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Dal cuore ai suoi angoli nascosti
Diario di Viaggio
Firenze si svela tra storia, incontri e sapori autentici. Dalla Cupola del Brunelleschi ai segreti del Ponte Vecchio, dalla scoperta del lampredotto al fascino dei Giardini di Boboli, ogni tappa è un frammento di bellezza. Concludiamo al Piazzale Michelangelo, dove il viaggio si trasforma in una lezione: non è Firenze a cambiare ma il nostro modo di guardarla.
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Firenze e dintorni
Arrivo a Firenze
Il taxi ci lascia nel cuore di Firenze, dove le strade strette e lastricate sembrano intrecciarsi in un labirinto che porta i segni del tempo e delle trasformazioni. Qui edifici medievali e rinascimentali si mescolano con palazzi più moderni, ricostruiti dopo la guerra, alcuni perfettamente integrati nel tessuto urbano, altri più spigolosi, quasi fuori posto in questa città di arte e armonia. Nonostante tutto Firenze ha imparato a convivere con queste contraddizioni, custodendo la sua anima tra passato e presente.
“Ci siamo” dico, mentre Skippy allunga il muso verso l’aria frizzante del mattino, inspirando con curiosità. Con passo deciso ci incamminiamo verso il centro.
Sbucando da una stradina stretta la Cattedrale di Santa Maria del Fiore si staglia davanti a noi in tutta la sua imponenza.
“Incredibile come riesca sempre a sorprendermi” mormora Veronika, sollevando lo sguardo verso la Cupola del Brunelleschi che dall’alto ci aveva già lasciato senza fiato durante il volo.
Oggi decidiamo di salire sul Campanile di Giotto: meno affollato e con una vista altrettanto spettacolare. In fondo la cupola l’abbiamo già vista dall’alto poco fa.
In fila per i biglietti raccolgo un volantino e comincio a leggere ad alta voce per passare il tempo. “Sapevi che il Campanile è alto 85 metri? Dovremo fare 414 gradini per arrivare in cima e non c’è nessun ascensore.”
Skippy, inizialmente entusiasta di esplorare, si blocca sentendo queste parole. I suoi occhi seguono i gradini poi lancia un verso lamentoso, si gira lentamente e con un gesto plateale si infila di testa nel mio zaino, lasciando fuori solo le orecchie.
Veronika scoppia a ridere. “Sta succedendo davvero?”
“Direi di sì” rispondo, sentendo il peso improvviso sulle spalle. “Complimenti per la tattica, esploratrice provetta.”
Skippy emette un verso soddisfatto e si sistema meglio nel suo nuovo trono mobile, felice di aver avuto un colpo di genio.
La salita è un esercizio di resistenza, soprattutto con Skippy comodamente seduta nello zaino sulle mie spalle, ma ogni sosta offre uno scorcio sempre più spettacolare su Firenze. Quando finalmente raggiungiamo la sommità il vento ci accoglie con una carezza leggera. Da qui la vista ripaga lo sforzo con l’Arno che scorre tra i palazzi, le colline lontane che incorniciano il tutto e la città viva con la piazza sotto di noi piena di turisti.
Veronika si appoggia alla balaustra, il respiro ancora un po’ corto. “Che spettacolo.”
Skippy, che nel frattempo è uscita dallo zaino e ora si affaccia curiosa sulla mia spalla, sembra ipnotizzata dal panorama.
“Chissà come doveva apparire ai fiorentini di un tempo” aggiunge Veronika, lasciando vagare lo sguardo sulla città che si stende fino all’orizzonte.
Poi indica l’edificio ottagonale al centro della piazza con la sua elegante decorazione in marmo bianco e verde. “Posso chiederti cosa è quello?” chiede, osservandolo con curiosità.
“È il Battistero di San Giovanni” rispondo. “Uno degli edifici più antichi di Firenze, costruito tra l’XI e il XII secolo. La sua forma ottagonale simboleggia l’ottavo giorno, quello della resurrezione, secondo la tradizione cristiana.”
Veronika inclina la testa, interessata. “Quindi qui battezzavano tutti i fiorentini?”
“Esatto. Per secoli, prima che venisse costruito il fonte battesimale dentro la Cattedrale, i bambini fiorentini venivano battezzati proprio qui. Pensa che anche Dante Alighieri fu battezzato in questo battistero.”
Veronika sorride. “L’ultima volta avevo dimenticato di chiedertelo anche se dalla piazza mi aveva colpito per la sua bellezza.”
Sorrido e le indico le grandi porte di bronzo del battistero rivolte verso la Cattedrale. “E guarda quelle: le chiamano le ‘Porte del Paradiso’. Le ha realizzate Lorenzo Ghiberti nel Quattrocento e Michelangelo disse che erano così belle da poter essere le porte del paradiso.”
Veronika osserva i rilievi dorati con attenzione. “Quindi stiamo guardando un capolavoro dentro un altro capolavoro.”
“Già e questa è Firenze” le rispondo con un sorriso.
“Firenze è una città che sorprende sempre: un equilibrio perfetto tra passato e presente, dove ogni strada, ogni piazza e ogni monumento raccontano una storia senza tempo.”

Un pranzo con una storia da raccontare
Dopo la lunga discesa dal Campanile di Giotto le gambe iniziano a protestare. La sveglia all’alba e il viaggio ci hanno messo fame e, anche se è ancora presto, l’idea di un pasto tipico fiorentino diventa irresistibile.
Attraversiamo Piazza della Signoria che si apre davanti a noi come un grande palcoscenico di storia e arte. La Loggia dei Lanzi, con le sue statue imponenti, osserva silenziosa il via vai dei turisti mentre il maestoso Palazzo Vecchio, con la sua torre, si erge fiero e imponente. A pochi passi la copia del David di Michelangelo domina la scena, ricordando a tutti il legame indissolubile tra Firenze e il Rinascimento.
Evitiamo i locali turistici e ci infiliamo in una piccola trattoria nascosta in un vicolo laterale, lontano dalla folla. L’aria è densa del profumo di schiacciata fiorentina appena sfornata e spezie, i pochi tavoli in legno scuro raccontano di un luogo rimasto immutato nel tempo.
Ci accoglie una signora anziana con i capelli raccolti in uno chignon impeccabile e un grembiule consumato dall’uso. Il suo volto porta i segni del tempo ma il sorriso che ci rivolge è di chi ha visto Firenze cambiare mille volte senza mai perdere la sua essenza.
“Siete forestieri, vero?” chiede con un tono bonario mentre ci porge un menù scritto a mano.
“Sì, anche se un po’ ci sentiamo a casa” rispondo, scorrendo le proposte del giorno. “Non è la prima volta che veniamo a Firenze.”
Veronika posa il menù con decisione. “Vorremmo provare qualcosa di veramente fiorentino.”
La donna sorride con un lampo d’orgoglio negli occhi. “Allora vi porto dell’ottimo lampredotto.”
Quando ritorna porta con sé una piccola pentola di terracotta, un “coccio” tradizionale, da cui si sprigiona un aroma intenso e speziato. Appoggia la pentola al centro del tavolo e, con un gesto misurato, solleva il coperchio. Il vapore caldo si mescola all’aria, avvolgendoci in un profumo che sa di antiche osterie e di storia.
Si ferma accanto al tavolo, aspettando di vedere la nostra reazione al primo assaggio. Veronika prende un boccone, chiude gli occhi e annuisce lentamente.
“Ma è buonissimo” esclama con un sorriso sorpreso. “Ha un sapore così intenso ma allo stesso tempo delicato.”
La donna sorride, compiaciuta. “Sai, quando ero bambina, il lampredotto era il pasto dei lavoratori. Mio padre faceva il ciabattino e ogni sabato mi portava qui a mangiarlo, seduti proprio a questo tavolo.”
Le sue parole ci trasportano in un’altra epoca. La immaginiamo, bambina, seduta accanto a suo padre con un panino tra le mani e gli occhi curiosi rivolti al mondo. Mi soffermo a pensare che un viaggio non è fatto di sole opere d’arte o viste mozzafiato ma anche di storie, di gesti tramandati, di sapori che resistono al tempo. Così le chiedo di raccontarci di più.
La signora si siede accanto a noi, prendendosi un momento di pausa. “Un tempo il lampredotto era il cibo del popolo. Chi lavorava tutto il giorno nei mercati, nelle botteghe, non poteva permettersi i tagli nobili della carne. Così si usava tutto. Con il tempo quella che era una necessità è diventata una tradizione, un sapore che sa di casa.”
Quando ci alziamo per andare via, Assunta ci osserva con un sorriso appena accennato, come se sapesse di averci lasciato qualcosa di più di un semplice pasto.
“E ricordate che Firenze non si racconta, si assapora.”
Fa una piccola pausa, come se volesse assaporare anche lei quelle parole prima di concludere. Poi aggiunge con voce più bassa, quasi confidenziale:
“È come il lampredotto: all’apparenza semplice ma se lo vivi davvero scopri sapori che non ti aspettavi.”
Usciamo dalla trattoria con la sensazione di aver assaporato non solo un piatto tipico ma anche un pezzetto della Firenze più autentica.
Mentre ci incamminiamo per le strade del centro Veronika si accorge che Skippy sembra avere qualcosa tra le mani. Si avvicina con curiosità e, con un sorriso, chiede: «Che cosa hai lì, piccola esploratrice?» Skippy, con uno sguardo solenne, solleva tra le zampe un tappo di sughero come se stesse presentando un trofeo conquistato con grande onore.
«È il tappo della bottiglia di vino che abbiamo bevuto a pranzo?». Skippy, con un lieve movimento del muso, solleva il tappo con aria di vittoria, come se stesse dicendo “esattamente!”
Veronika sorride, complice del suo gesto. «Ah, quindi questo è il tuo souvenir di Firenze?» le dice con affetto. «Che idea fantastica, Skippy!» Poi, con un sorriso malizioso, aggiunge: «Mettilo nello zaino con gli altri souvenir che raccoglierai durante il nostro viaggio.»
Io intervengo, ridendo: «Ottima idea, Skippy! Questo è sicuramente un ricordo speciale.»
Skippy, con la massima delicatezza, adagia il tappo nello zaino e torna a trotterellare allegra tra le strade di Firenze. Passeggiando mano nella mano con Veronika sento che ogni passo, ogni piccolo gesto, sta contribuendo a rendere questo viaggio ancora più unico.
“Firenze non si racconta, si assapora. Ogni piatto, ogni sapore è una storia che resiste al tempo.”

Il Ponte Vecchio: Storia sospesa sull’Arno
Seguendo il flusso incessante di turisti e fiorentini che affollano le strade del centro arriviamo al Ponte Vecchio.
Man mano il vociare si fa più intenso, il suono dei passi si mescola a quello dei musicisti di strada che animano il Lungarno con le loro melodie. L’atmosfera ha qualcosa di magico: le botteghe storiche, colme di gioielli e oggetti scintillanti, sembrano sospese tra cielo e acqua affacciandosi direttamente sul fiume.
“Non sembra nemmeno un ponte” dice Veronika, guardandosi intorno con meraviglia.
“Effettivamente sembra più una strada” rispondo, osservando le vetrine ornate d’oro e pietre preziose.
Poco più avanti una guida turistica sta spiegando la storia del ponte a un gruppo di visitatori. Non posso evitare di ascoltare.
“Pare che nel Medioevo qui ci fossero macellerie” dico sottovoce a Veronika, indicando le strutture basse delle botteghe. “Però i macellai gettavano gli scarti direttamente nell’Arno finché Ferdinando I de’ Medici non decise di sostituirli con orafi e gioiellieri.”
“Macellerie? Su un ponte come questo?” sgrana gli occhi.
“Già, voleva migliorare l’immagine del ponte e risolvere il problema degli odori… diciamo poco piacevoli” aggiungo con un sorriso.
Veronika sorride al pensiero mentre continuiamo a camminare tra i negozi che, nonostante i secoli, sembrano ancora mantenere un fascino senza tempo.
Poi, alzando lo sguardo, Veronika nota una struttura che sovrasta le botteghe. “E quello? Cos’è quella specie di corridoio?”
“Credo sia il Corridoio Vasariano” rispondo, frugando nella tasca per estrarre una brochure che avevo recuperato mentre facevamo i biglietti al campanile. “Dice che fu costruito nel 1565 per volere di Cosimo I de’ Medici. Permetteva ai granduchi di spostarsi da Palazzo Vecchio a Palazzo Pitti senza doversi mescolare alla folla.”
Veronika segue con lo sguardo il passaggio sopraelevato che corre lungo il ponte come un sentiero segreto della nobiltà.
“Dovevano proprio fidarsi poco della gente” commenta con una punta di ironia.
“Beh, ai tempi governare Firenze non era esattamente un compito facile” dico “Credo fosse meglio avere un passaggio sicuro che rischiare imboscate tra la folla.”
Ci fermiamo al centro del ponte dove un piccolo spazio aperto regala una vista mozzafiato sull’Arno. L’acqua riflette la luce dorata della giornata mentre il mormorio della città si mescola al suono del fiume che scorre placido.
Veronika si appoggia alla balaustra e sospira. “Chissà quanti mercanti, artisti e viaggiatori hanno attraversato questo ponte nei secoli.”
Un piccolo pannello informativo accanto a una bottega attira la mia attenzione. “Guarda qui Vero. Dice che questo ponte ha visto di tutto: alluvioni, guerre e persino un re che vi rimase bloccato. Durante l’alluvione del 1966 l’Arno sommerse le botteghe, distruggendo gioielli e libri contabili. E pare che nel 1495 il re di Francia Carlo VIII rimase incastrato con il suo cavallo tra i negozi troppo stretti. Dopo quell’episodio iniziarono a regolamentare meglio lo spazio qui sopra.”
Veronika scorre con lo sguardo il pannello. “Quindi non è sempre stato così ordinato?”
“Evidentemente Firenze ha dovuto trovare il suo equilibrio, proprio come questo ponte.”
Restiamo qualche minuto in silenzio, lasciando che la storia del ponte si intrecci ai suoni della città e al fluire dell’Arno sotto di noi.
“Il Ponte Vecchio è più di un ponte: è una passerella sospesa nella storia, dove ogni passo racconta un secolo di vita fiorentina.”

Palazzo Pitti e i Giardini di Boboli: il potere e la bellezza
Attraversato il Ponte Vecchio ci ritroviamo di fronte alla massiccia facciata di Palazzo Pitti. Le pietre grezze, squadrate e possenti trasmettono un senso di imponenza quasi schiacciante. È un contrasto netto con l’eleganza dei palazzi rinascimentali del centro e, per un attimo, rimaniamo in silenzio osservandolo.
“Non me lo ricordavo così… massiccio” commenta Veronika, inclinandosi leggermente all’indietro per coglierne l’altezza.
“Già, sembra quasi fuori posto rispetto al resto della città” rispondo, scorrendo lo sguardo lungo la facciata severa. “Eppure è stato costruito proprio per essere il simbolo della grandezza di una famiglia.”
Facciamo il biglietto e ci uniamo a un gruppo di turisti radunati attorno a una guida locale, una donna dai capelli ricci che parla con il tono appassionato di chi racconta una storia mille volte senza perdere entusiasmo.
“Palazzo Pitti fu costruito a metà del Quattrocento per volere di Luca Pitti, un banchiere fiorentino che voleva superare per grandezza e maestosità il Palazzo Medici Riccardi, la residenza dei suoi rivali.”
Veronika solleva un sopracciglio. “Quindi era una questione di ego?”
La guida annuisce con un sorriso. “Assolutamente. Pitti voleva finestre grandi quanto le porte di Palazzo Medici e una facciata imponente per dimostrare il suo potere. Ma ironia della sorte, pochi decenni dopo, la famiglia Pitti cadde in disgrazia e chi comprò il palazzo?”
“I Medici” risponde un uomo del gruppo prima ancora che qualcuno possa rifletterci.
“Quindi alla fine hanno vinto loro.” commento divertito.
“Come sempre” aggiunge la guida con un sorriso. “Lo trasformarono nella loro residenza ufficiale e da qui governarono Firenze e la Toscana.”
Veronika osserva le finestre alte e strette. “Chissà com’era viverci…”
“Probabilmente lussuoso e caotico” risponde la guida aggiungendo subito dopo: “Pensiamo solo a quanti artisti e scienziati hanno frequentato queste stanze. Qui hanno vissuto Cosimo I de’ Medici, Eleonora di Toledo e poi i Lorena, persino i Savoia quando Firenze era capitale d’Italia. Dentro il palazzo oggi si possono visitare gli Appartamenti Reali, la Galleria Palatina con opere di Raffaello e Tiziano, la Galleria d’Arte Moderna e persino una farmacia storica.”
“Una farmacia?” ripete una turista incuriosita.
“Esatto” conferma la guida. “Una spezieria di corte per l’esattezza, dove venivano preparati rimedi e unguenti per la famiglia ducale.”
Mentre la guida prosegue, Skippy si arrampica con agilità sulla spalla della donna, afferrando con le zampette la piccola bandierina che la guida teneva in mano per farsi seguire dal gruppo. Per un attimo tutti restiamo in silenzio, io e Veronika imbarazzati, poi una risata collettiva esplode tra i turisti.
“Ehi, ma sei proprio un’assistente perfetta!” esclama la guida, accarezzandole la testa. “Direi che abbiamo trovato la nostra mascotte ufficiale!”
Skippy, fiera della sua performance, solleva la testa e batte una zampa sul petto. Poi, con un’aria teatrale, saluta il gruppo con un piccolo gesto della zampa mentre i turisti scattano foto ridendo.
“Attenta” ridacchia Veronika. “Se si affeziona potrebbe voler restare qui.”
Skippy batte le zampette sulla spalla della guida, poi si sistema meglio, come se il posto le piacesse davvero.
Ci addentriamo nel cortile interno circondato da colonne imponenti che sembrano stringersi attorno a noi. L’ombra fresca e la pietra antica creano un’atmosfera solenne, come se il tempo qui scorresse più lentamente.
Poi un arco si apre su un vialetto alberato e davanti a noi si dispiega l’immenso Giardino di Boboli.
“Palazzo Pitti è la prova che il potere può cambiare mano ma la grandezza resta. Ogni pietra racconta di ambizioni, cadute e rinascite, in un continuo intreccio di storia e arte.”

Tra natura e potere: il Giardino di Boboli
Appena varcato il cancello monumentale ci ritroviamo immersi in un labirinto di viali ordinati, siepi geometriche e statue di marmo.
“Wow” esclama Veronika. “È immenso.”
“Questo è il primo giardino all’italiana della storia” spiega la guida mentre ci incamminiamo lungo un viale alberato. “Fu realizzato nel Cinquecento per Eleonora di Toledo, moglie di Cosimo I de’ Medici. Era uno spazio privato ma anche un modo per dimostrare il potere della famiglia.”
“Ogni cosa qui sembra studiata per impressionare” commenta una turista osservando la precisione geometrica del paesaggio.
La guida annuisce. “Esattamente. Qui tutto ha un significato politico. Il potere dei Medici si rifletteva nella simmetria perfetta del giardino.”
Skippy, ancora in spalla alla guida, si sporge per osservare una statua vicino alla Fontana dell’Oceano.
“Quella fontana rappresenta il dominio sulle acque. Nettuno al centro indica che Firenze, pur non essendo sul mare, aveva un controllo strategico sui commerci marittimi.”
Veronika, osservando le figure intorno, mi sussurra. “Queste statue sembrano vive, ferme solo per un momento.”
Più avanti la guida si ferma davanti a un ingresso scolpito nella pietra, ricoperto di stalattiti finte e decorazioni surreali.
“Benvenuti alla Grotta del Buontalenti.”
Varcato l’ingresso ci troviamo in un ambiente che sembra uscito da un sogno. Le pareti, ricoperte di figure scolpite, sembrano sciogliersi nella roccia mentre affreschi e statue emergono come visioni oniriche.
“Non è una grotta naturale” spiega la guida. “Fu costruita per stupire gli ospiti della corte. Ogni dettaglio è stato studiato per creare un’illusione, come se l’arte stesse prendendo vita dalla pietra.”
Skippy, affascinata, inclina la testa e imita la posa di una delle statue, facendo ridere tutto il gruppo.
Proseguendo lungo i sentieri arriviamo ad una terrazza panoramica da cui si può ammirare tutta Firenze.
“Che vista…” mormora Veronika, scattando una foto.
La guida continua con entusiasmo. “Pensate che questo giardino non serviva solo a passeggiare. Qui si svolgevano spettacoli teatrali, feste e persino tornei.”
Mi appoggio alla balaustra osservando Firenze stendersi sotto di noi. “Ecco perché i Medici lo volevano perfetto. Non era solo un giardino, era una dichiarazione di potere.”
Skippy salta giù dal suo posto privilegiato dal quale ha osservato comodamente il paesaggio, si gira verso la guida e le porge la bandierina con un gesto solenne. Poi si volta verso il gruppo e, con un piccolo inchino, si mette una zampetta sul petto come una perfetta aiutante da tour.
Un applauso spontaneo scoppia tra i turisti e la guida ride divertita.
Il sole inizia a calare e sappiamo che è il momento di proseguire. Salutiamo la guida e lasciamo i Giardini di Boboli alle nostre spalle, con la sensazione di aver attraversato secoli di storia e bellezza.
Mentre ci allontaniamo, Skippy si gira un’ultima volta verso il gruppo, alza la zampetta in un piccolo saluto e si gode gli ultimi applausi. Poi, con la dignità di una star, si sistema gli occhialoni e ci segue con passo fiero.
“Il Giardino di Boboli non è solo natura: è potere, arte e teatro all’aperto, un’eredità eterna della Firenze rinascimentale.”

Il Piazzale Michelangelo e l’ultima lezione di Firenze
Lasciati i Giardini di Boboli e usciti da Palazzo Pitti troviamo una carrozza ferma sul ciglio del marciapiede. Il cavallo, un esemplare dal manto scuro e lucido, attende paziente mentre sul sedile di guida siede un uomo dall’aria serena e il cappello a tesa larga calcato sugli occhi.
“Vi porto al Piazzale Michelangelo, signori?” chiede con un accento toscano che profuma di storie vissute.
Ci riflettiamo un attimo, pensando che sarebbe un modo alternativo di spostarsi tra le vie di Firenze, poi saliamo a bordo. Il ritmo cadenzato degli zoccoli sul selciato si mescola al brusio della città mentre ci lasciamo alle spalle il centro storico.
“Quanti turisti vedo passare ogni giorno” riflette il cocchiere mentre guida con gesti sicuri. “Tutti corrono per vedere Firenze ma pochi si fermano davvero a guardarla.”
Il suo tono non è di rimprovero ma di chi ha visto il tempo scorrere su questa città come un fiume, con i suoi cicli di bellezza e distruzione.
“Lei è di Firenze da sempre?” chiede Veronika, incuriosita.
“Da sempre e per sempre” risponde con un sorriso appena accennato. “Mi chiamo Gino e questo è il mio modo di vedere la città: un passo alla volta, con il ritmo di chi non ha fretta.”
Attraversiamo quartieri meno turistici dove le facciate dei palazzi alternano nobiltà e decadenza, la voce di Gino diventa il nostro filo conduttore con la storia di Firenze.
“Questa città l’hanno costruita gli artisti e i mercanti” dice, indicando con un cenno le strade che si aprono su piazzette più intime. “La bellezza non è mai stata fine a se stessa, aveva sempre uno scopo: stupire, governare, ricordare. Pensate a chi ha calcato queste strade… Dante, Michelangelo, Galileo.”
Ci racconta di come il Piazzale Michelangelo sia stato progettato nel 1869 dall’architetto Giuseppe Poggi durante i lavori di rinnovamento della città.
“Doveva essere una celebrazione del genio di Michelangelo” continua, rallentando per indicarci le prime scalinate che conducono alla terrazza panoramica. “Un museo a cielo aperto dedicato a lui… ma il museo non lo costruirono mai. Rimase solo la grande copia del David in bronzo e qualche altra scultura.”
Arriviamo al Piazzale e il tempo sembra dilatarsi. Firenze, da qui, appare in tutto il suo splendore.
“Non è come vederla dall’alto del Campanile di Giotto” dico, appoggiandomi al parapetto. “Qui sembra quasi di farne parte.”
Veronika annuisce. “È come un quadro che cambia ogni minuto.”
Gino sorride, sistemandosi il cappello. “Eppure Firenze è sempre la stessa. Siete voi a cambiare, ogni volta la guardate con occhi diversi. E forse, la prossima volta, non sarà la città a sorprendervi… ma voi stessi.”
Le sue parole ci colpiscono, c’è qualcosa di vero in quel pensiero, qualcosa che ci accompagna mentre scendiamo dal Piazzale e torniamo verso l’Aeroporto di Peretola. Il taxi scorre silenzioso lungo le strade. Firenze si allontana ma questa volta ce la portiamo dietro in un modo nuovo. Gli incontri fatti ci hanno lasciato qualcosa in più e sappiamo che, anche questa volta, il ricordo di questa città resterà con noi, non solo negli occhi ma nel cuore.
“Firenze cambia con chi la guarda: ogni ritorno è un nuovo viaggio, un nuovo sguardo su una città senza tempo.”
Riassunto
Il nostro arrivo a Firenze segna l’inizio di una giornata intensa tra arte, storia e incontri che lasciano il segno. Passeggiando tra le strade acciottolate ci immergiamo nella maestosità della Cattedrale di Santa Maria del Fiore, ammirando la Cupola del Brunelleschi e il Battistero di San Giovanni con le sue celebri Porte del Paradiso.
La salita al Campanile di Giotto è una sfida ma ogni gradino ci regala una prospettiva nuova sulla città. Skippy, con la sua solita teatralità, trova un modo per evitare la fatica, rifugiandosi nello zaino, mentre dall’alto Firenze si svela in tutto il suo splendore.
Dopo la lunga discesa l’appetito ci guida verso una piccola trattoria nascosta dove incontriamo Assunta, un’anziana signora che ci racconta il lampredotto, piatto simbolo della tradizione fiorentina. Ogni boccone racchiude una storia e nelle sue parole riscopriamo il vero senso del viaggio: non solo vedere ma assaporare un luogo.
Il nostro cammino prosegue verso il Ponte Vecchio, tra le botteghe di orafi e le storie del Corridoio Vasariano, costruito per i Medici. Poi, attraverso le strade di Palazzo Pitti, entriamo nei Giardini di Boboli un labirinto di arte e natura. Qui Skippy, con il suo solito spirito da esploratrice, si improvvisa assistente di una guida turistica conquistando il cuore dei visitatori.
L’ultima tappa è il Piazzale Michelangelo, da cui Firenze si mostra in tutta la sua grandezza. Qui un incontro inatteso con Gino, un cocchiere fiorentino, ci regala una riflessione profonda: Firenze non cambia, siamo noi a vederla con occhi diversi ogni volta che torniamo.
Il viaggio si chiude con un ultimo sguardo sulla città prima di riprendere la rotta verso la prossima avventura.