ali. In pratica ci aiuta a staccarci prima da terra.»

    Gavina annuisce di nuovo, come se fosse perfettamente chiaro, ma dopo un secondo: «E il motore? Dico, se per caso… cioè, se ci fosse un problema, si spegne?»

    Trattengo una risata. «No, Gavina, non si spegne. E comunque abbiamo procedure di sicurezza per ogni evenienza.»

    Non sembra completamente convinta ma si sforza di sorridere anche lei. Respira profondamente, guardando fuori dal finestrino mentre rulliamo verso la testata della pista. Il Cessna vibra leggermente sotto di noi, la fusoliera riflette la luce dorata del mattino e l’orizzonte davanti sembra infinito.

    Quando riceviamo l’autorizzazione al decollo, mi giro verso di lei. «Pronta?»

    «Prontissima» risponde in un tono un po’ troppo deciso, come se volesse convincere più se stessa che noi.

    Spingo gradualmente la manetta in avanti. Il rombo del motore cresce, la pista scorre veloce sotto di noi e in pochi secondi sentiamo il momento esatto in cui le ruote smettono di toccare terra.

    Gavina trattiene il fiato e, solo quando il Cessna si stabilizza in aria, osa guardare di sotto. Il paesaggio si spalanca sotto di noi: la costa nord-occidentale della Sardegna si stende come un quadro in movimento, le onde lambiscono la riva e le colline si illuminano sotto il primo sole.

    «Oh…» sussurra. Poi si copre la bocca, come se avesse appena rivelato un segreto.

    Veronika sorride. «Tutto bene?»

    Gavina annuisce lentamente. La tensione nelle sue spalle si scioglie un po’. «Sì. È… incredibile.»

    «Già» rispondo, sorridendo. «E abbiamo appena iniziato.»

    Da dietro un suono ovattato ci distrae un attimo. Skippy, ancora nello zaino di Veronika, emette un piccolo mugolio nel sonno e si gira leggermente. Non ha neanche sentito il decollo.

    «Direi che qualcuno è il passeggero più rilassato di tutti» commenta Veronika ridendo.

    Gavina sorride, stavolta senza più tensione. Il cielo è aperto davanti a noi e il nostro viaggio tra le pietre della storia è ufficialmente iniziato.

    Le emozioni non si mascherano tra le nuvole e il primo decollo non si dimentica mai.

    Gavina in cabina per il suo primo volo su un Cessna (foto flight simulator 2024)

    Voci di pietra

    Appena lasciata Alghero saliamo dolcemente di quota puntando a sud-est.

    La luce del mattino accarezza le colline e rivela, poco sotto di noi, una muraglia ciclopica che si snoda sul pianoro.

    «Eccolo lì… Monte Baranta» sussurra Gavina, come se stesse salutando un vecchio amico. Si sporge leggermente per osservare meglio, gli occhi che brillano nonostante l’altitudine. «Ci ho passato mesi lassù. È uno dei siti prenuragici più affascinanti di tutta l’isola. Vedi quella linea spezzata? Quella è la muraglia megalitica. Alta cinque metri, costruita tremila anni prima di Cristo. Non c’era niente di simile nel Mediterraneo occidentale a quel tempo. Niente.»

    Rallento leggermente per darle tempo di raccontare.

    «Era una fortezza, sì, ma anche un luogo sacro. C’era una piattaforma cerimoniale, un menhir enorme, non lo issarono mai, lo lasciarono lì, abbattuto. Chissà perché. Forse fu un segno. Forse qualcosa li spinse ad abbandonare tutto. A volte penso che certe pietre custodiscano più domande che risposte.»

    Ci guardiamo in silenzio mentre sorvoliamo il sito. In basso la muraglia sembra un’ombra che resiste al tempo, un graffio inciso nel verde della macchia.

    «I nuraghi non erano ancora nati» aggiunge, con voce più bassa. «Eppure qui c’erano già uomini che costruivano con intelligenza, che difendevano, pregavano, vivevano. È da lì che inizia tutto.»

    Viro verso sud seguendo il profilo morbido delle colline. Alle mie spalle la voce di Gavina riprende a fluire, profonda e viva, come un racconto che non vuole più restare in silenzio.

    Sorvoliamo Santu Pedru ma è come se sorvolassimo anche i suoi ricordi, la sua terra, la sua vita passata tra studi, scavi e meraviglia.

    «Quelle sono le Domus de Janas, le case delle fate» dice, indicando con un cenno le aperture regolari visibili dall’alto. «Scavate a mano nel Neolitico. Le usavano per seppellire i defunti ma anche per comunicare con l’aldilà. Ogni tomba era scolpita come una casa: con travi finte, porte chiuse, stanze interne… era il modo per accompagnare i morti in un altro tipo di vita, non per lasciarli andare.»

    Veronika si gira appena, catturata.

    «Le decoravano con ocra rossa, simbolo di sangue, di rinascita. Alcune hanno corna di toro incise alle pareti: un richiamo alla fertilità, alla forza… ma anche alla morte, che faceva parte del ciclo.»

    «Quindi erano più che tombe» commento, lasciando che l’aereo scivoli dolcemente lungo la curva.

    «Molto di più» conferma Gavina. «Erano il grembo della Terra. Ci si tornava per celebrare i riti, per chiedere protezione. Non si seppelliva e basta… si restava in relazione con i propri antenati.» Poi si fa silenziosa per un istante ma continua a fissare le rocce rosse laggiù. «Quella trachite ha visto passare migliaia di anni. E ancora ci parla, se sappiamo ascoltare.»

    Le pietre parlano, se le sorvoli col cuore aperto e chi ti guida ha la voce dell’esperienza.

    Alghero in lontananza con Capo Caccia illuminato (foto flight simulator 2024)

    Ombre antiche

    La vegetazione si fa più rada e il paesaggio si apre a campi e rocce affioranti. La tomba dei giganti di Laccaneddu appare come un allineamento discreto ma solenne, appena visibile dall’alto, nascosta tra cespugli e pietre silenziose.

    «Questa» dice Gavina «è una delle tombe più antiche che ho avuto la fortuna di studiare da vicino. È lì che ho iniziato a capire che “giganti” non era solo una leggenda… ma neppure solo un nome.»

    Veronika si volta verso di lei, incuriosita. «C’erano ossa fuori misura?»

    Gavina sorride ma non si lascia ingannare dalla semplicità della domanda. «No. Nessun ossa enormi, niente scheletri di tre metri. Almeno, non nei contesti ufficiali, nei registri archeologici. Però…» Fa una breve pausa, lo sguardo perso oltre il finestrino. «Però ci sono storie. Racconti tramandati a voce, contadini che giurano di aver visto resti fuori scala, tombe chiuse in fretta o pietre che non si dovevano toccare. E poi ci sono le steli monumentali, le camere più grandi del necessario, le forme insolite. Qualcosa resta, anche se sfugge alla scienza.»

    Ci guardiamo in silenzio mentre l’aereo procede sopra il sito.

    «Il nome “tomba dei giganti” è moderno, sì. Popolare ma il fascino che suscitano… quello è reale. Nessuno che ci sia passato accanto è riuscito a ignorarle. E se i giganti non erano di carne, forse erano di memoria. O di conoscenza. O erano un’eco di un popolo ancora più antico, che la civiltà nuragica ha raccolto, custodito e trasformato.»

    Il Cessna prosegue tranquillo, accarezzando l’aria.

    Gavina accenna a un altro sito, più avanti. «E lì, poco oltre… c’è Puttu Codinu, un’altra necropoli.»

    Rimango un attimo in silenzio, poi chiedo: «Ma queste necropoli… hanno davvero un legame con le leggende? Con le fate, con i giganti? Oppure è solo fantasia?»

    Gavina annuisce lentamente, come se avesse atteso quella domanda. «Le necropoli come questa non erano semplici cimiteri. Erano santuari. Spazi di passaggio e di contatto. Le camere sono scavate come case: travi scolpite, tetti a spiovente, nicchie. È come se volessero offrire al defunto una dimora vera, scolpita nella roccia per resistere all’eternità.»

    Annuisco, osservando il paesaggio sotto di noi modellato da mani millenarie con rispetto e fede.

    «E poi i simboli…» continua lei. «Le protomi taurine, i menhir piantati all’esterno, le tracce di ocra. Ogni elemento era un messaggio. Solo che oggi non abbiamo più il codice per decifrarlo fino in fondo. A volte penso che la vera eredità sia proprio questa: il diritto di continuare a cercare. Forse è per questo che ero così determinata a seguire la traccia che ora state seguendo anche voi.»

    Per un istante, nessuno parla. Sorvoliamo la necropoli in silenzio, con la sensazione che, laggiù, qualcosa stia ancora aspettando.

    E se davvero alcune verità fossero state affidate alla pietra in attesa che qualcuno le riconoscesse?

    Lo penso senza dirlo mentre davanti a noi il paesaggio continua a scorrere, lento e immobile al tempo stesso.

    Non sempre i giganti sono di carne. A volte abitano nella memoria o nelle domande che restano.

    il Golfo di Oristano con la sua laguna (foto flight simulator 2024)

    Scosse leggere

    Sorvoliamo le ultime pieghe della collina, mentre Gavina indica con lo sguardo un piccolo corso d’acqua che brilla tra gli ulivi.

    «Quello è il Rio Trogos. E proprio lì, un po’ più a monte, ci sono alcuni enormi blocchi disposti in modo regolare. C’è chi lo chiama il ponte nuragico

    «Un ponte?» chiedo, incuriosito. «Riuscivano davvero a spostare massi così grandi, già allora?»

    Gavina sorride «Non lo sappiamo con certezza. Ma è questo il bello: anche quando le risposte sembrano semplici la terra resta più antica delle nostre certezze. Se davvero quei blocchi sono stati posizionati tremila anni fa… vuol dire che sapevano muovere la pietra come nessun altro.»

    Veronika si volta con un mezzo sorriso. «O magari… sono stati i giganti

    Gavina si lascia andare a una breve risata, poi risponde senza ironia: «Potrebbe anche essere. Ma servirebbero ulteriori prove, non bastano le leggende. Anche se certe storie, a forza di tramandarle, finiscono per depositarsi sulla verità come la polvere su una stele: invisibili ma presenti.»

    L’aereo prosegue tranquillo e davanti a noi si apre la piana di Ollastra, punteggiata di campi e antichi muretti. Gavina indica un rilievo tondeggiante appena oltre una macchia di vegetazione.

    «Là c’è la tomba dei giganti di Pranu Ardu. Era una delle più grandi della regione. Oggi resta poco: la stele è crollata, la struttura è in parte sepolta, ma intorno a quel sito… ho sempre sentito un’energia divers… »

    Si interrompe di colpo.

    «Aaaaaaah!» esclama, scattando di lato e sbattendo contro il finestrino sinistro. Il Cessna si inclina bruscamente verso sinistra, quanto basta per farci perdere l’equilibrio per un istante.

    «Gavina?!» chiedo, voltandomi di scatto.

    La scena che vediamo ci spiega tutto: Skippy, appena sveglia, ha allungato una zampina sul fianco di Gavina che, dimenticandosi completamente della sua presenza, ha sobbalzato di riflesso, sbattendo contro la fusoliera.

    Veronika scoppia a ridere. «Ah, buongiorno principessa!»

    Skippy la guarda confusa, guarda Gavina, guarda me… poi sbadiglia vistosamente, le orecchie un po’ piegate. Si sistema sul sedile, ancora in bilico tra sogno e realtà.

    Gavina si rimette a posto con una risata trattenuta. «Scusate. Mi ha preso alla sprovvista. Giuro che me ne ero dimenticata!»

    «Tranquilla, anche i ricercatori ogni tanto rimuovono i dettagli importanti» scherzo, riportando l’aereo in assetto.

    Le risate riempiono la cabina per un momento. La tensione è svanita, sostituita da quella leggerezza che solo certi attimi condivisi in volo sanno creare. Davanti a noi la pianura si allunga verso sud. Oristano si avvicina.

    Quando la scienza dimentica una zampa, ci pensa Skippy a ricordarle che siamo vivi.

    Sorvolo dell’aeroporto di Oristano (foto flight simulator 2024)

    Coordinate interiori

    Poco dopo appaiono i primi tetti di Oristano, bassi, compatti, stretti tra terra e cielo.

    «Una città che non ama mettersi in mostra» commenta Gavina, indicando la trama di strade e piazze laggiù. «Ma chi la conosce sa che custodisce più storia di quanto sembri. Le sue origini sono giudicali, medievali. Ma c’è molto di più, se si guarda con attenzione.»

    Sorvoliamo il centro storico, la torre di Mariano, il profilo della cattedrale e il disegno chiuso dei quartieri antichi.

    «Sai che qui si dice che il vento non cambi solo il tempo ma anche l’umore delle persone?» continua lei, sorridendo. «Lo chiamano il maestrale della memoria. Qualcosa che scuote ma non porta mai via davvero nulla.»

    Sul sedile posteriore Skippy si stira lentamente, si strofina gli occhi con le zampine e guarda fuori, ancora mezza persa.

    Mi preparo all’atterraggio. Comincio la discesa verso Oristano-Fenosu. Tutto è stabile, i flap sono giù, la velocità perfetta. Poi, nel silenzio teso e concentrato dell’ultimo tratto si sente un suono basso, lungo…

    Brrrrrooomp.

    Non è il motore. È la pancia di Skippy. Scoppio a ridere. «Credo dovremmo fermarci urgentemente a fare colazione.»

    La cabina esplode in una risata. Anche Gavina, vistosamente tesa durante l’atterraggio, ora si lascia andare.

    Con un tocco leggero poso le ruote sulla pista. Il rumore del contatto con terra è lieve, come se il Cessna stesso stesse cercando di non disturbare l’attesa. Gavina si slaccia la cintura e si sporge leggermente in avanti. «È stato bellissimo volare con voi ragazzi. Grazie davvero per questa esperienza nuova per me. Ora vediamo se la mia vecchia collega si ricorda ancora di me… e soprattutto se vorrà davvero parlare e aiutarci.»

    Mi giro verso di lei.

    Gavina sorride ma nei suoi occhi si accende un lampo più serio, quasi impercettibile.

    Un pensiero mi attraversa la mente, rapido come una turbolenza improvvisa: E se questa sua collega non volesse davvero aiutarci?

    C’è un momento, tra l’ultimo flap e l’atterraggio, in cui anche la pancia racconta la verità.

    Oristano durante la discesa vista dalla cabina (foto flight simulator 2024)

    Riassunto

    In questa tappa, Camillo, Veronika e Skippy volano da Alghero a Oristano con una passeggera speciale: Gavina, ex archeologa sarda, che li guida tra i luoghi più suggestivi della preistoria isolana. Sorvolano Monte Baranta, le Domus de Janas di Santu Pedru, le tombe dei giganti di Laccaneddu e Pranu Ardu, le necropoli di Puttu Codinu e il misterioso ponte sul Rio Trogos. Durante il volo si alternano racconti profondi, leggende popolari e momenti comici. L’arrivo a Oristano apre un nuovo interrogativo: l’amica di Gavina sarà davvero pronta a rivelare ciò che sa?

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    Il video del volo completo è senza commenti, pensato per offrire il punto di vista del pilota. Puoi saltare tra i capitoli per rivedere dall’alto i luoghi descritti nei diari. È presente solo per completezza: non è necessario per seguire il progetto.