09
tra scogliere, leggende e storia
Diario di Volo
Dalla cittadella genovese di Calvi fino al cuore storico di Ajaccio, questa tappa ci ha fatto scoprire la Corsica più autentica. Abbiamo sorvolato scogliere spettacolari, incontrato leggende di pirati e diavoli, e visto dall’alto borghi senza tempo. Girolata, Porto, le Calanche di Piana e Cargèse ci hanno regalato panorami unici, mentre Ajaccio ci ha accolto con la sua storia e la sua luce mediterranea.
Punti di interesse sorvolati
da Calvi ad Ajaccio
Decollo da Calvi e sorvolo della cittadella
Decolliamo da Calvi, immersa nella luce dorata del primo mattino. La virata a sinistra durante la salita ci regala un’ultima occhiata alla città e alla sua cittadella imponente.
Mentre l’aereo guadagna quota, il profilo di Calvi si rimpicciolisce sotto di noi. La cittadella, che fino a pochi istanti fa sembrava un baluardo imponente, ora è solo una macchia dorata tra il mare e la terra. In volo, le distanze e i confini sembrano perdere significato. Eppure, per chi vive qui, quelle mura continuano a racchiudere secoli di storia e di identità.
«Credo mi piaccia di più con questa luce» commenta Veronika, sollevando la fotocamera per catturare l’immagine della fortezza.
Non posso fare a meno di pensare alle parole ascoltate il giorno precedente: Calvi sarebbe potuta diventare una città indipendente. In un altro tempo, in un altro contesto, il suo destino avrebbe potuto essere diverso. Un porto libero, una repubblica autonoma, forse persino un piccolo stato sul Mediterraneo. Eppure la storia ha scelto altrimenti.
Quante città, quanti popoli hanno visto le loro sorti decise da eventi fuori dal loro controllo? Un trattato firmato lontano. Una battaglia persa. Un comandante sconfitto. A volte, basta il tradimento di un alleato per cambiare il corso degli eventi per sempre.
«Pensi che il passato conti ancora così tanto per chi vive qui?» chiede Veronika, abbassando la fotocamera e osservando la cittadella che si allontana sotto di noi.
Ci penso un attimo. La Corsica ha inciso la sua storia nelle sue pietre e nei suoi villaggi. La vera domanda è: quei segni sono ancora ferite aperte o solo cicatrici? L’identità di un popolo nasce dal suo passato ma è nel presente che sceglie chi vuole diventare.
Ogni città porta con sé i segni del passato ma è la storia a decidere chi avrà la forza di restare e chi sarà costretto a cambiare rotta.

Sorvolo della Riserva Naturale di Scandola
Con Calvi alle nostre spalle, la costa cambia rapidamente volto. Le scogliere si innalzano come bastioni scolpiti dal vento, la terra si accende di un rosso intenso e il mare si insinua tra insenature solitarie e grotte nascoste. Dall’alto, la Riserva Naturale di Scandola sembra un luogo fuori dal tempo, plasmato da forze antiche e protetto da regole ferree.
«Patrimonio UNESCO» legge Veronika. «Qui non si può pescare, niente immersioni senza autorizzazione, niente turismo di massa. È uno dei luoghi più protetti della Corsica.»
Guardo le formazioni sotto di noi: guglie di roccia lavica che emergono dall’acqua come sculture, archi naturali modellati dalla pioggia e dal vento.
«Queste sono il risultato di eruzioni vulcaniche antichissime» continua Veronika. «La lava si è raffreddata creando questi pinnacoli. Sembra tutto scolpito a mano.»
Il mare turchese si incastra tra le pareti di basalto, creando contrasti mozzafiato. Solo qualche piccola barca sfiora la superficie delle acque calme, quasi a non voler disturbare l’equilibrio perfetto della riserva.
«Qui vivono specie che altrove sono scomparse» aggiunge Veronika. «Falchi pellegrini, cormorani dal ciuffo e persino qualche foca monaca… anche se è rarissimo vederne una.»
Poi abbassa la guida e osserva pensierosa il paesaggio. «A volte mi chiedo… può un posto essere davvero vissuto se nessuno può toccarlo? Proteggere significa davvero isolare?»
Non ho una risposta da darle. Le sue parole si mescolano al silenzio dell’abitacolo mentre sorvoliamo il perimetro della riserva con rispetto. La Corsica stessa, in fondo, è un po’ così: un’isola che lotta per preservare la sua identità, mentre il mondo cerca di cambiarla.
Alcuni luoghi non hanno bisogno di essere toccati per lasciare un segno. La loro bellezza basta a raccontare tutto ciò che serve sapere.

Sorvolo di Girolata – La Ribelle Senza Strade
«Incredibile» esclama Veronika, sollevando lo sguardo dalla guida. «Qui dice che Girolata è uno dei pochi villaggi in Europa a non avere strade. O ci arrivi in barca o devi camminare per ore tra le montagne.»
Dall’alto, la baia si rivela come un rifugio segreto tra le scogliere. Un piccolo borgo di case in pietra si stringe attorno al porticciolo, incastonato tra il mare e le montagne. Rallento per un sorvolo più lungo, lasciando che il panorama si scolpisca nella memoria. Sembra un luogo dimenticato dal tempo ma forse è il tempo ad averlo voluto proteggere.
«Non è sempre stato così tranquillo» continua Veronika. «Nel Cinquecento, questa baia era un rifugio per i pirati barbareschi. Attaccavano le navi mercantili e poi sparivano qui, protetti dalle montagne e dal mare.»
Guardo la baia con altri occhi. È facile immaginare le ombre di velieri ancorati tra le insenature, uomini armati che scaricano bottini rubati, il fuoco di sentinelle nascoste tra gli scogli.
«Alla fine i Genovesi ne ebbero abbastanza» prosegue Veronika. «Costruirono quel forte sulla collina per controllare il passaggio e fermare il traffico dei pirati.»
Sorvoliamo lentamente la fortezza. La pietra, consumata dal vento e dalla salsedine, sembra ancora pronta a resistere. Ha sconfitto i pirati, ha assistito al passaggio dei secoli ma non ha mai ceduto alla modernità. Questo villaggio ha scelto di restare isolato, di non lasciarsi cambiare dal mondo. O forse, semplicemente, il mondo non è mai riuscito a cambiarlo.
«Resistere è un atto di coraggio o solo ostinazione?» domando a bassa voce, più a me stesso che a Veronika.
Osservo il villaggio rannicchiato tra il mare e la montagna. È come se il tempo qui si fosse fermato, come se Girolata avesse scelto di restare fuori dal mondo. Forse, in un certo senso, è lo stesso spirito che anima tutta la Corsica: un’isola che resiste, che si aggrappa alle sue radici senza lasciarsi travolgere dalla modernità.
Ci sono luoghi che la storia ha cercato di cambiare ma che hanno scelto di rimanere se stessi. Girolata è uno di questi.

Sorvolo del Golfo di Porto – La Porta delle Meraviglie
Oltre Girolata, la costa si spalanca rivelando il Golfo di Porto in tutta la sua imponenza. La baia sembra un dipinto dai contrasti perfetti: il mare turchese lambisce le scogliere di granito rosso mentre il verde intenso della macchia mediterranea si insinua tra le rocce. Spiagge stupende scorrono sotto di noi mentre avanziamo verso l’ingresso del fiordo.
«Qui dice che il Golfo di Porto è uno dei paesaggi più spettacolari della Corsica» commenta Veronika. «Anche questo è Patrimonio dell’UNESCO, un equilibrio perfetto tra spiagge, montagne e scogliere scolpite dal tempo.»
Il borgo di Porto si incastra tra le pareti rocciose di un fiordo, un minuscolo avamposto tra terra e mare. La sua torre genovese domina la costa, vigile e immobile come un guardiano antico.
Perso nell’ammirare il paesaggio, solo ora mi rendo conto di un dettaglio che non avrei dovuto trascurare. La baia è più stretta di quanto sembri dall’alto e le pareti del fiordo si chiudono rapidamente attorno a noi.
«Meglio salire» dico, senza lasciare spazio all’incertezza.
Veronika alza lo sguardo dalla guida, percependo il cambio di tono.
La gola rocciosa si stringe attorno a noi più velocemente del previsto. Per un istante, la sensazione è quasi claustrofobica: la parete rossa della scogliera scorre troppo vicina sotto l’ala, l’ombra delle rocce si allunga minacciosa sull’acqua. Spingo la manetta in avanti, il motore risponde con un rombo profondo e il velivolo inizia a salire. È un momento di sospensione, poi finalmente l’orizzonte si apre di nuovo davanti a noi.
Skippy, anche lei finora rapita dal panorama, scatta in piedi sul sedile con le zampe poggiate sul cruscotto, fissando lo schermo della navigazione con occhi sgranati. Emette un suono secco e indignato, poi batte rapidamente una zampa sulla mappa digitale, come a dire Ehi, questo dovevate vederlo prima!
Lentamente, il velivolo recupera margine. Superiamo il punto più stretto e la tensione si dissolve con l’aria più rarefatta dell’altitudine.
«Non male per una porta d’accesso alle meraviglie» dico con un respiro profondo.
Veronika mi guarda con un sorriso divertito. «Diciamo che la prossima volta controlliamo meglio la quota prima di entrare in un fiordo.»
Skippy incrocia le zampe e si lascia cadere di lato con aria teatrale, come a voler sottolineare la sua delusione per non averci salvati prima. Poi, con un piccolo sbuffo, si rannicchia nel suo posto, decidendo che la prossima volta terrà d’occhio anche noi, non solo il panorama.
Alcuni luoghi non sono solo panorami ma porte d’accesso a storie di conquiste, difese e segreti custoditi dal mare.

Sorvolo delle Calanche di Piana – Le Fiamme Pietrificate della Corsica
Ultimata la salita, le Calanche di Piana si dispiegano alla nostra sinistra, un labirinto di guglie rossastre che sembrano ardere sotto il sole. La roccia, scolpita dal vento e dalla pioggia, assume forme surreali: pinnacoli affilati, archi che sembrano porte verso un altro mondo, pareti verticali che precipitano a strapiombo sul mare turchese. Il contrasto tra la luce e l’ombra amplifica la sensazione di trovarsi davanti a qualcosa di irreale.
Abbasso leggermente la quota per seguire il profilo della costa, scendendo verso il paesino di Piana.
Veronika, con la fotocamera ancora tra le mani, osserva le formazioni con uno sguardo curioso. «Sai che c’è una leggenda su queste rocce?» dice, abbassando la fotocamera per un istante.
Alzo un sopracciglio. «Una leggenda? Racconta.»
Veronika assume un tono più basso, quasi teatrale. «Si dice che il diavolo si innamorò di una bellissima pastorella corsa. Cercò di conquistarla con promesse e ricchezze ma lei lo rifiutò. Allora, accecato dall’ira, maledisse la sua terra trasformandola in un deserto di pietra aspra e contorta, bruciata per l’eternità.»
Osservo il paesaggio sotto di noi. Le rocce non sono semplicemente pietra: sembrano forme inquiete, sculture di fuoco pietrificato in un istante eterno. È facile capire perché questa storia sia sopravvissuta nei secoli.
«Strana punizione» commento con un mezzo sorriso. «Questa terra maledetta è una delle più belle che abbia mai visto.»
Veronika scatta ancora qualche foto, poi annuisce. «Forse le maledizioni non funzionano sempre come dovrebbero.»
Alcune storie resistono al tempo, incise nella pietra e nel vento. Le Calanche di Piana raccontano una leggenda ma la loro bellezza è fin troppo reale.

Sorvolo di Cargèse – Il Villaggio dalle Due Anime
Cargèse si inizia a intravedere davanti a noi, un piccolo borgo arroccato sulla costa, le case bianche e color pastello distese lungo il pendio.
«Qui dice che Cargèse è uno dei luoghi più particolari della Corsica» mi racconta Veronika mentre scorre la guida. «È stata fondata nel XVII secolo da una comunità di coloni greci in fuga dall’Impero Ottomano. Cercavano una nuova casa e la trovarono qui.»
In basso, tra i tetti e le strade strette, si distinguono due chiese costruite una di fronte all’altra. Veronika me le indica prontamente. «Ecco il segno più visibile della loro eredità» continua. «Una è cattolica latina, l’altra ortodossa greca. Per secoli hanno vissuto divisi dalla fede ma uniti dalla vita quotidiana.»
Le due chiese si guardano a pochi metri di distanza: una semplice e bianca, l’altra più elaborata, con dettagli bizantini.
«Non è stato sempre facile» aggiunge Veronika. «All’inizio i corsi e i greci si guardavano con diffidenza. C’erano tensioni, scontri, anche episodi di violenza. Poi con il tempo le due comunità si sono mescolate e oggi Cargèse è il simbolo di un’identità condivisa.»
Osservo il paesino che scorre sotto di noi. Un tempo diviso, oggi unito senza aver perso le proprie radici.
«Quindi hanno imparato davvero a convivere» commento.
Veronika chiude la guida con un sorriso. «Esatto. Questo è un esempio perfetto di come le differenze possano arricchire, invece di separare.»
Restiamo in silenzio per qualche istante, elaborando questa piccola lezione di storia e tolleranza.
Qualcosa nella storia di questo borgo continua a frullarmi in testa mentre ci allontaniamo da Cargèse. Due comunità, due culture diverse, eppure alla fine hanno trovato un equilibrio. Mi fa pensare a un altro discorso rimasto in sospeso.
«Vedi?» dico a Veronika, rompendo il silenzio. «Alla fine, l’indipendenza non è sempre una questione politica. A Cargèse non è servito un confine o un governo separato. Hanno trovato un modo per convivere, senza perdere la loro identità.»
Veronika mi osserva, incrociando le braccia. «Ma l’identità è più di una convivenza pacifica. Non è solo questione di stare insieme, è anche sentirsi parte di qualcosa di unico. Guarda la Corsica: non ha mai ottenuto l’indipendenza ma questo non ha fermato i corsi dal sentirsi diversi dai francesi.»
Esito per un istante prima di parlare, osservando la linea frastagliata della costa che scorre sotto di noi. La domanda mi resta in gola per qualche secondo, perché io stesso non so bene la risposta. Poi, quasi senza rendermene conto, la pronuncio comunque. «E vale la pena combattere per qualcosa che non cambia davvero la vita delle persone?»
Veronika scuote la testa con un sorriso. «No, ma la cultura, la lingua, le tradizioni sì. A volte, l’indipendenza è nel modo in cui scegli di esistere.»
Skippy, che ha seguito la conversazione con lo sguardo che si spostava tra me e Veronika, spalanca gli occhi, emette un suono acuto e poi, con un’espressione teatrale, si lancia in avanti e indica un punto a caso fuori dal finestrino, come a voler interrompere il dibattito con qualcosa di più importante.
Scoppiamo a ridere. Lei incrocia le zampe e si siede con aria soddisfatta, come se avesse appena risolto il dilemma.
Forse la risposta non è così semplice. O forse, come per Cargèse, l’identità è fatta di equilibri invisibili, più forti di qualsiasi confine.
Cargèse è la prova che le differenze non separano ma arricchiscono. Qui due mondi hanno imparato a guardarsi negli occhi e a condividere lo stesso cielo.

Sorvolo di Ajaccio – La Città del Sole e della Storia
Superato l’ultimo promontorio, la costa si apre improvvisamente davanti a noi, rivelando la città di Ajaccio adagiata sul suo golfo. Da questa angolazione, Ajaccio sembra emergere dalla terra, con le case color ocra che si affacciano sul porto e le colline che la abbracciano alle spalle. Il sole riflesso sul mare e sui tetti regala alla scena un’atmosfera calda e vibrante.
«Ajaccio è stata fondata dai Genovesi nel 1492» racconta Veronika. «Ma la sua storia è molto più antica. Qui c’erano insediamenti romani e ancora prima popolazioni preistoriche. È sempre stata un crocevia di culture.»
Sorvoliamo il centro storico, lasciandoci guidare dai vicoli che si snodano tra palazzi eleganti e piazze alberate. Si vede chiaramente Place Foch, che spicca con la sua statua di Napoleone vestito da imperatore romano, mentre la Cattedrale di Santa Maria Assunta si distingue con la sua facciata color miele.
Cerchiamo con lo sguardo la casa natale di Napoleone, nascosta tra le vie della città, ma non la individuiamo. Un pensiero, però, mi sfiora mentre osservo le strade sotto di noi: da qualche parte laggiù, un bambino corso ha mosso i suoi primi passi senza sapere che un giorno avrebbe cambiato il destino di interi continenti.
Resto in silenzio per un momento, lasciando che il pensiero prenda forma.
Napoleone non è solo il generale, l’imperatore, il conquistatore. Prima di tutto, è stato un ragazzo corso, cresciuto su questa stessa terra, tra queste stesse strade, con questo stesso mare all’orizzonte.
«Ci pensi?» dico a Veronika. «Da qui è partito un bambino. Uno solo. E ha cambiato la storia del mondo.»
Lei annuisce, lo sguardo perso tra i tetti della città. «Come Paoli» aggiunge dopo un attimo. «Uomini soli che hanno segnato il destino di un popolo.»
Penso ad Antoine, al suo racconto, al suo sguardo fiero mentre parlava della Corsica. Penso a Paoli, a Napoleone, a tutti quelli che hanno provato a lasciare un segno, nel bene o nel male.
Forse la storia è fatta di uomini che scelgono di non restare spettatori. Paoli è l’eroe della Corsica, il simbolo della sua lotta per la libertà. Napoleone è il conquistatore che ha riscritto il destino dell’Europa. Due corsi, due visioni opposte.
E oggi, cosa significa essere corsi? Essere figli di chi ha combattuto per l’indipendenza o di chi ha dominato il mondo? Forse, la risposta è nel modo in cui la Corsica continua a esistere: fedele a sé stessa, anche quando tutto intorno cambia.
Ci sono città che appartengono alla storia e città che hanno fatto la storia. Ajaccio è entrambe le cose.

L’aeroporto Napoléon Bonaparte è poco più avanti, la pista appare oltre la città. Prima di iniziare la discesa, mi volto verso Skippy.
«Ti va di abbassare i flap?» chiedo con un sorriso. «Un piccolo aiuto per l’atterraggio, dopo tutto il supporto che ci hai dato oggi.»
Skippy si illumina e si precipita in avanti. Con movimenti rapidi, afferra la piccola leva e abbassa i flap con precisione. Poi si gira verso di me, alza il pollice con soddisfazione e torna fiera al suo posto, allacciando la cintura per l’atterraggio.
Allineo il velivolo con la pista. La discesa è spettacolare: il mare sembra lambire il bordo della pista, il verde e l’azzurro delle onde si infrangono sulla riva poco prima dell’asfalto. Le ruote toccano l’asfalto con un leggero sobbalzo.
Per un attimo, il riflesso dorato del sole sulla pista sembra confondersi con il bagliore del mare che brilla oltre la barriera. Un ultimo respiro profondo, poi il rullaggio lento ci riporta alla realtà.
Siamo ad Ajaccio.
Riassunto
Il nostro viaggio inizia con il decollo da Calvi, lasciandoci alle spalle la sua cittadella genovese e il suo porto, abbracciato da un mare calmo e cristallino. Proseguiamo lungo la costa, sorvolando la Riserva Naturale di Scandola, un luogo scolpito dal tempo e dalla natura, dove le scogliere rosse emergono dall’acqua come torri di un castello dimenticato.
Raggiungiamo poi Girolata, il piccolo borgo senza strade che un tempo era il rifugio dei pirati barbareschi. Oggi è un angolo di mondo rimasto sospeso nel tempo, raggiungibile solo a piedi o in barca. Riprendendo quota, ci dirigiamo verso il Golfo di Porto, con le sue spiagge dorate e il suo fiordo imponente, dove ci troviamo a correggere la rotta per guadagnare quota e superare le montagne che proteggono il borgo.
Dall’alto ammiriamo poi le Calanche di Piana, guglie di roccia rossa modellate dal vento e dalla pioggia, teatro di una leggenda che racconta di una maledizione del diavolo. Il paesaggio sembra davvero uscito da una storia, con le sue forme contorte e il contrasto tra la pietra infuocata e il blu profondo del mare.
Proseguendo il volo, raggiungiamo Cargèse, un villaggio che porta le tracce della sua storia unica: una comunità greca arrivata nel XVII secolo, che ha lasciato un segno indelebile nella cultura locale. Le due chiese che si fronteggiano – una cattolica latina e una ortodossa greca – raccontano questa doppia anima del borgo.
Infine, il nostro volo ci porta su Ajaccio, la città di Napoleone. Sorvoliamo il porto, il centro storico e la sua casa natale, prima di allinearci con la pista dell’aeroporto. Un viaggio tra natura, leggende e storia, che ci lascia con il desiderio di scoprire ancora di più su questa isola affascinante.
verso nuove storie da raccontare.