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08

tra Storia, Identità e il Suono del Mare

Diario di Viaggio

Calvi
e dintorni

L’arrivo a Calvi al tramonto ci regala uno spettacolo di luci e riflessi sul mare. Tra una colazione vista porto e una passeggiata alla Chapelle Notre-Dame de la Serra, la giornata si riempie di emozioni. A pranzo, l’incontro con Antoine ci fa scoprire la storia dell’indipendenza corsa e la complessità del rapporto con la Francia. La cittadella, illuminata dalle ultime luci del giorno, chiude un’esperienza intensa e indimenticabile, lasciandoci con il ricordo del suono di una piccola campana.

Calvi e dintorni
SOTTO-MENU PARAGRAFI

Calvi e dintorni

Colazione con vista e sapori corsi

Calvi si risveglia con la lentezza di chi conosce il valore del tempo. Il mare, ancora avvolto nel sonno della notte, si lascia accarezzare dai primi raggi dorati del sole. L’aria fresca profuma di sale mentre il suono ritmico delle onde si mescola ai primi rumori della città che prende vita.
Ci accomodiamo a un piccolo café sul porto, scegliendo un tavolino all’aperto da cui osservare la baia. Le barche oscillano leggere sull’acqua. «Volete provare qualcosa di tipico?» ci chiede la barista, una donna sulla cinquantina dall’aria ospitale.

Annuiamo, incuriositi. Poco dopo, torna con un piattino decorato e lo posa davanti a noi con un sorriso complice. «Ecco, questo è il fiadone, un dolce tradizionale corso a base di brocciu, un formaggio fresco locale. Ogni famiglia ha la sua ricetta ma il segreto è sempre lo stesso: semplicità e amore.»

Davanti a noi, una torta dorata e profumata. Al primo morso, il contrasto tra il formaggio delicato e il leggero aroma agrumato si rivela sorprendente, bilanciato alla perfezione dal nostro café noisette, un espresso con un goccio di latte.

«Davvero particolare» commenta Veronika, assaporandolo lentamente. «Non troppo dolce ma perfetto» aggiunge.

La barista sorride, orgogliosa, e appoggia il vassoio. «Siete già stati a Notre-Dame de la Serra?» chiede, sistemandosi il grembiule, come se stesse per raccontare qualcosa che le sta a cuore. «Da lassù si vede tutta Calvi» continua. «Ma non è solo la vista a renderlo un posto unico. Si dice che chiunque salga lì con la persona amata avrà un legame eterno. Una leggenda, certo… ma anche una di quelle storie che fanno parte dell’anima di un luogo.»

Veronika e io ci scambiamo un’occhiata divertita. Senza pensarci, le sfioro la mano sotto il tavolo. Lei la intreccia alla mia per un istante, lasciando che il sorriso si trasformi in qualcosa di più dolce. Poi scherzo, lanciando uno sguardo a Skippy, che sta ancora mordicchiando un’altra fetta di fiadone, completamente indifferente alla conversazione. «Direi che è perfetto per te, Skippy.»

L’ultima goccia di caffè scivola via, mentre il profumo del forno si mescola alla brezza del mattino. Ci alziamo, con la sensazione che la giornata ci stia già portando verso qualcosa di speciale. Notre-Dame de la Serra ci attende.

Il primo morso di un piatto locale è come una porta che si apre sulla storia di un popolo.

Fiadone Corso (foto di Dall-E)

Salita a Notre-Dame de la Serra

Il sentiero verso Notre-Dame de la Serra si srotola davanti a noi come un’antica via di pellegrinaggio, battuta nel tempo da passi lenti e silenziosi. Il cielo terso sovrasta la macchia mediterranea che profuma di mirto e cisto, mescolandosi alla brezza salmastra che sale dal mare.
Per noi 2,5 km sono poco più di una passeggiata. Per Skippy, invece, è una questione strategica. Ha drizzato le orecchie, sta calcolando la pendenza con aria da esperta e, a giudicare dal suo sguardo, sta solo aspettando il momento giusto per farmi da zavorra.
«No, piccola esploratrice, oggi cammini anche tu» la avverto, ridendo mentre iniziamo il percorso.
Lei mi lancia uno sguardo offeso, sbuffa teatralmente e incrocia le braccia ma poi inizia a camminare con le spalle curve e lo sguardo rassegnato di chi sta affrontando la più grande delle fatiche.

Il sentiero si snoda tra la vegetazione e lungo il tragitto incrociamo famiglie, coppie e gruppi di amici, tutti diretti verso la cappella. L’escursione sembra quasi un rito per chi visita Calvi. Di tanto in tanto, ci fermiamo a leggere i pannelli informativi lungo il percorso.
«Interessante» dice Veronika, scorrendo con gli occhi le informazioni. «Da qui si avvistavano le navi pirata prima che raggiungessero la costa.»

Guardo in alto verso la cappella, ancora lontana sulla sommità della collina. «Strano pensare a un tempo in cui il mare non significava solo viaggio, ma anche pericolo.»
Il sole si fa sentire e qualche goccia di sudore mi scende sulla fronte. Skippy resiste eroicamente per qualche minuto, poi cede. Con un balzo, si lancia sulle mie spalle e si sistema con la sicurezza di chi ha appena risolto il problema della giornata.
«Ed ecco la nostra scroccona all’opera!» esclamo con tono da telecronista, fingendo di barcollare sotto il suo peso. «Sapevo che il mio equipaggiamento sarebbe aumentato in corso d’opera!»
Skippy, fingendo di non sentire, si accomoda meglio e si gode il panorama.

Una coppia anziana di turisti, che procedeva dietro di noi, scoppia a ridere. L’uomo, con un sorriso divertito, esclama qualcosa in spagnolo: «¡Eso sí que es viajar con estilo!»
Veronika ride. «Direi che approvano la tua tecnica, Skippy.»

Dopo circa 40 minuti di cammino, raggiungiamo finalmente la chapelle Notre-Dame de la Serra, che si erge in cima alla collina come una sentinella silenziosa. Il golfo di Calvi si distende sotto di noi come una tela infinita di blu e oro, con la cittadella genovese che si staglia netta contro l’orizzonte. Alle nostre spalle, le montagne dell’entroterra corso si ergono maestose, quasi a ricordare che la Corsica è un’isola sospesa tra il mare e la roccia, tra viaggio e radici.

Skippy, che si è goduta comodamente buona parte del tragitto, si rianima all’improvviso, si stira e inizia ad annusare l’aria fresca come se fosse stata la prima ad arrivare.
Veronika legge ad alta voce un pannello per turisti: «Ogni anno, il patrono di Calvi viene celebrato proprio qui.» Poi mi guarda, con un sorriso appena accennato.

Mi fermo accanto a lei e nel silenzio del luogo le sfioro il viso. Lei non dice nulla ma si sporge e mi bacia con dolcezza.
«Speriamo che la leggenda sia vera» mormora, i suoi occhi persi nei miei.
Sorrido, lasciando che il momento si imprima nella memoria.

Poi, con uno sguardo all’orizzonte, riprendiamo il cammino verso la città, lasciandoci alle spalle la cappella e portando con noi una nuova storia da raccontare.

Alcuni luoghi non si raggiungono solo con i passi ma con lo sguardo e con il cuore.

vista da Notre-Dame de la Serra (foto di catherine v su Tripadvisor.it)

Discesa verso Calvi e un pranzo in compagnia

Dopo una rapida rinfrescata in albergo, usciamo di nuovo per immergerci nel cuore della cittadella genovese. I vicoli acciottolati si aprono tra facciate color miele e terra, piccoli balconi fioriti e insegne in ferro battuto che oscillano leggere nella brezza marina.
L’ora di pranzo si avvicina e il profumo di spezie e arrosti che si diffonde tra le stradine ci guida quasi senza accorgercene.
«Che ne dici di fermarci qui?» chiedo, indicando una trattoria incastonata tra le mura.

L’insegna in legno riporta il nome “Chez Antoine” e il profumo che arriva dalla cucina promette solo cose buone. Appena ci sediamo, un uomo sulla sessantina, con capelli bianchi arruffati e un grembiule legato in vita, si avvicina con un sorriso bonario. L’energia con cui si muove tra i tavoli suggerisce che non stia fermo un attimo, come se la cucina fosse il suo regno.
«Benvenuti! Avete scelto bene, da me si mangia come a casa.» La sua voce ha il tipico accento corso, caldo e rassicurante.

Mentre ci accomodiamo, Skippy cattura subito l’attenzione dell’oste.
Antoine inclina la testa con aria curiosa e la osserva con un sorriso malizioso. «E tu chi saresti? Sembri una piccola esploratrice.»
Skippy lo fissa per un attimo, poi inclina la testa con aria compiaciuta e solleva una zampetta, tendendola con grazia come se aspettasse un baciamano.
Antoine scoppia a ridere. «Ah, ma sei una signorina di classe!» esclama battendo le mani sulle ginocchia.

E da quel momento, la situazione degenera.
Ogni volta che passa davanti al nostro tavolo, Antoine trova una scusa per lasciarle un pezzetto di qualcosa. Prima un pezzo di pane caldo, poi un tocchetto di lonzu, poi addirittura un pezzetto di tomme de brebis.
Io e Veronika ci scambiamo uno sguardo divertito.
«Incredibile» commento. «Di noi tre è sicuramente quella che ha camminato di meno eppure sta mangiando come se avesse scalato il Monte Cinto
Veronika ride, lanciandomi un’occhiata ironica. «Se continua così, dovremmo portarla in spalla anche al ritorno.»
La osservo con sguardo torvo. «Questa volta la carichi tu però.»

Antoine ride con gusto. «Ah, ma è giusto così! Un ospite speciale merita un trattamento speciale!»
Chiudiamo i menu e ci affidiamo completamente a lui. Antoine si illumina e sparisce in cucina. Dopo pochi minuti riappare con un piatto fumante tra le mani.
«Ecco a voi il Veau aux olives, uno stufato di vitello con olive, erbe aromatiche e vino corso.»

Il profumo è irresistibile. Il sugo avvolge teneri pezzi di carne, mentre le olive nere aggiungono un contrasto perfetto.
«Questo è uno dei piatti più amati della Corsica» spiega Antoine, servendoci. «Lo prepariamo con il vino locale che dà alla carne quel sapore ricco e profondo.»

Prendiamo il primo boccone e ci scambiamo uno sguardo soddisfatto.
«Squisito.» Veronika chiude gli occhi per un istante, assaporando il gusto intenso.
«Davvero incredibile.» aggiungo, lasciando che il sapore del piatto si fissi nella memoria.

Mentre il pranzo continua tra risate e buon cibo, ci rendiamo conto che abbiamo trovato molto più di un posto dove mangiare. Abbiamo trovato un personaggio, una storia, un pezzo autentico di Corsica.

Tra un assaggio e una battuta, il pranzo scorre leggero. Eppure, tra le risate, una domanda rimane sospesa nell’aria. La Corsica ha sempre difeso la sua identità… ma è mai stata davvero indipendente?

Nei piccoli ristoranti di un luogo si trovano i sapori autentici e, a volte, storie più vere di quelle scritte nei libri.

Veau aux olives (foto di Dall-E)

Una storia di orgoglio e identità

Dopo aver gustato fino all’ultimo boccone del nostro Veau aux olives, ci troviamo così bene da decidere di fermarci ancora un po’. Antoine, che ci ha accompagnato per tutto il pranzo con la sua ospitalità, sembra aspettare con piacere il momento di una chiacchierata più rilassata.
«Aspettate qualche minuto» ci dice con un sorriso «finiamo di sistemare la sala e poi mi siedo con voi. Vi porto qualcosa di speciale.»

Annuiamo, osservando l’atmosfera della trattoria cambiare lentamente. Gli ultimi clienti lasciano i tavoli, il vociare si attenua e il locale si svuota, lasciando solo il suono dei bicchieri riordinati e dei piatti che vengono portati in cucina.
Poco dopo, Antoine ritorna, stavolta senza il grembiule, con una bottiglia e tre bicchierini in mano.
«Ecco qua» dice con fierezza «un bicchiere di myrte, il nostro amaro al mirto. Perfetto per accompagnare qualsiasi discorso.»

Si siede di fronte a noi, con l’aria di chi si appresta a dialogare piacevolmente.
«Dunque» inizio io «abbiamo una curiosità che ci portiamo dietro da quando siamo arrivati in Corsica. Perché l’isola ha combattuto per l’indipendenza dai Genovesi ma poi è finita sotto la Francia senza mai ottenere la sua vera autonomia?»

A questa domanda, gli occhi di Antoine si accendono di passione. Si sistema meglio sulla sedia, prende un sorso del suo amaro e inizia a parlare con il tono di chi questa storia l’ha sentita raccontare da generazioni.
«Ah, questa è una domanda che ogni corso si è fatto almeno una volta nella vita» dice, lasciando scorrere le dita sul bordo del bicchiere. «Per capire la nostra storia bisogna partire da molto lontano.»

Skippy, che fino a poco prima era rimasta tranquilla ad ascoltare, si accoccola sulle gambe di Antoine senza fare rumore. Con un sospiro soddisfatto, chiude gli occhi e si lascia andare al sonno.
Antoine guarda in basso, sorride con dolcezza e le accarezza la testa con un gesto spontaneo.
«Ah, questa piccola signorina ha capito tutto della Corsica» commenta. «Qui si vive di passioni, di racconti e di legami.»

Poi torna a noi e, con lo sguardo acceso, riprende il filo del discorso.

Antoine prende un sorso di mirto, poi sospira. «Nel 1755 Pasquale Paoli guidò la Corsica verso l’indipendenza, trasformandola in una repubblica con leggi proprie e un governo autonomo.»
Fa una breve pausa, come se volesse lasciarci il tempo di immaginare quel momento.
«Ma la libertà durò poco.»

Si passa una mano sulla fronte, poi continua. «Genova, ormai incapace di controllare l’isola, la cedette alla Francia nel 1768 con il Trattato di Versailles. Senza chiedere nulla ai corsi.»

Io e Veronika ci scambiamo uno sguardo. Pensare che un’intera isola sia stata venduta come fosse una merce è sconcertante.
Antoine ci osserva, poi abbassa lo sguardo sul bicchiere. «Paoli tentò di resistere ma l’anno dopo…» Il tono si abbassa. «La battaglia di Ponte Novu segnò la fine della nostra indipendenza.»

Resta in silenzio per un momento, poi ci guarda.
«Sapete perché abbiamo perso?» Lascia la domanda sospesa nell’aria prima di rispondere. «I francesi erano meglio armati, più numerosi, con esperienza di guerra. Ma non bastava. Ciò che ci condannò fu un tradimento.»

Veronika inclina la testa. «Un tradimento?»
Antoine annuisce lentamente. «Paoli aveva ottenuto aiuto dagli inglesi e si aspettava rinforzi. Ma all’ultimo momento, i genovesi, che ancora avevano influenza sull’isola, convinsero alcuni capi corsi a ritirarsi. Alcune unità si disgregarono, altre si arresero senza combattere. Il grosso dell’esercito corso venne accerchiato vicino al fiume Golo e massacrato.» Abbassa il tono della voce. «I francesi usarono l’artiglieria con una violenza devastante. I corsi combattevano con armi rudimentali. Non fu una battaglia, fu una carneficina.»

Rimaniamo in silenzio per qualche istante.
«Paoli riuscì a fuggire in esilio grazie agli inglesi» continua Antoine, quasi sussurrando. «La Corsica non si riprese mai da quella sconfitta. Poco dopo, l’isola divenne ufficialmente francese. Da allora, la nostra cultura è stata schiacciata… ma mai cancellata.»

«E da allora?» chiedo.
Antoine sospira. «Da allora la Francia ha imposto la sua lingua, la sua cultura, il suo controllo… ma il cuore della Corsica è sempre rimasto fiero e indipendente.»

Si ferma un attimo e ci guarda negli occhi, quasi a volerci trasmettere quella stessa fiamma di orgoglio che arde ancora nel popolo corso.
«Capite ora perché, ancora oggi, molti corsi non si sentono francesi? Perché la nostra indipendenza è durata poco… ma il nostro spirito non è mai stato domato.»

Ci scambiamo un’occhiata, assaporando non solo il mirto ma anche il peso della storia.
Antoine abbassa lo sguardo su Skippy e le accarezza la testa. «Ed è proprio come lei.» Sorride. «Puoi portarla in capo al mondo, cercare di cambiarla… ma nel profondo resterà sempre sé stessa.»

Sorrido, osservando Skippy che inclina la testa, ignara di quanto stia incarnando un’intera isola.

Il sole inizia a calare e con lui si chiude anche il nostro lungo pranzo. Le parole di Antoine rimarranno con noi, così come il profumo del mirto e il sapore intenso della storia corsa.

L’indipendenza non si misura solo con la politica, ma con il sentimento di appartenenza di un popolo alla propria terra.

L’indipendenza non si misura solo con la politica ma con il sentimento di appartenenza di un popolo alla propria terra

Chef Antoine (foto leonardo.ai)

Il Tintinnio della Memoria

Salutiamo Antoine con un ultimo sorriso prima che torni ai suoi fornelli, pronto ad accogliere nuovi avventori e raccontare altre storie. Prima di lasciarci, ci stringe la mano con calore.
«Grazie per il tempo che mi avete dedicato» dice con sincerità.

«No, siamo noi a dover ringraziare te» rispondo. «Ci hai fatto scoprire la Corsica con occhi diversi.»

«E abbiamo anche abusato della tua pazienza» aggiunge Veronika, quasi scusandosi.

Lui scuote la testa, ridendo. «Ma smettetela! È stato un piacere. Se tutti fossero curiosi come voi, il mondo sarebbe un posto migliore.»

Skippy lo guarda per un attimo, poi gli si avvicina e gli poggia delicatamente la testa sulla mano. Antoine le accarezza la fronte con un sorriso malinconico, quasi paterno.
«Ah, piccola, mi hai fatto una compagnia speciale oggi» dice piano. «Adesso vai e scopri ancora il mondo ma porta questo con te…»

Dalla tasca estrae un piccolo campanellino in bronzo e lo porge a Skippy. «È una riproduzione delle vecchie campane di Calvi. Per secoli hanno scandito la vita della città. Un piccolo suono per ricordarti di noi.»

Skippy spalanca gli occhi, afferra il campanellino tra le zampe e lo scuote leggermente, lasciando che il suo suono delicato riecheggi nell’aria. La sua coda inizia a muoversi, segno inequivocabile della sua felicità.

Antoine ride, soddisfatto. «Sapevo che ti sarebbe piaciuto.»

Skippy, invece di rispondere, si stringe ancora di più a lui per un istante, in un gesto che vale più di qualsiasi parola.
Io e Veronika ci scambiamo uno sguardo divertito. Non importa dove andiamo, Skippy riesce sempre a fare nuove amicizie… e, questa volta, a portare con sé un pezzo di Calvi.

La campanellina donata a Skippy (foto Dall-E)

La cittadella al tramonto

Usciti dalla trattoria, ci incamminiamo tra le mura di Calvi con una nuova consapevolezza. Il sole tramonta, tingendo la pietra di sfumature dorate. La città, ormai silenziosa, respira nel vento salmastro mentre le prime luci si accendono nei vicoli.

Davanti alla Cattedrale di San Giovanni Battista, Veronika legge un pannello informativo. «Qui dentro c’è la Madonna del Rosario. Secondo la leggenda, salvò la città durante l’assedio degli Inglesi nel 1794

«Un altro pezzo di storia corsa» mormoro.

Più avanti, da un punto panoramico, osserviamo la cittadella che si staglia contro l’orizzonte infuocato. Veronika si stringe a me. «Ora capisco perché la Corsica difende così tanto la sua identità. Non è solo un’isola, è un mondo a sé.»

Restiamo qualche minuto in silenzio, lasciandoci avvolgere dalla brezza serale. Poi riprendiamo il cammino, con la sensazione di aver aggiunto un altro tassello al nostro viaggio.

Ogni viaggio ha il suo suono. A Calvi è il vento tra le mura, il tintinnio di una campana e il rumore del mare

la Cittadella di Calvi al tramonto (foto di hotel-solemare-calvi.com)

Nel buio della stanza, il tintinnio della campana di Skippy è l’ultimo suono che ci accompagna. La Corsica non è solo un luogo: è memoria, orgoglio, radici profonde intrecciate tra storia e natura. Ci è entrata dentro, senza che ce ne accorgessimo. Come fanno i luoghi che lasciano il segno.

Riassunto

L’atterraggio a Calvi-Sainte-Catherine avviene con il crepuscolo che sfuma nel buio. Durante il tragitto verso il centro, la città si svela tra le luci calde del porto e la cittadella che si staglia imponente. Veronika, incuriosita, si interroga sulla storia dell’indipendenza corsa, una domanda che troverà risposta più avanti.

La mattina inizia con una colazione tipica corsa, gustando il fiadone, un dolce al brocciu, con vista sul mare. La barista ci consiglia un’escursione fino alla Chapelle Notre-Dame de la Serra, che raggiungiamo con una camminata tra profumi di mirto e macchia mediterranea. Dalla cima, il panorama su Calvi e il suo golfo è mozzafiato.

Dopo la discesa, ci fermiamo per pranzo in una piccola trattoria locale, Chez Antoine. L’oste ci accoglie con calore e ci serve un piatto di Veau aux olives, uno stufato di vitello al vino corso. Durante il pasto, discutiamo della storia dell’indipendenza corsa e del complesso rapporto tra la Corsica e la Francia. Antoine ci racconta con passione le gesta di Pasquale Paoli, la caduta della Repubblica Corsa e il sentimento di identità che ancora oggi anima l’isola.

Dopo il pranzo, la cittadella ci regala un tramonto dorato tra vicoli di pietra e mura fortificate. La Cattedrale di San Giovanni Battista ci riporta all’assedio del 1794, quando una statua della Madonna, secondo la leggenda, salvò la città. Prima di rientrare in albergo, Antoine fa un ultimo regalo a Skippy: una piccola campana in bronzo, simbolo del suono di Calvi e della sua storia.