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Sulle Orme di Napoleone
Diario di Viaggio
Ajaccio ci accoglie con il suo spirito mediterraneo, dove storia e mare si intrecciano tra vicoli colorati e piazze vivaci. Dalla Maison Bonaparte, che racconta le origini di Napoleone, fino ai mercati locali pieni di sapori autentici, scopriamo una città che scorre lenta, come le onde sul suo lungomare. Tra riflessioni sulla storia, incontri inaspettati e assaggi di polenta corsa, la giornata ad Ajaccio ci lascia con una certezza: ogni viaggio è fatto più dalle persone che dai luoghi.
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Ajaccio
Arrivo ad Ajaccio
Non appena scendiamo dall’aereo, una leggera brezza porta con sé il profumo della salsedine, mescolato a quello più secco della macchia mediterranea. Saliamo su un taxi diretto verso il centro. L’auto lascia l’aeroporto Napoléon Bonaparte e si immette sulla strada che costeggia la baia, offrendo scorci improvvisi sul mare.
L’autista, un uomo sulla quarantina con la pelle bruciata dal sole e un accento corso marcato, guida con la calma di chi è abituato al ritmo lento dell’isola. Dopo qualche minuto di silenzio, la mia curiosità ha il sopravvento.
«Ajaccio… è un nome particolare. Da dove viene?» chiedo.
L’uomo sorride appena, come se si aspettasse la domanda. «Eh, bella domanda!» risponde, senza distogliere lo sguardo dalla strada. «Ci sono tante teorie ma nessuno lo sa con certezza. Alcuni dicono che venga dal greco Agation, che significa ‘buon porto’. Sarebbe un nome antico, legato ai primi insediamenti della zona.»
Veronika, seduta accanto a me, si inserisce nella conversazione. «Ho letto anche che potrebbe derivare da Aiace, l’eroe greco.»
L’autista annuisce. «Sì, c’è anche questa ipotesi. Un tempo si diceva che Ajaccio fosse stata fondata dai Greci ma non ci sono prove certe. Poi c’è chi sostiene che il nome venga da una parola corsa molto antica, che oggi è andata perduta.»
Osservo la città ormai vicina. Un traghetto in arrivo, probabilmente dalla Francia, sta lasciando la baia con una scia bianca sulle onde. Il porto, pieno di barche a vela e pescherecci, brilla sotto il sole. Sul lungomare i caffè all’aperto sono animati da turisti e locali che si godono la mattina con un caffè o un bicchiere di vino.
L’autista continua stringendosi nelle spalle con un sorriso. «Ajaccio è… un po’ corsa, un po’ francese, un po’ greca… ma sempre con il sole e il mare a farle da padroni.»
Poco dopo, il taxi si ferma lungo Boulevard du Roi Jérôme, proprio accanto al mercato cittadino. Davanti a noi il vociare allegro dei venditori riempie l’aria, i profumi delle spezie, del formaggio e del pesce fresco si mescolano nell’atmosfera vivace del mattino.
«Ecco, signori» dice l’autista, voltandosi verso di noi. «Benvenuti ad Ajaccio.»
Ogni città ha il suo cuore e la sua anima ma Ajaccio sembra aver intrecciato il suo destino con il mare, il sole e la storia. Qui tutto scorre lentamente, come se il tempo fosse un’eco delle onde che accarezzano la costa.

La casa di Napoleone
Dopo aver salutato l’autista, ci incamminiamo nelle strade del centro storico di Ajaccio. L’aria profuma di salsedine e caffè, il ritmo lento ci avvolge fin da subito. Decidiamo di visitare la Maison Bonaparte, che non è lontana. Seguiamo una via stretta fino a una piazzetta tranquilla, dove l’edificio si mimetizza tra le altre abitazioni. È sobrio, quasi anonimo, come se volesse nascondere il suo passato.
«Questa casa apparteneva alla famiglia Bonaparte fin dal XVI secolo,» dice Veronika, leggendo il pannello informativo accanto al portone in legno scuro, su cui è incastonato un piccolo stemma di famiglia. «Qui nacque Napoleone il 15 agosto 1769.»
Mi fermo a osservare la facciata. Nessun palazzo sontuoso, nessun ingresso trionfale. Solo una casa come tante.
«Chissà se qualcuno, vedendolo bambino correre per strada, avrebbe mai immaginato che sarebbe diventato l’imperatore di Francia» commento mentre varchiamo la soglia.
All’interno l’atmosfera è ovattata, quasi sospesa nel tempo. Le mura spesse mantengono un fresco naturale e i nostri passi risuonano leggeri sul pavimento in pietra consumato dagli anni. L’arredamento è semplice: mobili in legno scuro, ritratti di famiglia alle pareti, un grande focolare annerito dal fumo.
Ci fermiamo in una stanza con una finestra aperta sulla via sottostante. Veronika indica un piccolo scrittoio vicino alla parete.
«Si dice che Napoleone passasse ore qui a leggere» mi racconta, sfiorando il bordo del tavolo. «Sua madre, Letizia Ramolino, lo descriveva come un bambino serio che non perdeva tempo in giochi inutili.»
Inarco un sopracciglio. «Sicura? Suona un po’ come il ritratto perfetto che ci si aspetterebbe da una biografia glorificata.»
Veronika sorride. «Già, la storia è scritta dai vincitori. Magari era solo un bambino normale.»
Osservo una teca accanto allo scrittoio. Contiene una lettera scritta dal giovane Napoleone. L’inchiostro sbiadito riporta parole che parlano di ambizione ma anche di nostalgia per la sua isola.
«Pensa a quanti leader della storia sono stati ‘ricostruiti’ fin da piccoli come personaggi fuori dal comune» dico. «Come se fin dalla culla sapessero di essere destinati a qualcosa di straordinario.»
Veronika annuisce. «È la narrazione che crea il mito. Nessuno nasce imperatore.»
«Eppure, guarda dove siamo» dico, indicando la casa intorno a noi. «Per qualcuno la storia inizia davvero in una stanza come questa.»
Proseguiamo il nostro giro, passando per la sala da pranzo, dove la famiglia si riuniva ogni sera. Nell’ultima sala un grande ritratto di Letizia Ramolino domina la parete.
Veronika si ferma a leggere una targa. «Sai cosa trovo curioso?»
«Dimmi.»
«Napoleone ha conquistato mezza Europa, ma negli ultimi anni della sua vita, in esilio a Sant’Elena, parlava sempre della Corsica. Diceva che gli mancavano il sole, il mare, persino l’accento della sua gente.»
Esco dalla porta e mi fermo un attimo sulla soglia.
Forse, in fondo, nessuno si allontana mai davvero dalle proprie radici. O forse, quando tutto finisce, è proprio lì che si vuole tornare.
Ajaccio è un luogo che si racconta nei dettagli. A volte la vera bellezza non è nei monumenti ma nelle piccole storie che ogni città sussurra ai suoi visitatori.

Il piccolo Napoleone di Skippy
Appena usciti dalla Maison Bonaparte, ci fermiamo un istante sulla soglia per lasciarci alle spalle l’atmosfera ovattata della casa. L’aria di Ajaccio, calda e vivace, ci riporta subito al presente.
Skippy, invece, sembra avere le idee chiare. Punta il muso verso una bancarella per turisti poco distante e ci si dirige con passo deciso. Ci scambiamo un’occhiata divertita e la seguiamo.
Il venditore, un uomo anziano con un cappello di paglia e un grembiule colorato, ci accoglie con un sorriso. «Ah, vedo che la vostra piccolina ha già scelto» dice indicando una piccola statuina di Napoleone bambino, vestito con l’uniforme da generale che indosserà anni dopo nei celebri ritratti ufficiali.
Il contrasto tra il volto infantile e l’abbigliamento severo mi strappa un sorriso. «È perfetta. Un Napoleone in miniatura che gioca a fare l’imperatore.»
«Dicono che la grandezza si veda fin da piccoli… O forse è la storia che ama raccontarla così.» commenta il venditore con un sorriso malizioso.
Pago mentre Veronika osserva il piccolo Napoleone con curiosità. «Curioso come a volte si crei un’icona prima ancora che esista il personaggio» dice.
«Già, e Skippy ha scelto proprio bene» rispondo, guardandola stringere il suo nuovo tesoro con orgoglio.

Il destino di un’eredità
Ci incamminiamo per le strade della città, lasciandoci trasportare dal ritmo lento di Ajaccio. L’aria del primo pomeriggio è tiepida, carica del profumo di spezie che arrivano dal mercato vicino.
Troviamo una panchina in una piazzetta tranquilla, sotto l’ombra leggera di un platano. Decidiamo di fermarci un attimo, lasciando vagare lo sguardo sulla città.
«Sai che qui esiste una strada che si chiama Rue Roi de Rome?» dice Veronika, sfogliando la guida.
«Il Re di Roma… il figlio di Napoleone?» chiedo, cercando di ricordare qualcosa di quel nome che suona più simbolico che reale.
Lei annuisce. «Sì, Napoleone Francesco, suo unico figlio legittimo. Lo fece nascere con un titolo grandioso ma il destino non gli concesse mai il trono.»
Veronika continua a leggere mentre si sistema meglio sulla seduta. «Napoleone voleva creare una dinastia e quando nacque suo figlio nel 1811, lo dichiarò subito Re di Roma, per legarlo alla grandezza dell’antico Impero Romano. Ciò che doveva essere l’inizio di una nuova dinastia si trasformò però presto in un capitolo dimenticato della storia.»
Mi appoggio allo schienale, incuriosito. «Raccontamela, ti prego.»
«Quando Napoleone fu sconfitto e mandato in esilio sull’Elba, il piccolo Napoleone Francesco aveva solo tre anni. Nel 1815, dopo la disfatta di Waterloo, fu portato a Vienna, lontano dalla Francia e crebbe sotto la protezione dell’imperatore austriaco, suo nonno materno. Gli cambiarono il nome, la lingua, perfino l’identità. Doveva essere un Bonaparte, ma divenne un Asburgo. Gli vietarono persino di parlare francese.»
Faccio scorrere lo sguardo sulla strada davanti a noi, immaginando quel bambino che era nato con la promessa di un impero e si ritrovò invece prigioniero della storia.
«Quindi è cresciuto in Austria. Che cosa ne è stato di lui?»
Veronika sfoglia ancora qualche pagina. «Morì giovane, a soli 21 anni, di tubercolosi. Isolato, malato e con la consapevolezza di essere stato una pedina in un gioco molto più grande di lui.»
Resto in silenzio un momento. «Non è paradossale? Suo padre ha riscritto il destino dell’Europa e lui è stato cancellato dalla storia prima ancora di avere una possibilità. Forse è il destino di chi nasce con un nome troppo grande. A volte il peso dell’eredità è più forte della possibilità di scrivere la propria storia.»
Veronika chiude la guida e incrocia le braccia. «Spesso chi eredita una grandezza non è capace di portarla avanti. Forse perché non ha lottato per ottenerla. Napoleone si è costruito da solo, è partito da un’isola piccola come questa e ha conquistato un continente. Suo figlio, invece, è nato con tutto e non ha potuto fare niente.»
«È un classico» commento. «La prima generazione costruisce, la seconda mantiene, la terza distrugge.»
Lei annuisce. «Ed è successo anche con la famiglia Bonaparte. Dopo Napoleone Francesco, ci fu un altro Napoleone, il terzo, che riuscì a diventare imperatore. Un ultimo tentativo di riportare in vita un’epoca che non esisteva più. Tuttavia il suo regno finì con una guerra disastrosa e la dinastia sparì.»
«E oggi? Ci sono ancora discendenti?»
Veronika scorre con il pollice sullo schermo, poi solleva lo sguardo con un sorriso leggermente sorpreso.
«Sembra che il discendente attuale sia Jean-Christophe Napoléon, non è un generale ma un banchiere in Svizzera. Non comanda eserciti ma gestisce investimenti. Il potere cambia volto con i secoli.»
«Forse è meglio così» rifletto. «Forse governare un impero oggi non significa più conquistare terre, ma gestire capitali.»
Lei sorride. «I tempi cambiano. Pensa a quanto può essere pesante avere quel cognome. Essere l’erede di un uomo che ha lasciato un’impronta nella storia.»
Incrocio le mani dietro la testa e guardo il cielo limpido sopra di noi. Forse il peso di un’eredità è proprio questo: non poter mai essere semplicemente sé stessi.
Veronika annuisce, osservando per un istante la strada davanti a noi, poi mi lancia uno sguardo complice.
«Andiamo?»
Sorrido, stirandomi le braccia mentre riprendiamo a camminare.
Mentre ci alziamo, il sole inizia a scendere, allungando le ombre lungo la Rue Roi de Rome. Ajaccio è una città che conserva le sue memorie, ma il tempo, come sempre, continua ad andare avanti. E forse, in fondo, ogni città vive con i suoi fantasmi, alcuni più ingombranti di altri.
Una corsa tra le Bancarelle
Riprendiamo a camminare tra le vie di Ajaccio seguendo il richiamo del vociare che si fa più intenso. Il mercato cittadino si svela poco a poco: un’esplosione di colori e profumi, con bancarelle colme di frutta succosa, spezie aromatiche, formaggi stagionati e dolci tradizionali.
All’improvviso Skippy scatta in avanti, dribblando con agilità tra le gambe dei passanti e sgusciando tra due bancarelle come un’ombra fulminea.
«Ehi, dove credi di andare?!» esclamo, mentre lei scompare in mezzo alla folla.
Ci infiliamo rapidamente tra la gente, cercando con lo sguardo la nostra piccola esploratrice. Per un attimo non la vediamo, poi finalmente la troviamo, seduta composta accanto a un banco che espone una grande cesta di canestrelli.
Il venditore, un uomo sulla cinquantina con un grembiule bianco e una barba curata, ci osserva ridendo. «Mi sa che la vostra amica è una vera intenditrice.»
Skippy sbatte le palpebre con aria innocente, come se niente fosse. Ma il sottile strato di zucchero sul suo musetto la tradisce senza possibilità di appello. Ci guarda senza scomporsi mentre guadagna un altro biscotto che accetta con gioia, mordicchiandolo con espressione soddisfatta.
Mentre ridiamo della scena, il venditore prende un pezzo di brocciu fresco e ce lo porge. «Assaggiate questo.»
Sorrido. «Lo conosciamo bene, è uno dei nostri preferiti.»
«Ah sì? Ma lo avete mai provato in questo modo?»
Prende un cucchiaino, lo immerge in un barattolo di confettura di fichi e noci, poi ne spalma un velo sottile su un pezzo di brocciu prima di porgercelo.
Il sapore cambia completamente. Il dolce intenso del fico si mescola alla croccantezza della noce e alla cremosità del formaggio, creando un equilibrio perfetto.
Veronika chiude gli occhi per un istante, assaporandolo lentamente. «Non l’avevo mai provato in questo modo. È buonissimo.»
Scambiamo uno sguardo d’intesa e senza esitare acquistiamo un pezzo di brocciu e un vasetto di confettura, per la gioia di Skippy che scodinzola soddisfatta.
Il venditore ci osserva con un sorriso mentre incarta il nostro bottino, poi solleva lo sguardo con un’espressione quasi divertita. «Sapete, a volte siamo così sicuri di conoscere qualcosa solo perché l’abbiamo già visto o assaggiato… Ma basta poco, un dettaglio diverso, per scoprire un sapore che non avevamo mai notato. Bisogna sempre lasciare spazio alla sorpresa.»
L’aria è ancora satura di profumi intensi, il vociare dei venditori si mescola al suono delle onde in lontananza. Con il nostro bottino tra le mani e il sapore del brocciu ancora sulle labbra, proseguiamo senza fretta, lasciandoci trasportare dal ritmo di Ajaccio.

Street Food Corso
Ci rendiamo conto che l’assaggio del brocciu ci ha messo fame. L’idea di un pranzo veloce ma autentico ci attira più di un ristorante formale, così continuiamo a camminare per le vie di Ajaccio alla ricerca di qualcosa di semplice ma tipico.
«Qualcosa di più locale, senza troppi fronzoli» dico, mentre osserviamo i menu scritti a mano fuori dai ristoranti.
Veronika annuisce, scorrendo con lo sguardo le insegne in legno e le lavagnette nere con gessetti colorati. Poi, proprio dietro l’angolo di una strada stretta, notiamo un piccolo chiosco con una fila di persone in attesa. Il profumo che arriva da lì è irresistibile: un misto di farina tostata, formaggio fuso e spezie.
Ci avviciniamo. L’insegna recita “A Casetta Corsa”, un nome semplice ma che promette autenticità. Dietro al bancone, un uomo sulla cinquantina, con un grembiule annodato in vita, mescola con energia una densa polenta color nocciola in un grande paiolo di rame, da cui si sprigiona un aroma caldo e invitante.
«Pulenta di farina di castagne e migliacci fritti» dice l’uomo con un sorriso fiero. «Se volete provare la vera Corsica, siete nel posto giusto.»
Ci scambiamo uno sguardo e annuiamo senza esitazione.
«Uno di tutto» dico e Veronika ride.
Troviamo una panchina con vista sul porto e ci sistemiamo con un vassoio colmo di sapori corsi, il sole che si riflette sull’acqua e la brezza marina che smorza il calore del giorno.
La pulenta, fatta con farina di castagne, ha una consistenza morbida e un sapore leggermente dolce e affumicato, perfetto con le fette di prisuttu e lonzu servite accanto. Le migliacci, fragranti e leggere, nascondono un ripieno cremoso di formaggio e erbe aromatiche.
Addento un pezzo di migliacci, lasciando che il formaggio fuso si sciolga sulla lingua.
«Quefto è buoniffimo» commento a bocca piena.
Veronika sorride assaporando lentamente la polenta. «Dolce e salato insieme… interessante.»
Skippy, seduta ai nostri piedi, sta divorando con entusiasmo le frittelle che le abbiamo preso. Cerca di mantenere una certa dignità ma il modo in cui le sbriciola e le lecca con espressione estasiata la tradisce completamente.
L’aria salmastra, il sole che scalda la pelle e il sapore intenso di questa terra ci fanno assaporare ogni istante. Il porto brilla sotto la luce del giorno, il tempo sembra scorrere più lento. Restiamo così per un po’, immersi nella quiete.
Poi, con un sorriso, rompo il silenzio: «Sai cosa manca ora?»
Veronika mi guarda, sollevando un sopracciglio.
«Un caffè.»

Un caffè e un incontro che cambia tutto
Passeggiamo lungo il porto finché non troviamo un piccolo bar con tavolini all’aperto. L’atmosfera è tranquilla, perfetta per concludere il pranzo con qualcosa di forte e aromatico.
Ci sediamo e ordino un café noisette, il tipico caffè francese con un goccio di latte. Quando arriva, lo osservo un attimo: la crema dorata sulla superficie si mescola al latte in una spirale perfetta. Ne assaporo un sorso, lasciando che il gusto intenso e leggermente nocciolato risvegli i sensi.
«Buono?» chiede Veronika.
«Molto. Ha quella rotondità che a volte manca al nostro espresso» rispondo, godendomi il momento.
Accanto a noi, a un tavolino vicino, un anziano sta bevendo il suo caffè con calma, osservando la piazza con lo sguardo di chi ha visto il mondo cambiare ma non ha fretta di seguirlo. Mentre assaporo il caffè, noto che l’uomo ci osserva con un mezzo sorriso e scuote la testa con aria pensierosa, come se volesse dirci qualcosa.
Quando Skippy si mette a giocare con la statuina di Napoleone sul tavolo, lui sorride.
«Allora, anche voi siete venuti a trovare l’imperatore?» chiede, con un accento corso marcato.
Ci scambiamo uno sguardo. «In un certo senso» risponde Veronika.
L’uomo annuisce lentamente, sorseggiando il suo caffè. «Sapete… tutti vengono qui con un’idea di Napoleone. Alcuni lo vedono come un eroe, altri come un tiranno. Pochi si chiedono cosa fosse davvero per noi corsi.»
Mi incuriosisco e mi sporgo leggermente in avanti. «E per voi cos’era?»
L’anziano resta in silenzio per qualche secondo, come se riflettesse su come rispondere. Poi posa la tazzina e incrocia le mani sul tavolo.
«Era uno di noi ma non lo era più. Un figlio della Corsica ma un francese per scelta. Un uomo che ha costruito un impero ma che si è dimenticato della sua isola.»
Resto in silenzio, colpito dalla semplicità e dalla profondità di quelle parole.
Lui continua, con lo sguardo rivolto al mare. «Napoleone ha portato la Corsica nel mondo ma non ha mai riportato il mondo in Corsica. Ha lasciato Ajaccio da giovane e non si è mai più voltato indietro. Qui la gente lo rispetta, certo, ma c’è sempre stata un’ombra su di lui. Perché non ha mai fatto nulla per noi? Con tutto il potere che aveva… perché?» fa una pausa, poi continua «Oggi il suo nome è ovunque: piazze, statue, scuole. Per molti di noi, tuttavia, resta un’ombra che ci osserva dall’alto, senza mai davvero appartenere a questa terra.»
«Forse perché sapeva che non l’avrebbero mai accettato come corso» ipotizza Veronika.
L’anziano sorride, come se avesse sentito quella risposta molte volte. «O forse perché non voleva più esserlo.»
Un silenzio cade sul tavolo. Guardo la statuina di Napoleone nelle mani di Skippy. Un bambino corso vestito da imperatore. Un simbolo di qualcosa che forse non è mai esistito davvero.
L’uomo riprende il suo caffè e lo finisce in un solo sorso. Poi si alza, sistemando la sedia con calma.
«Vi auguro buon viaggio» dice. «E ricordate… la storia non è mai come ce la raccontano. È come scegliamo di vederla.»

Lo osserviamo allontanarsi tra le strade di Ajaccio, lasciandoci con un pensiero che prima non avevamo.
Napoleone, l’uomo che ha cambiato il mondo, era davvero uno di loro? O era solo qualcuno che aveva imparato a essere altro?
Il sole scende lentamente sul mare. Veronika finisce il suo caffè in silenzio. Io lascio che il sapore dell’ultimo sorso mi rimanga sulla lingua, insieme alle parole di quell’uomo.
La Corsica ci ha dato una nuova prospettiva su Napoleone. E forse anche su di noi. Perché ogni viaggio, in fondo, è fatto di domande che non trovano sempre risposta ma che restano con noi come il sapore dell’ultimo sorso di caffè.
Ogni grande cambiamento ha origine in un incontro. A volte basta una parola, un gesto o un momento per deviare il corso della storia… e della nostra vita.
Riassunto
Appena atterrati a Ajaccio, il calore del sole e il profumo del mare ci avvolgono mentre un taxi ci porta nel cuore della città. Lungo il tragitto, il nostro autista ci svela le origini incerte del nome Ajaccio, un luogo dal passato greco, genovese e corso, oggi perfettamente intrecciato alla sua identità francese.
Iniziamo la nostra esplorazione da Place Foch, la piazza dominata dalla statua di Napoleone, per poi perderci tra i vicoli del centro storico. La Cattedrale di Santa Maria Assunta, dove Napoleone fu battezzato, e la Maison Bonaparte, sua casa natale, ci riportano indietro nel tempo, tra le vicende familiari e la storia dell’isola, che passò dalla Repubblica di Genova alla Francia pochi mesi prima della nascita dell’imperatore.
Dopo aver visitato il mercato, immersi tra i profumi di brocciu, miele al castagno e spezie isolane, ci concediamo un pranzo autentico con polenta corsa e frittelle ripiene di formaggio e erbe aromatiche, gustate con vista mare.
Prima di lasciare Ajaccio, Skippy trova il suo souvenir del viaggio: un piccolo busto di Napoleone, aggiungendo un nuovo pezzo alla sua collezione. Chiudiamo la giornata con una passeggiata sul lungomare e una riflessione: il destino di ogni grande uomo, così come quello di ogni viaggiatore, è intrecciato con gli incontri che fa lungo il cammino.