04
alla scoperta di un’isola sospesa nel tempo
Diario di Viaggio
Un volo in elicottero tra Orbetello e il Giglio regala prospettive uniche sull’Argentario e sul Tirreno. Dall’entusiasmo mattutino di Skippy alla magia del Giglio visto dall’alto, la giornata è un susseguirsi di emozioni e scoperte. Dopo una passeggiata tra i vicoli colorati di Giglio Porto, il rientro in notturna aggiunge un tocco di adrenalina prima di prepararsi per la prossima avventura all’Elba.
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Isola del giglio
Una mattina di entusiasmo
Non è la sveglia a tirarci giù dal letto, ma Skippy. Con un’energia incontenibile, salta tra le coperte, emettendo piccoli versi eccitati e spingendo la zampa contro Veronika, impaziente come una bambina la mattina di Natale.
Ridiamo, ancora mezzi addormentati, mentre lei si sporge curiosa verso la finestra, convinta di poter già vedere l’elicottero.
«Ok, ok, piccola esploratrice, ci siamo…» dico stiracchiandomi.
Veronika mi lancia uno sguardo assonnato ma divertito, mentre Skippy trotterella per la stanza, il musetto rivolto verso la porta, già pronta a partire.
Io sbadiglio. «Mi piace vederti felice, piccolina… ma prima ho bisogno di un caffè.»
In pochi minuti siamo fuori, diretti verso il centro di Orbetello in cerca di un bar. La città ci accoglie con il tepore delle prime luci del mattino, il silenzio interrotto solo dai suoni della vita che riprende piano.
Davanti alla laguna, con una tazza fumante tra le mani, il programma della giornata prende forma.
«Alle 10.45 il pilota ci aspetta poco fuori dal centro» dico, cercando di mostrarmi calmo, anche se dentro sento il peso di ciò che dovrò fare.
«Sarà speciale» aggiungo, lanciando un’occhiata al cielo limpido. «Intanto godiamoci la mattinata. Orbetello merita una passeggiata.»
Skippy non ha bisogno della sveglia. Quando c’è un volo in programma è lei a decidere quando inizia la giornata.

Orbetello
Finita la colazione, lasciamo il bar e ci immergiamo nelle strade tranquille del centro storico di Orbetello. L’aria è fresca, ancora intrisa della quiete mattutina, e il profumo del mare si mescola a quello delle prime botteghe che aprono le loro porte.
Il primo punto di interesse che incontriamo è la Porta Medina Coeli, un ingresso imponente che conserva ancora i segni del passato. Veronika alza lo sguardo e indica un dettaglio.
«Guarda, sopra l’arco c’è ancora lo stemma degli Spagnoli» dice con entusiasmo. «L’ho letto ieri sera prima di dormire. Era uno degli ingressi principali quando Orbetello era sotto il loro controllo.»
Orbetello racconta la sua storia in ogni pietra, in ogni riflesso sulla laguna. Qui il tempo non si è fermato: ha semplicemente imparato a scorrere piano.

Proseguiamo lungo il corso principale, tra piccole botteghe e case dai colori caldi, fino a raggiungere la punta del borgo. Davanti a noi si apre la Diga Leopoldina, il confine tra la terra e l’acqua.
Veronika si ferma e osserva la laguna con un sorriso curioso. «Sai, questa città ha sempre avuto un rapporto particolare con il mare. Non solo per il commercio, ma anche per il volo…» Si volta verso di me con un’espressione pensierosa. «Lo sapevi che un tempo qui decollavano gli aerei?»
Mi fermo, inarcando un sopracciglio. «Dalla diga?»
«No, dall’acqua…» balbetta, cercando il termine giusto. «Quei… quegli aerei che atterrano e decollano dal mare…»
Rifletto un attimo. «Ah… gli idrovolanti? Quindi qui c’era un idroscalo?»
Veronika schiocca le dita. «Esatto! L’idroscalo di Orbetello! L’ho letto ieri. Negli anni ’30 da qui partirono missioni transatlantiche incredibili. La più famosa? Quella di Italo Balbo e la sua squadriglia, che solcò l’oceano senza strumenti moderni, solo con il coraggio e la determinazione di veri pionieri.»
Mi fermo a immaginare quel periodo e le dico:
«Effettivamente, non avendo bisogno di una pista, la laguna offriva loro spazio, calma e un decollo più morbido.»
«Sì, ma pensa alle condizioni in cui volavano» aggiunge Veronika. «Niente radar, niente GPS, solo una bussola e carte approssimative. Eppure hanno attraversato l’oceano.»
«Oggi ci sentiamo avventurosi solo perché sorvoliamo qualche isola con un tablet di bordo e un GPS al metro. Loro invece si lanciavano nel vuoto, senza sapere se sarebbero tornati.» aggiungo.
Veronika sorride. «Noi seguiamo rotte sicure. Loro hanno disegnato il cielo.»
A volte cerchiamo l’esotico lontano, dimenticando che la meraviglia è spesso più vicina di quanto pensiamo.

Rimaniamo per un attimo in silenzio, lasciando che la laguna ci restituisca l’immagine di un’altra epoca. Poi Veronika indica un punto più avanti.
«Guarda, i Mulini Spagnoli.»
Mi volto per osservare meglio le antiche strutture in mezzo all’acqua. Il loro aspetto è fuori dal tempo, come se appartenessero a un’altra epoca.
«Sembrano sospesi tra il passato e il presente.»
«Li usavano per macinare il grano con la sola forza del vento. Oggi sono uno dei simboli più particolari di Orbetello.» mi racconta lei, indicando poi degli uccelli poco lontani, fermi sulla laguna.
«Fenicotteri. Sono bellissimi.»
«Anche loro usano l’idroscalo» scherzo, osservando un paio di fenicotteri che scivolano sull’acqua con grazia. «Sai che la maggior parte degli italiani non sa nemmeno che in Italia ci sono i fenicotteri?» le faccio notare, mentre la osservo scattare delle foto.
«È vero» conferma Veronika. «Pensiamo sempre a posti esotici, e invece certe meraviglie sono proprio dietro casa. Come quella volta a Comacchio, quando non credevo davvero che li avremmo visti.»
Skippy drizza le orecchie di colpo, gli occhi puntati al cielo.
«Tranquilla, non è ancora il nostro elicottero» la rassicuro con una carezza.
«Ma lo sarà presto» aggiunge Veronika con un sorriso.
Proseguiamo il cammino, con il sole ormai alto sopra di noi e l’adrenalina che inizia a farsi sentire.

L’arrivo del Cabri
Spostandoci verso il punto di atterraggio, attraversiamo Piazza del Duomo, dove la Cattedrale di Santa Maria Assunta si staglia con la sua facciata sobria, segnata dai secoli. Le sue fondamenta poggiano sui resti di un antico tempio romano, e nel tempo ha subito trasformazioni che le hanno dato un aspetto unico.
«Sai che questo è uno degli edifici più antichi di Orbetello?» dice Veronika, osservandola con attenzione. «Ha dettagli che mescolano influenze diverse, dalle linee romaniche a tocchi gotici. E sotto di noi potrebbe esserci ancora un pezzo della storia romana.»
«Interessante» rispondo, apprezzando come riesca sempre a notare particolari che mi sfuggono. Il mio sguardo si sposta presto verso l’orizzonte: un rumore inconfondibile si avvicina.
Il battito delle pale dell’elicottero rompe l’aria e Skippy salta entusiasta, quasi travolta dall’emozione. Il piccolo Cabri celeste e giallo appare sopra di noi, scendendo lentamente verso l’area di atterraggio designata. L’erba si piega sotto il vento, mentre la polvere si solleva in vortici sottili. Skippy, con gli occhialoni indossati, osserva la scena con il musetto rivolto verso l’alto, il pelo scompigliato ma lo sguardo fisso sul velivolo.
Il pilota spegne il motore e scende, camminando basso a passo svelto verso di me.
«Camillo, piacere di conoscerti di persona» dice con un sorriso, tendendomi la mano. «Io sono Luca, ci siamo sentiti al telefono. Siete pronti?»
Stringo la sua mano con fermezza, ma le dita tradiscono una leggera tensione. Sento il palmo un po’ più umido del solito e mi schiarisco la gola prima di rispondere.
«Sì, penso di sì.»
Luca mi osserva con attenzione, come se leggesse oltre le mie parole.
«Non preoccuparti. Il vento oggi tira un po’ più del solito, ma il Cabri lo regge benissimo. Devi solo rilassarti e seguire quello che sai già.»
Inspiro a fondo, cercando di sciogliere la tensione. «Grazie, ci proverò.»
«Ah, e un consiglio» aggiunge Luca, abbassando il tono di voce. «Attenti al rientro: la nebbia qui arriva all’improvviso e può cancellare ogni punto di riferimento. Non è il massimo se non hai familiarità con questa zona.»
Un nuovo strato di ansia si insinua dentro di me, sottile ma persistente. Cerco di scrollarlo di dosso con un rapido sguardo al cielo, che per ora è limpido, e ne prendo nota mentale per il ritorno.
«Il mio amico vi aspetta al Giglio» prosegue Luca. «L’elicottero lo potete lasciare nel suo giardino, proprio sopra Giglio Porto. Se ne occuperà lui fino a quando tornerete. È abituato a queste cose, quindi tranquilli.»
«Sì, mi ricordo, ti ringrazio.» rispondo, cercando di mostrarmi più sicuro di quanto mi senta.
Luca annuisce soddisfatto. «Perfetto. Io resterò qui fino al vostro ritorno. Non c’è fretta. Godetevi la giornata. Avvisatemi solo quando state per ripartire.»
Skippy, che fino a quel momento scalpitava accanto a Veronika, le salta in braccio, pronta per partire.
«Tranquilla, piccola, siamo quasi pronti» le dice Veronika, accarezzandole la testa.
Mi avvicino al Cabri, facendo un rapido controllo visivo e cercando di concentrarmi sui gesti meccanici. Respiro, passo mentalmente in rassegna la check-list, ma le parole di Luca sulla nebbia mi tornano in mente. Veronika mi osserva per un attimo e, come se avesse intuito qualcosa, mi sorride.
«Andrà tutto bene» le dico.
Ma forse è più un promemoria per me stesso.
Con il Cabri pronto a portarci in questa nuova avventura, il mare e l’Isola del Giglio ci aspettano. Sento che questa sarà una giornata indimenticabile.
Ogni nuovo decollo porta con sé un brivido: l’emozione dell’ignoto e la fiducia di poterlo affrontare

Dentro al Cabri
Veronika si avvicina all’elicottero con la stessa sicurezza di quando sale su un Cessna, istintivamente tenta di entrare dal lato destro.
«Ehi, aspetta un attimo» le dico con un sorriso. «Sai qual è la prima grande differenza? In elicottero il pilota sta a destra.»
Lei si ferma ridendo e passa dall’altro lato, mentre Skippy, già tra le sue braccia, osserva l’elicottero con l’aria di chi sta per entrare in una nuova dimensione.
Una volta saliti, ci sistemiamo con le cinture di sicurezza e indossiamo le cuffie per le comunicazioni. Lo spazio è più raccolto rispetto al Cessna, e il parabrezza avvolgente ci offre una visione quasi totale del mondo fuori.
Luca, ancora in piedi accanto al portellone aperto, si sporge verso di me.
«Ok, Camillo, questo modello ha qualche differenza rispetto a quello su cui hai preso il brevetto» spiega con calma. «Il Cabri G2 è più leggero e sensibile rispetto ai modelli più grandi. È reattivo nei movimenti laterali e richiede più precisione nelle correzioni. Cerca di dosare il ciclico con delicatezza e ricorda che il collettivo risponde bene anche con pochi input.»
Annuisco mentre cerco di interiorizzare i suoi consigli. Pilotare un elicottero è diverso da un aereo: la stabilità è minore, ogni movimento è amplificato e la sensazione di controllo è più diretta, quasi istintiva, ma richiede un’attenzione costante.
Mi giro verso Veronika e Skippy, che seguono il nostro scambio con espressioni confuse.
«Avete ragione ragazze, vi spiego cosa stiamo dicendo» dico sorridendo. «Il ciclico è questa leva davanti a me: controlla la direzione, come uno sterzo, ma su tutti gli assi, quindi avanti, indietro, destra e sinistra. Il collettivo, invece, è questa leva qui alla mia sinistra e regola la potenza e l’altitudine. Se lo alzo, saliamo, se lo abbasso, scendiamo. E poi ci sono i pedali, che servono per controllare il rotore di coda e mantenere la direzione.»
Veronika scuote la testa ridendo. «Ok, ora mi è tutto chiarissimo» dice ironicamente.
Skippy, invece, inclina la testa con aria seria, come se stesse prendendo memoria di queste informazioni.
Luca ride. «Non preoccuparti, Veronika. Camillo sa il fatto suo. E tu, Skippy, sembri già pronta per diventare copilota.»
Luca mi spiega come affrontare l’atterraggio e gestire il vento. Assimilo ogni dettaglio mentre avvio i sistemi.
Il rumore del rotore inizia a crescere, accompagnato da leggere vibrazioni che riempiono la cabina. Le lancette degli indicatori si spostano una dopo l’altra sul verde, segnalando che tutto è in ordine.
Con le mani ferme sui comandi, osservo il rotore raggiungere i giri previsti. Luca si è allontanato, portandosi in un’area di sicurezza. Gli faccio un cenno con il pollice in su, lui ricambia il gesto con un sorriso e mi osserva attentamente.
Pronto a decollare, respiro profondamente.
«Ok, ci siamo!» dico attraverso le cuffie.
L’adrenalina cresce insieme al ronzio dei rotori, riempiendo la cabina di aspettativa.
Ogni volo inizia con un battito d’ali invisibile: quello dell’adrenalina che sale prima di staccarsi da terra.

Decollo verso Porto Santo Stefano
Con un leggero movimento del collettivo, il Cabri G2 si solleva da terra. La risposta è immediata: il decollo è fluido, quasi sospeso, diverso dalla corsa su pista di un Cessna.
Veronika stringe leggermente le mani sulle ginocchia e sorride, guardandomi con stupore.
«Che strana sensazione… È come un ascensore, ma più leggero. Come se ci staccassimo dal mondo senza strappi.»
Dal parabrezza, il paesaggio si spalanca davanti a noi. La laguna di Orbetello scorre piano e il mare, increspato dal vento, si distende all’orizzonte.
Mi concentro sui comandi mentre mi lascio andare a un pensiero ad alta voce.
«L’elicottero per me è come la moto. Amo potermi muovere in ogni direzione, senza vincoli.»
Veronika ha gli occhi fissi sul panorama.
«Sì, peccato che fare un giro del mondo in elicottero sarebbe stato logisticamente impossibile.»
Le onde si frangono dolcemente sulle sponde del Tombolo della Giannella mentre Veronika riflette ad alta voce.
«Anche la dinamica del volo è diversa. È fluida, verticale. Non sembra di attraversare il cielo, sembra di farne parte.»
Annuisco, mantenendo l’attenzione sugli strumenti.
«Non pilotavo un elicottero da quando ho preso il brevetto, ma è come andare in bicicletta. I movimenti tornano naturali.»
«E non sei nemmeno un po’ teso?» mi chiede Veronika, curiosa.
«Forse un po’. Ma è una tensione buona. Ti tiene vigile.» le rispondo, cercando di sembrare il più tranquillo possibile.
Il Cabri procede sicuro, superando leggere turbolenze, mentre Porto Santo Stefano si avvicina e le sue case colorate iniziano a spiccare contro il blu intenso del mare.
Il parabrezza trasparente amplifica la vista, regalandoci l’impressione di fluttuare nel vuoto.
Volare in elicottero è come galleggiare tra cielo e terra, senza pareti a separarti dall’infinito

Porto Santo Stefano e il volo verso il Giglio
Sorvoliamo la costa poco distante da Porto Santo Stefano, seguendo il profilo frastagliato della terra che si tuffa nel mare. Il porto è un mosaico in movimento: pescherecci, velieri e yacht moderni si intrecciano in una danza lenta tra gli ormeggi.
Veronika osserva affascinata.
«Sai che Porto Santo Stefano è stato quasi interamente ricostruito dopo la Seconda Guerra Mondiale?» dice. «Fu uno dei porti più bombardati in Toscana, ma oggi è tornato a essere il cuore dell’Argentario.»
Osservo la costa.
«Non lo sapevo, ma ha senso. Ha quell’aria di posto che ha saputo rialzarsi.»
Veronika si illumina di colpo.
«Oh, le foto!» esclama ridendo, afferrando la macchina fotografica che aveva lasciato in grembo.
Inizia a scattare, immortalando la costa che si estende verso il promontorio.
Skippy, invece, sembra più interessata agli strumenti che al panorama. Ogni tanto muove il musetto, scrutando ogni mio movimento, come se cercasse di decifrare ogni mia azione.
Superiamo il porto, seguendo il profilo del promontorio. La costa si fa più selvaggia, le scogliere precipitano a picco nel mare, interrotte solo da piccole calette nascoste tra la vegetazione.
Lontano, l’Isola del Giglio emerge come un’ombra scura tra cielo e mare.
Alla nostra sinistra, il sole si riflette sull’acqua, creando scie dorate che danzano con le leggere onde.
Prendendo il mare aperto, Veronika abbassa la fotocamera e guarda la strumentazione con aria curiosa.
«Mi ha sempre incuriosito come funzionano quei pedali» dice, indicando quelli ai suoi piedi. «Sul Cessna non li vedo mai così chiaramente.»
Felice di poter condividere informazioni così da ripeterle anche a me stesso, le rispondo:
«Sul Cessna 172 sono meno evidenti perché servono solo per il timone di coda, mentre qui hanno un ruolo più attivo. Regolano il rotore di coda, che ci permette di mantenere la direzione o ruotare l’elicottero su se stesso. Li uso molto più spesso, soprattutto quando siamo fermi o a basse velocità.»
Lei segue il movimento dei miei piedi sui pedali, osservando con attenzione.
«Quindi, invece di sterzare, lo fai girare su sé stesso?»
«Esatto. È come stare in equilibrio su un punto, tutto è più immediato ma anche più instabile rispetto a un aereo.»
Veronika scoppia a ridere all’improvviso.
«E il ciclico, si chiama così giusto?» dice, indicando la leva davanti a me. «Ogni volta che lo usi, il mio si muove di conseguenza e mi ha toccato le mani un paio di volte. È come se mi stesse salutando!»
Sorrido.
«Sì, sono collegati direttamente.»
L’elicottero vibra leggermente con il vento, una sensazione più diretta rispetto al volo in Cessna.
Qui tutto è immediato, ogni correzione passa attraverso i comandi e si riflette istantaneamente nel velivolo. Non c’è inerzia, solo reazione.
Davanti a noi, il Giglio si avvicina sempre di più, avvolto dalla luce dorata del mattino.
Ogni viaggio è una scoperta ma alcuni luoghi raccontano la loro storia anche dall’alto, tra mare e vento.

Arrivo al Giglio e la costa sud
La costa sud del Giglio ci appare come un paesaggio aspro e selvaggio. Virando a sud, seguiamo il profilo dell’isola per circumnavigarla interamente.
«Guarda laggiù» dice Veronika, indicando un faro che si erge solitario sulla punta meridionale.
«Il Faro di Capel Rosso è uno dei più antichi della Toscana, costruito a metà Ottocento e ancora oggi attivo.»
Si ferma un istante, poi aggiunge:
«Dal vivo è ancora più affascinante che in foto. Chissà quante tempeste ha visto passare.»
Mantengo l’elicottero stabile in una virata per tornare verso nord.
«Un punto di riferimento che non smette mai di fare il suo lavoro» rifletto ad alta voce.
Veronika scatta delle foto, poi si gira verso di me.
«Sai che sull’isola vivono solo circa 1400 persone? Tra Giglio Porto, Giglio Castello e Campese. Deve essere un posto in cui il tempo ha un ritmo diverso.»

Osservo Skippy, il musetto incollato al finestrino, incantata da ogni dettaglio.
Poi si gira verso di me, gli occhi pieni di meraviglia.
In quel momento capisco: per lei, sono di nuovo il pilota, il riferimento, quello che la porta oltre i confini del mondo.
Dopo Siena, dopo Carlo, dopo quel momento in cui il mio ruolo sembrava scivolato via, ora sento di averlo ritrovato.
E questo, lo ammetto, mi fa sorridere sotto gli occhiali.
La costa, con bellissime scogliere a strapiombo, scorre ora alla nostra destra e ci accompagna verso nord.
«Questa parte dell’isola è famosa per i suoi fondali» spiega Veronika.
«Pare che sia uno dei luoghi preferiti dai sub. Hanno trovato relitti qui vicino, tra cui alcuni antichi risalenti al periodo romano.»
«Ha senso» rispondo, lasciando che le sue parole arricchiscano il panorama.
«L’isola è stata abitata fin dall’antichità. Gli Etruschi e poi i Romani usavano questi mari per il commercio e probabilmente anche come rifugio.»
Il paese a nord, Campese, si avvicina lentamente.
Le sue case colorate si affacciano su una baia tranquilla, dominata dalla Torre medicea che continua a fare la guardia alla costa.
Alcuni luoghi sembrano sospesi nel tempo, custodi silenziosi di storie che il mare continua a sussurrare.

In salita verso Giglio Castello
Mi fermo in hovering sopra Campese e ruoto l’elicottero per avere una visuale completa. Poi inizio a guadagnare quota, salendo verso l’interno dell’isola.
Giglio Castello, il borgo fortificato sulla montagna, si svela lentamente mentre saliamo, con le sue mura imponenti che spiccano sul paesaggio sottostante.
«Questo è uno dei borghi più antichi dell’Arcipelago Toscano» dice Veronika.
«Le sue mura risalgono al Medioevo e il centro è praticamente intatto. È come fare un salto indietro nel tempo.»
Skippy segue ogni movimento con una concentrazione sorprendente. Il suo entusiasmo è contagioso e per un attimo mi sento completamente immerso nella bellezza di ciò che stiamo vivendo.
Felice di poter condividere tutto questo con loro, sapendo che sarà un ricordo che ci porteremo dietro.
Superato Giglio Castello, il terreno precipita rapidamente verso il mare, aprendo un panorama mozzafiato.

Mi abbasso di quota, puntando verso Giglio Porto.
Cerco il punto d’atterraggio indicato da Luca, con un occhio al tablet e l’altro alla costa.
Lo riconosco quasi subito: un piccolo appezzamento di terra vicino ad alcune case, circondato da alberi, con una piccola bandiera a vento, di quelle bianche e rosse degli aeroporti, proprio come descritto da Luca.
Mi tornano in mente le parole di Luca:
«Il mio amico è abituato a vedere elicotteri atterrare lì.»
Il pensiero che questa manovra sia riuscita a molti altri prima di me mi rassicura, ma solo in parte.
Gli alberi intorno sembrano stringersi attorno all’elicottero, e sento il peso della responsabilità premere sulle mie spalle.
Controllo gli strumenti, mi concentro e inizio la manovra di discesa.
L’atterraggio procede liscio fino al momento finale quando, abbassando il collettivo un po’ troppo velocemente, un leggero colpo scuote l’elicottero, facendoci sussultare.
«Scusate» dico imbarazzato, togliendo le mani dai comandi con un sospiro di sollievo.
Veronika mi lancia un sorriso comprensivo, accarezzando Skippy che, nonostante tutto, sembra più incuriosita che spaventata.
Giglio Castello si erge come un guardiano del tempo, un luogo dove le storie non sbiadiscono ma si rafforzano con il vento e le pietre

Giglio Porto: tra colori e storia
Appena i motori si spengono e il rotore inizia a rallentare con un sibilo che sfuma nell’aria, un uomo sulla cinquantina esce da una casa vicina. Il sole basso illumina il suo viso mentre si avvicina con passo deciso. «Ben arrivati!» dice con un sorriso aperto. «Io sono Sandro, l’amico di Luca. Spero che il volo sia andato bene.» Scendiamo dall’elicottero uno alla volta, a testa bassa e schivando il vento ancora sollevato dalle pale in movimento. «È stato fantastico» risponde Veronika, mentre io gli stringo la mano con gratitudine. «Grazie per averci ospitati» aggiungo. «E mi scuso per l’atterraggio un po’… brusco.» Sandro ride. «Non ti preoccupare, sei andato benissimo. Ho visto atterraggi molto peggiori.» Dopo qualche scambio di battute ci avviamo verso Giglio Porto. Skippy, finalmente rilassata dopo l’atterraggio, mi salta sulla spalla con l’agilità di sempre, abbracciandomi il collo con una zampetta. Mi scappa un sorriso: era da un po’ che non lo faceva. Dopo Siena, dopo Carlo, dopo quel piccolo momento di gelosia che avevo provato, ora la sento di nuovo mia complice. Le case color pastello si specchiano nell’acqua immobile, mentre le barche ondeggiano appena, cullate dal respiro del porto. Il mormorio delle onde riempie l’aria, mescolandosi al profumo di salsedine.
«Carlo raccontava che questo porto ha sempre avuto un ruolo importante, vero?» dice Veronika, lasciando vagare lo sguardo sulle barche. «Prima per i commerci romani, poi come rifugio sicuro per le navi in tempesta.»
Alcuni luoghi sembrano costruiti per proteggere, altri per accogliere. E Giglio Porto ha imparato a fare entrambe le cose.

Una sosta dolce vista mare
Osservando la conformazione del porto, le rispondo. «Non mi sorprende. Sembra costruito apposta per proteggere non solo le barche, ma anche chi vive qui.» Arrivati in paese ci fermiamo lungo una viuzza per prendere un gelato artigianale. Skippy, dal suo posto privilegiato sulla mia spalla, assapora la sua coppetta come se fosse un’esperienza mistica.
Ci spostiamo poi su una panchina fronte mare, lasciandoci avvolgere dall’atmosfera rilassata del borgo. Il porto da qui sembra pulsare di vita, incorniciato dalle case color pastello che si riflettono nell’acqua ha un non so che di magico. Forse anche per il sole che nel mentre si sta abbassando tingendo il cielo di sfumature calde. «Sai» dice Veronika, osservando il mare «una delle cose che amo di questi posti è che non hanno bisogno di esagerare. La loro bellezza è essenziale, autentica.» Le rispondo mentre assaporo l’ultimo pezzo del mio gelato. «Hai ragione. Perfino il silenzio qui sembra avere un suono diverso.» Poco dopo riprendiamo la passeggiata senza una meta precisa, finché lo sguardo di Veronika viene catturato da un espositore di cartoline fuori da una piccola bottega. Si avvicina lentamente, quasi richiamata da un pensiero improvviso. La osservo sfiorare con le dita le immagini di Giglio Porto, poi ne prende una e la rigira tra le mani, riflettendo.
Non c’è bisogno di parole. So esattamente a chi sta pensando. Senza interromperla, la vedo prendere una penna dal bancone e iniziare a scrivere. Mi allontano di qualche passo, lasciandole tutto il tempo di esprimere ciò che sente. Da lontano, la guardo sorridere mentre riempie la cartolina di parole. In quel momento, mi accorgo di quanto sia felice di vederla così, dopo il momento di malinconia di ieri. Nel frattempo Skippy si è intrufolata in un gruppo di bambini che rincorrono i gabbiani sulla piazzetta del porto. La scena è pura gioia: si lancia all’inseguimento con entusiasmo ma i gabbiani, con un battito d’ali, la lasciano con le zampe nel vuoto. I bambini ridono e gridano, mentre lei, per nulla scoraggiata, cambia strategia, correndo in cerchio per anticiparli. Poi, cercando di fermarsi troppo in fretta, ruzzola sulla schiena con le zampe all’aria. Un attimo di silenzio, poi un’esplosione di risate. Anche Skippy, dopo un secondo di sorpresa, scoppia a ridere con il suo verso caratteristico, rialzandosi come se nulla fosse accaduto.
Veronika torna verso di me con la cartolina ormai spedita. I suoi occhi luminosi non hanno bisogno di parole. Mi bacia con dolcezza, come per ringraziarmi di averla spronata a trovare un modo per esprimere ciò che provava. Skippy, ansimante dopo la sua corsa con i bambini, ci raggiunge barcollando, ancora euforica. «Hai dato spettacolo, eh?» le dico ridendo. Lei si accascia tra le nostre gambe con fare teatrale, soddisfatta della sua impresa. Diamo un’ultima occhiata al porto. Il tramonto è vicino, le ombre si allungano sulle barche. «Forse è meglio iniziare a rientrare» dico, scrutando l’orizzonte che si tinge di arancio e rosa. Veronika annuisce, riponendo la fotocamera dopo aver scattato un’ultima foto.
«La signora del negozio mi ha raccontato una cosa curiosa» dice mentre ci avviamo verso l’elicottero. «Pare che il primo faro dell’isola sia stato acceso dai Romani, per guidare le loro navi cariche di ferro dall’Elba.» Immagino le antiche imbarcazioni solcare il mare secoli fa. «Non c’è niente di più affascinante di un posto piccolo con una grande storia.» Siamo vicini casa di Carlo, pronti a salutare questo angolo di paradiso e riprendere il volo verso casa. Con una cartolina in viaggio e un sorriso che accompagna il tramonto.
Anche il silenzio ha un suono diverso qui.

Ritorno nell’oscurità
Dopo aver salutato e ringraziato Sandro per l’ospitalità, gli porgo una bottiglia di vino che accetta con un sorriso caloroso. «Non era necessario ma grazie. Spero torniate presto al Giglio» dice stringendomi la mano con un calore genuino. Skippy, dal suo posto accanto a Veronika, lo osserva con l’aria di chi ha già classificato questa giornata tra le sue preferite. Avvio il motore e il suono, adesso familiare, del rotore che inizia a girare riempie l’aria. Veronika e Skippy si sistemano velocemente al loro posto mentre io verifico per l’ultima volta gli strumenti. Con un leggero movimento del collettivo decolliamo. Giglio Porto, ora avvolto dall’oscurità, appare ancora più suggestivo con le sue luci che disegnano riflessi tremolanti sul mare. La vista è quasi ipnotica.
Man mano che ci allontaniamo dall’isola, la sensazione di quiete lascia spazio alla concentrazione. Provo a regolare la retroilluminazione degli strumenti, troppo intensa e affaticante per gli occhi, ma non riesco a trovare il giusto equilibrio. Sospirando mi rassegno al fastidio, cercando di ignorarlo mentre controllo la rotta verso Orbetello. Davanti a noi il mare è avvolto da piccoli banchi di nebbia sulla superficie. Il faro dell’elicottero ne illumina alcuni, creando giochi di luce irreali, quasi ipnotici. Il promontorio dell’Argentario emerge netto all’orizzonte, un riferimento chiaro che guida il volo senza incertezze. Per ora, la nebbia è un elemento scenico, non un ostacolo.
Ma avvicinandoci alla costa, il paesaggio cambia. La nebbia, prima solo un velo sospeso sul mare, inizia a risalire lungo i fianchi della montagna, avvolgendo le insenature come un respiro trattenuto. I contorni del promontorio, prima così definiti, si dissolvono gradualmente nell’oscurità. Per un attimo il mondo esterno si dissolve. Il mare, il cielo, la costa: tutto diventa un’unica ombra indistinta. Istintivamente stringo il ciclico, un secondo di esitazione, poi porto lo sguardo sugli strumenti. La bussola mi conferma la rotta. Il cuore accelera ma la mente si ancora ai numeri e alle linee luminose che segnano il confine tra controllo e smarrimento.
Stringo il ciclico e aggiusto la rotta con un micro-movimento, affidandomi alla bussola e all’orizzonte artificiale. «Luca aveva ragione» penso, mentre un sottile brivido mi percorre. «Tornare prima del buio completo è stata una scelta saggia.» Porto Santo Stefano si rivela alla nostra destra, ora sembra un presepe illuminato. Le luci delle case e delle strade si riflettono dolcemente sul mare, creando un’immagine perfetta. Sorrido, lasciando che quel pensiero semplice ma evocativo mi accompagni per qualche istante.
Mentre Veronika continua a scattare foto puntiamo verso il nuovo luogo di atterraggio, un campo poco distante dal Tombolo della Giannella come consigliato da Luca. Con il promontorio ormai alle spalle mi preparo mentalmente per l’atterraggio, consapevole che ogni fase del volo richiede la massima attenzione.
Nel buio della notte il Giglio si allontana e le luci di Porto Santo Stefano brillano come un presepe sospeso sul mare. Ogni volo è un viaggio tra attesa e meraviglia

Atterraggio sotto le stelle
Il faro dell’elicottero illumina il campo erboso che si staglia davanti a noi. Noto la figura familiare di Luca, in piedi accanto a un fuoristrada, con le braccia incrociate e un sorriso rilassato. Con attenzione guido il Cabri verso il punto di atterraggio mantenendo la concentrazione mentre i pattini toccano terra con una leggera vibrazione. Spengo il motore e il rotore rallenta gradualmente fino a fermarsi.
Una volta spenti tutti gli strumenti ci togliamo le cuffie e scendiamo dall’elicottero. Sciolgo le spalle e apro le mani lentamente, rendendomi conto solo ora di quanto le dita siano rimaste contratte sui comandi. Anche l’adrenalina inizia a calare, lasciando spazio alla stanchezza buona, quella che arriva dopo un volo che ti ha tenuto sul filo.
Luca si avvicina stringendomi la mano con calore. «Ottimo lavoro, Camillo. Ti sei mosso come un veterano» dice con un tono che mi strappa un sorriso di sollievo.
«Grazie, Luca. È stato un volo indimenticabile ma credo che ora mi servirà un bicchiere d’acqua per calmare l’adrenalina» rispondo ridendo.
Skippy si sporge verso Luca con il musetto curioso dopo che lui l’ha chiamata a sé «Vieni qui, piccola pilota» dice tirando fuori dalla tasca un piccolo portachiavi a forma di elicottero. «Questo è per te, per ricordarti del tuo primo volo in elicottero.»
Skippy emette un verso di pura gioia, stringendo il piccolo elicottero come se fosse il trofeo di una grande avventura. Poi lo solleva con orgoglio per mostrarlo a noi, come se avesse davvero conquistato il cielo. «Grazie, Luca. È un gesto bellissimo» dice Veronika accarezzando la testa di Skippy. Poi aggiunge: «Sai, raccoglie sempre piccoli souvenir dai nostri viaggi. Questo sarà uno dei più speciali.»

Luca sorride salutandoci con un ultimo abbraccio. «Allora ci vediamo al prossimo volo, magari con un altro Cabri.»
Ci allontaniamo verso l’auto con cui torneremo in albergo. La notte è fresca e l’adrenalina inizia a lasciare spazio a una piacevole stanchezza. Una volta arrivati in camera Veronika si siede accanto alla finestra, accarezzando Skippy che tiene stretto il suo nuovo portachiavi.
«Domani si riparte per l’Elba» dico controllando le previsioni meteo sul tablet. «Ti ricordi la vacanza in moto all’Elba? La Rebel 500 e il giro dell’isola intera?»
Veronika sorride. «Come dimenticarlo? È stata una delle nostre vacanze più belle. La moto e quelle strade ci facevano sentire parte del paesaggio.»
Sorrido. «Già. Questa volta sarà diverso, ma sono sicuro che sarà altrettanto speciale.»
Mentre controllo il meteo la mia espressione però cambia. «Ci sono venti forti previsti anche per domani» dico preoccupato. «Spero che riusciremo a partire senza problemi.»
Veronika mi guarda con comprensione. «Qualunque cosa accada, troveremo un modo. Come sempre.»
Con quel pensiero rassicurante ci prepariamo per la notte, sapendo che ogni giorno in volo porta con sé nuove sfide ma anche momenti unici da custodire.
Ogni atterraggio porta con sé sollievo e nuove emozioni ma è nei piccoli gesti – una stretta di mano, un portachiavi tra le zampe di Skippy – che restano impressi i ricordi più preziosi.
Riassunto
La giornata inizia con l’entusiasmo di Skippy pronta per una nuova avventura, questa volta, in elicottero. Dopo una passeggiata nel centro di Orbetello, tra storia spagnola e fenicotteri, ci dirigiamo all’area di decollo per il volo verso il Giglio. Il Cabri G2 si solleva dolcemente offrendoci una prospettiva completamente diversa sull’Argentario e sul mare. Il viaggio è un susseguirsi di emozioni: Porto Santo Stefano visto dall’alto, la costa selvaggia del Giglio, il Faro di Capel Rosso e il borgo fortificato di Giglio Castello.
Dopo un atterraggio emozionante nel giardino di un amico del pilota, esploriamo Giglio Porto tra vicoli colorati e sapori autentici. Il rientro notturno aggiunge un tocco di adrenalina, con Camillo che affronta la sfida di un volo tra una leggera nebbia e la luce fioca. La giornata si chiude con un pensiero rivolto all’Elba, prossima tappa del viaggio, dove vecchi ricordi e nuove avventure si intrecceranno ancora.